Il potere discrezionale della P.A. di definire l’importo a base d’asta non è libero o assoluto, ma sindacabile attraverso il parametro della logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa nella misura in cui non viene contestualizzato o filtrato attraverso una corretta analisi di mercato ed una attenta valutazione dei prezzi.

Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. II, sentenza 16 luglio 2018, n. 418, Presidente Criscenti, Estensore De Col

Il fatto

Un ospedale indice sul MEPA una procedura negoziata per la fornitura di latte per la primissima infanzia per un triennio da aggiudicare con il criterio del minor prezzo, prevedendo, come base d’asta, il prezzo complessivo di € 120,00 oltre IVA per l’approvvigionamento di n. 6.000 litri di latte.

Un’impresa che non partecipa alla gara, lamentando la violazione degli artt. 3 lett. ii), 4, 95, 97 del D.Lgvo 50/2016, impugna la disposizione del bando che fissa la base d’asta ritenendo il prezzo su cui effettuare gli eventuali ribassi meramente simbolico e fuori mercato al punto da trasformare l’appalto in oggetto in un contratto a titolo gratuito.

L’Amministrazione, costituita in giudizio, dimostra di aver aggiudicato per l’anno 2015 e 2016, la medesima fornitura di latte per l’infanzia ad un prezzo praticamente equivalente a quello contestato nel giudizio (€ 40,00 su base annuale).

La sentenza

Il Tar chiarisce che l’operatore economico, anche se non ha proposto la domanda di partecipazione alla gara, può impugnare la clausola della lex specialis che prevede la base d’asta, se e nella misura in cui sia dimostrata la sua eccentricità al ribasso rispetto ai prezzi di mercato e quindi la sua natura “simbolica”, atteso che, ove avesse presentato la propria offerta questa sarebbe destinata ad essere ineludibilmente esclusa perché caratterizzata da un prezzo superiore all’importo determinato dall’Amministrazione.

Il Tar si sofferma poi sulla questione relativa al diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento dell’appalto “a titolo gratuito” che il Collegio non rinnega a priori, se non altro per alcune categorie di affidamenti quali gli appalti pubblici di servizi (Cons. St., sez. V n.4614/17) o di lavori (art. 20, d.lgs. n. 50 del 2016), laddove alla previsione di un prezzo “simbolico” o addirittura “nullo” può effettivamente corrispondere un’utilità economica in senso lato (ad esempio il ritorno di immagine) diversa da quella meramente finanziaria.

Per quanto riguarda l’appalto di forniture, l’eventuale gratuità della causa può essere ugualmente dedotta e valorizzata dalle Amministrazioni aggiudicatrici solo qualora venga ricondotta ai “tipi” contrattuali espressamente previsti dall’ordinamento (es. contratto di sponsorizzazione ex art. 19, d.lgs. n. 50 del 2016) e ciò proprio al fine di scongiurare scelte non del tutto trasparenti che finiscano per tramutare affidamenti formalmente onerosi in affidamenti sostanzialmente gratuiti e quindi sine causa.

Nel caso in esame, tuttavia, il collegio ritiene convincente la ricostruzione dei costi illustrata dalla ricorrente configurando, la base di gara fissata dall’amministrazione, un ostacolo obiettivo alla partecipazione alla gara.

In proposito il Tar ricorda che il D.Lgvo 50/16 esprime il principio cardine nella disciplina degli appalti per cui le stazioni appaltanti devono garantire la qualità delle prestazioni, non solo nella fase di scelta del contraente (art. 97 in tema di esclusione delle offerte anormalmente basse), ma anche nella fase di predisposizione dei parametri della gara (art. 30, co. ,1 D.Lgvo 50/2016).

Conseguentemente, il potere discrezionale della P.A. di definire l’importo a base d’asta non è libero o assoluto, ma sindacabile attraverso il parametro della logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa nella misura in cui non viene contestualizzato o filtrato attraverso una corretta analisi di mercato ed una attenta valutazione dei prezzi.

Conclusioni

Nella vicenda, i dati raccolti presso diverse fonti ufficiali conducono ad una elaborazione di prezzi superiori a quello unitario scelto dall’ospedale a base di gara e costituiscono un serio indizio della sua irragionevolezza, che avrebbe dovuto essere smentita dalla dimostrazione di una approfondita e adeguata istruttoria da parte della stazione appaltante, il che non è avvenuto.

Ne deriva che l’abnorme base d’asta fissata viola il principio della concorrenza effettiva fissato dall’art. 95, comma 1 del codice degli appalti (“i criteri di aggiudicazione garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva”), nella misura in cui incoraggia il singolo partecipante a formulare non l’offerta migliore ma quella meno seria.

Il ragionamento della stazione appaltante secondo cui il prezzo a base d’asta sarebbe congruo e conseguentemente remunerativo perché in passato “si è fatto sempre cosi” e gli stessi quantitativi di latte sono stati aggiudicati ed eseguiti ad € 40 all’anno senza contestazioni da parte di alcuno, non è condivisibile.

Al contrario, le esigenze sottese a questo tipo di fornitura di latte, sono quelle di non individuare un unico fornitore, di avere un prezzo non simbolico, di non favorire una marca rispetto ad un’altra e di garantire la libera concorrenza e la parità di trattamento, garantendo l’effettiva contendibilità degli affidamenti da parte dei soggetti potenzialmente interessati.

Le stazioni appaltanti sono dunque chiamate a verificare attentamente la congruità economica della richiesta di approvvigionamento del prodotto da rivolgere al mercato che non deve naturalmente provocare la presentazione di offerte anomale a causa di prezzi posti a base di gara già di per sé anomali.

L’obiettivo finale deve, infatti, essere quello di apprezzare offerte serie ed attendibili, in quanto tendenzialmente coincidenti con il prezzo indicato, stringendo le maglie ad eccessivi e susseguenti ribassi.

Peraltro, la mancata produzione, da parte dell’amministrazione, delle condizioni di fornitura richieste dal giudice, oltre a costituire argomento di prova ex art. 64 c.p.a. a carico della resistente, dimostra che la decisione di indire la gara non è stata preceduta da alcuna istruttoria sulla congruità del corrispettivo che non fosse quella di un rapido quanto superficiale raffronto con il corrispettivo sulla base del quale si era aggiudicata la gara precedente.

Costituisce anzi un rilievo ampiamente sintomatico il fatto che la base d’asta sia identica a quella delle gare svolte nell’anno 2015 e 2016, nonostante il fisiologico aumento dei prezzi di cui non si è dato conto nemmeno sotto l’aspetto statistico.

Pertanto il collegio accoglie il ricorso e annulla gli atti di gara impugnati.


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