La disciplina della DIA e SCIA è riconducibile alla materia “governo del territorio”, pertanto, rientra nella legislazione concorrente.

Il legislatore regionale, cui compete la normativa di dettaglio, non può introdurre nuove fattispecie per intervenire in autotutela, una volta decorso il termine previsto per il controllo sulla dichiarazione e sulla segnalazione certificata.

Corte Costituzionale, sentenza n. 49 del 9 marzo 2016; Pres. M. Cartabia, Red. G. Coraggio.


A margine

La Corte Costituzionale è chiamata, dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 84-bis, comma 2, lettera b), della legge regionale n. 1 del 2005, in riferimento all’art. 117, terzo comma, e secondo comma, lettera m), della Costituzione. In particolare, la disposizione impugnata, la cui rubrica reca “Poteri di vigilanza in caso di SCIA”, prevede che: “Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi: […] b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi“.

Secondo il TAR, la disposizione impugnata sarebbe affetta da illegittimità costituzionale, in quanto consentirebbe all’Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990.

La Corte Costituzionale ricorda, innanzitutto, che la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che nell’ambito della materia concorrente “governo del territorio”, prevista dal comma in questione, “i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale (sentenze n. 259 del 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303 del 2003), e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi (sentenze n. 121 del 2014, n. 188 e n. 164 del 2012)”.

I giudici, proseguono, evidenziando che queste due fattispecie hanno una struttura complessa e non si esauriscono, rispettivamente, con la dichiarazione e la segnalazione, ma si sviluppano in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione (rispettivamente nei termini di sessanta e trenta giorni); una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa.

Non vi è dubbio, pertanto, “che anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi. La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt’uno inscindibile. Ne discende che anche per questa parte la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia «governo del territorio»“.

Con riguardo alla portata dei «principi fondamentali» riservati alla legislazione statale nelle materie di potestà concorrente è orientamento consolidato della Corte che il rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (sentenze n. 272 del 2013 e n. 237 del 2009).

Alla luce di queste riflessioni, è possibile affermare che la normativa regionale in esame, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale; pertanto viene proprio a toccare i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo (sede già di per sé significativa) e cioè il potere residuo dell’Amministrazione, a termini ormai decorsi, e il suo ambito di esercizio (in concreto, i casi che ne giustificano l’attivazione).

Essa, dunque, comporta l’invasione della riserva di competenza statale alla formulazione di principi fondamentali, con tutti i rischi per la certezza e per l’unitarietà della disciplina che tale invasione comporta; e ciò tanto più in una materia che, come è noto, e come dimostrano le sue frequenti modifiche, presenta delicati e complessi problemi applicativi.


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