Se il giudice ordinario accerta l’illegittimità del procedimento valutativo di un dirigente pubblico che comporta la mancata erogazione della retribuzione di risultato, non può escludere in radice la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni per perdita di chance dell’interessato in base al principio consolidato secondo cui la perdita di chance è dimostrabile anche per presunzioni e la relativa liquidazione è necessariamente equitativa.

Corte di Cassazione civile, Sez. L, sentenza n. 9392 del 12 aprile 2017, Presidente Napoletano, Relatore Tria

A margine

Nella vicenda, la Corte di appello accerta l’illegittimità della procedura di valutazione, conclusa con esito negativo, dei risultati lavorativi di un dirigente pubblico, per avere l’amministrazione dato conoscenza degli obiettivi per l’anno 2003, soltanto nel 2005, in sede di colloquio finale per tale valutazione.

Tuttavia il giudice non riconosce il diritto al risarcimento del danno in quanto non concretamente dimostrato.

Per questa parte, il dirigente chiede dunque la cassazione della sentenza. In particolare, a suo avviso:

  • dalla accertata mancata tempestiva assegnazione degli obiettivi da raggiungere, la Corte d’appello avrebbe dovuto desumere l’automatica sussistenza dell’obbligo dell’amministrazione datrice di lavoro di risarcire la perdita di chance subita, non avendo potuto il dirigente ottenere la retribuzione di risultato che è oggettivamente connessa con gli obiettivi assegnati;
  • se la Corte territoriale avesse valutato la documentazione allegata “in modo equitativo” avrebbe potuto reputare sussistente il diritto ad ottenere il risarcimento in misura corrispondente alle indennità di risultato non riscosse, considerando che il dirigente, dato il suo curriculum e i risultati positivi sempre conseguiti, avrebbe con molta probabilità ottenuto tale indennità se avesse conosciuto gli obiettivi da raggiungere, come era sempre accaduto negli anni precedenti e come si è verificato anche in quelli successivi.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso precisando che l’interessato, nel corso del giudizio, ha chiesto il risarcimento del danno da perdita di chance e non l’indennità di risultato non percepita per il 2003, né ha configurato la liquidazione del danno come equivalente “automaticamente” a tale ultima indennità.

Il ricorrente ha infatti soltanto sostenuto che dalla illegittimità della mancata tempestiva indicazione degli obiettivi per l’anno 2003 derivasse la sussistenza del danno da perdita di chance e tale tesi, secondo la Corte, è conforme alla sua giurisprudenza.

In particolare il collegio ricorda che, in base alla disciplina del d.lgs. n. 165/2001, perché venga effettuata una valutazione negativa da cui derivi la mancata corresponsione dell’indennità di risultato, è necessario che il dirigente sia stato posto in condizione di conoscere tempestivamente gli obiettivi da raggiungere, periodicamente e/o anno per anno. Pertanto, la Corte d’appello, dopo aver riconosciuto l’illegittimità della procedura di valutazione, non poteva escludere in radice la sussistenza del diritto del ricorrente a conseguire il danno patrimoniale da perdita di chance, da liquidare in via equitativa.

Infatti, in base ad orientamenti consolidati e condivisi:

  • il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale;
  • al giudice del merito spetta l’accertamento e la liquidazione necessariamente equitativa della suddetta perdita, considerando che essa è dimostrabile anche per presunzioni.

Ciò posto, seppur l’indennità di risultato abbia carattere premiale, non suscettibile di corresponsione “automatica” in assenza di previa verifica, la Corte territoriale non avrebbe dovuto escludere la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni per perdita di chance e ancor meno sulla base dell’immotivato rilievo secondo cui il danno “de quo” non sarebbe stato “concretamente” dimostrato, osservazione che, nella sua genericità, sembra non tenere conto della giurisprudenza secondo cui la perdita di chance è dimostrabile anche per presunzioni e la relativa liquidazione è necessariamente equitativa.

La sentenza impugnata è quindi cassata con rinvio alla Corte d’appello la quale dovrà decidere nuovamente tenendo conto del seguente principio:

«in una controversia in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il giudice ordinario se accerta l’illegittimità del procedimento amministrativo di valutazione negativa di un dirigente per mancato raggiungimento degli obiettivi da perseguire – nella specie per l’illogicità derivante dalla avvenuta indicazione degli obiettivi stessi con un abnorme e immotivato ritardo rispetto al periodo nel quale gli stessi avrebbero dovuto essere raggiunti – non può certamente sostituirsi all’organo deputato ad effettuare la verifica dei risultati che condiziona la corresponsione dell’indennità di risultato e, quindi, commisurare automaticamente la condanna dell’ente datore di lavoro a risarcire i danni richiesti all’indennità di risultato non percepita dal dirigente. Tuttavia, in base al principio consolidato secondo cui la perdita di chance è dimostrabile anche per presunzioni e la relativa liquidazione è necessariamente equitativa, il giudice non può neppure escludere in radice la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni per perdita di chance, ritualmente richiesto».


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