Il Consiglio di Stato ritorna sul tema della compatibilità dell’istituto della retrocessione con quello della cd. accessione invertita.

I giudici amministrativi, con la sentenza n. 2825 del 24 maggio 2013, ribadiscono che l’istituto della retrocessione, sia in base alla legge n. 2359/1865, sia attualmente ai sensi degli articoli 46 (retrocessione totale) e 47 (retrocessione parziale) del d.p.r. n. 327/2001, presuppone, a monte, un procedimento espropriativo conclusosi con l’emanazione del decreto di esproprio.

L’istituto dell’accessione invertita, di creazione giurisprudenziale, presuppone, invece, proprio una occupazione di un bene da parte della Pubblica Amministrazione (quantomeno) in assenza di legittima conclusione del procedimento espropriativo entro i termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità.

Per questo, la giurisprudenza ha collegato l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà alla irreversibile destinazione del suolo all’opera pubblica, con diritto al risarcimento del danno conseguente all’illecito commesso dalla pubblica amministrazione.

Da ciò consegue l’incompatibilità, sul piano logico – giuridico, dei due istituti ed infatti, se si ritiene configurarsi accessione invertita non vi è stata espropriazione e, quindi, non può esservi retrocessione (l’area non può non essere stata dichiarata come “irreversibilmente trasformata”); se invece si richiede la retrocessione, non si può che essere in presenza di un bene in precedenza espropriato e, in tutto o in parte, non utilizzato per le finalità di interesse pubblico legittimanti la precedente espropriazione.


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