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Quando si verifica l’inoppugnabilità degli avvisi di vendita di un bene abusivo acquisito dal Comune7 min read

L’illegittimità del silenzio dell’amministrazione comunale avverso l’istanza di un privato per l’adozione di un provvedimento espresso con l’assegnazione di un nuovo termine per l’adempimento di una precedente ordinanza comunale di ripristino dello stato dei luoghi (art. 31 comma 2, DPR n. 380/2001 [1]), non può estendersi agli atti con cui il Comune ha dato avvio alla proceduradi vendita del bene in oggetto, qualora i provvedimenti con cui l’amministrazione ha precedentemente acquisito la proprietà del bene siano divenuti inoppugnabili a causa della declaratoria di perenzione del precedente ricorso che li aveva sollevati.

TAR Veneto, sez. II, 24 ottobre 2013, n. 1209 [2], Pres., Est. Alessandra Farina

Il caso

Con ricorso presentato avanti il Tar Veneto, un privato chiedeva l’annullamento del silenzio posto dall’amministrazione comunale alla propria istanza di adozione di un provvedimento per l’assegnazione di un nuovo termine per l’adempimento di un’ordinanza comunale di ripristino dello stato dei luoghi, divenuta priva di efficacia a seguito della presentazione di un’istanza di sanatoria di un bene dichiarato abusivo per difformità nella sua utilizzazione rispetto a quella preventivamente autorizzato dal Comune.

In conseguenza delle motivazioni addotte il ricorrente chiedeva che venisse altresì disposta la sospensione interinale del procedimento attivato dal Comune per la vendita mediante trattativa privata dell’immobile acquisito dall’amministrazione ex art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/2001 [1].

La disamina del caso di specie non può prescindere dal preventivo esame di una serie di contenziosi attivati dal ricorrente medesimo avverso anteriori provvedimenti del Comune connessi a quelli oggetto del giudizio qui in commento.

1) Il primo ricorso fu presentato dal privato avverso l’ingiunzione comunale di rimessione in pristino dello stato dei luoghi (art. 31 comma 2 del D.P.R. 380/2001 [1]) per differente utilizzazione rispetto a quella autorizzata. Il ricorso era rigettato sia dal TAR Veneto (con sentenza n. 3876/2005) che dal Consiglio di Stato (con sentenza del 13/06/2011).

A seguito della pronuncia del giudice di prime cure, in data 24/11/2005 il ricorrente presentava istanza di sanatoria per le opere illegittime, respinta nel 2006 (silenzio diniego), senza riedizione dell’ordine di rimessione in pristino.

Frattanto il Comune – accertata l’inottemperanza all’ingiunzione – disponeva l’immissione in possesso dell’immobile e, quindi, la sua trascrizione a titolo di proprietà nei pubblici registri immobiliari ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001 [1].

2) Anche tali atti divenivano oggetto di ricorso, poi dichiarato perento per inattività del ricorrente.

Successivamente il Comune disponeva – con proprio atto – la messa in vendita dell’immobile mediante asta pubblica.

3) Avverso tale atto il privato promuoveva nuovo ricorso, eccependo l’illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati in conseguenza dell’illegittimità dei precedenti atti che avevano sancito l’immissione in possesso e l’acquisizione della proprietà dell’immobile da parte del Comune.

Detto ricorso veniva dichiarato improcedibile dal TAR Veneto che, accogliendo i motivi della difesa del Comune, rilevava come l’illegittimità dei provvedimenti impugnati poteva semmai derivare dall’ordinanza di rimessa in pristino, ma non certo dal provvedimento immissione nel possesso.

Tuttavia, come detto in precedenza, la legittimità dell’ordinanza che disponeva la rimessione in pristino era stata ribadita dalla pronuncia del Consiglio di Stato, di talchè ne conseguiva la piena legittimità anche dei successivi provvedimenti di immissione nel possesso e acquisto della proprietà.

4) Da ultimo veniva promosso il ricorso definito dalla sentenza in commento, avente ad oggetto l’annullamento del silenzio opposto dall’amministrazione comunale all’istanza di assegnazione di un nuovo termine per il ripristino dello stato dei luoghi, in adempimento di una precedente ordinanza comunale divenuta inefficacie a seguito della presentazione di istanza di sanatoria.

E ciò evidentemente al fine di evitare la più onerosa sanzione di acquisizione a titolo gratuito da parte del Comune del fabbricato e dell’area di sedime (1).

La sentenza

Con la pronuncia in oggetto il TAR Veneto rigetta il ricorso promosso, ripercorrendo le considerazioni già svolte nella pronuncia (sent. n. 641/2012 [3]) che ha definito il ricorso impugnativo dell’atto d’immissione in possesso di messa in vendita del bene per asta pubblica.

 Nello specifico il Collegio evidenzia che, a seguito della dichiarazione di perenzione del ricorso presentato avverso l’immissione nel possesso e la trascrizione nei registri immobiliari in favore del Comune, “l’intervenuta perdita della proprietà da parte del ricorrente (…) risulta ormai definitivamente consolidata”, di talchè “nessuna ulteriore determinazione può essere operata dall’amministrazione con riguardo alle pregresse vicende che hanno caratterizzato la controversia intercorsa tra le parti”.

 Il Collegio rileva altresì la tardività della censura relativa alla sopravvenuta inefficacia dell’originaria ordinanza di rimessione in pristino a seguito della presentazione di domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001 [1]; tale eccezione avrebbe – semmai – dovuto essere sollevata in occasione del ricorso impugnativo degli atti di immissione nel possesso dei beni, ma nel caso di specie “il suddetto gravame è comunque perento, con relativa declaratoria ormai divenuta inoppugnabile”.

Una diversa conclusione – rileva il TAR – costituirebbe “inammissibile revisione delle pronunce ormai divenute definitive e degli atti per effetto della stessa divenuti inoppugnabili”.

Pertanto viene respinto il ricorso.

Conclusioni

La sentenza in commento ha rilevato l’irreversibilità di una posizione giuridica cristallizzatasi in conseguenza dell’inerzia del ricorrente in un precedente ricorso (dichiarato perento).

La perenzione è, infatti, la causa di estinzione del processo amministrativo dovuta all’inattività delle parti e trae il suo fondamento proprio dalla necessità di non lasciar soggiacere i rapporti giuridici di diritto pubblico a una pendenza processuale troppo prolungata (artt. 81 e ss de Codice del Processo Amministrativo [4]).

Se il ricorso avente ad oggetto la legittimità dei provvedimenti con cui l’amministrazione comunale ha acquisito a titolo gratuito l’immobile fosse stato mantenuto attivo da parte del ricorrente, il trasferimento della proprietà in favore del Comune poteva essere coinvolto dall’illegittimità derivata degli atti precedenti, in particolare dalla mancata riedizione dell’ordine di rimessione in ripristino dopo il rigetto dell’istanza di sanatoria.

Sul punto si ricorda l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa (ex multiis, TAR Veneto n. 124/2013 [5]), secondo la quale la presentazione di una domanda di sanatoria rende inefficace la precedente ordinanza di demolizione di opere abusive.

L’istanza di sanatoria ha, nell’ambito del procedimento di repressione degli abusi edilizi, lo scopo di permettere al responsabile di procedere spontaneamente alla demolizione dell’opera abusiva evitando la sanzione più gravosa dell’acquisizione. Pertanto, ove l’interessato abbia presentato istanza di sanatoria e questa sia stata respinta, l’amministrazione deve assegnargli un nuovo termine per la spontanea demolizione.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva eccepito, oltre all’illegittimità del silenzio opposto dall’amministrazione comunale rispetto alla domanda di nuovo termine, anche l’illegittimità derivata degli atti di vendita del bene, affermando che la richiesta di sanatoria aveva reso inefficace ex lege l’ordine di demolizione, presupposto necessario all’acquisizione del bene da parte dell’amministrazione.

Il Comune, infatti, può immettersi nel possesso del bene solo dopo aver accertato l’inottemperanza all’ordine medesimo e dopo aver comunicato la circostanza all’interessato, costituendo tali provvedimenti il titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari in favore del Comune ai sensi dell’art. 31, comma 4, del D.P.R. 308/2001 [1].

Tuttavia il giudice amministrativo rileva, nella pronuncia de qua, l’assenza d’interesse del ricorrente ad impugnare la mancata riedizione dell’ordine di demolizione in quanto tale vizio non può più estendersi agli atti (oramai inoppugnabili) di acquisizione del bene da parte del Comune, che definiscono il passaggio di proprietà come una “situazione di diritto ormai consolidata”.

L’esigenza della certezza del diritto, unita alla necessità di non dilungare troppo i rapporti processuali fra soggetti pubblici, specie laddove venga  a mancare l’interesse del ricorrente, sono considerati sicuramente prevalenti rispetto all’interesse del vecchio proprietario di riottenere l’immobile, in particolare qualora in una antecedente giudizio quest’ultimo non si sia attivato in tempi congrui per la tutela del proprio interesse.


(1) Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il  bene  e  l’area  di  sedime,  nonché quella necessaria,  secondo  le  vigenti  prescrizioni  urbanistiche, alla realizzazione  di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto  gratuitamente  al  patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.