L’istituto dell’accesso civico generalizzato costituisce uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa che non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione.

Tar Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 11 ottobre 2017, n. 1951, Presidente Di Benedetto, Estensore Mameli

A margine

Nella vicenda, un privato presenta ad un Comune istanza di accesso civico generalizzato, ai sensi del comma 2, dell’art. 5, del d.lgs. n. 33/2013, per ottenere copia su supporto informatico «di tutte le determinazioni complete degli allegati emanate nel corso dell’anno 2016 da tutti i Responsabili dei servizi», in quanto non pubblicate integralmente.

Il Comune nega l’accesso considerando la stessa “massiva” e manifestamente irragionevole secondo le Linee Guida ANAC.

Pertanto l’interessato propone ricorso al Tar mentre il Comune si oppone.

Il Tar ritiene il ricorso infondato e lo respinge.

In particolare, il giudice ricorda che l’art. 5, del d.lgs. n. 33/2013, ai commi 1 e 2, ha introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’accesso civico e dell’accesso civico generalizzato; mentre il primo riguarda documenti, informazioni o dati per i quali è previsto l’obbligo normativo di pubblicazione, il secondo riguarda dati e documenti detenuti dalle PP.AA., ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.

L’accesso generalizzato ha la sua ratio nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

L’istituto non può pertanto essere utilizzato in modo disfunzionale a tale finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione. In tal senso, la valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto e, dall’altro, che lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione.

Nel caso in esame, l’istanza di accesso costituisce una manifestazione sovrabbondante, pervasiva e, in ultima analisi, contraria a buona fede. Infatti, la richiesta di tutte le determinazioni di tutti i responsabili dei servizi del Comune implica necessariamente l’apertura di innumerevoli subprocedimenti volti a coinvolgere i soggetti controinteressati.

Non può essere poi trascurata la circostanza che il ricorrente ha rivolto al Comune, in circa due anni, 73 richieste di accesso.

Da ultimo, il Collegio richiama il principio di buona fede (art. 1175 c.c.) e il correlato divieto di abuso del diritto il quale si pone, non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.

Su questo tema, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che l’abuso del diritto si configura in presenza dei seguenti elementi: “…1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte” (Consiglio di Stato, sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656).

Pertanto il Collegio ritiene che l’istanza del ricorrente, anche tenuto conto delle precedenti richieste dallo stesso presentate, costituisca un abuso dell’istituto, in quanto irragionevole e sovrabbondante qualificandosi come “richiesta massiva” ai sensi delle Linee Guida ANAC che giustifica, con adeguata motivazione, il rigetto dell’istanza.


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