Una volta che sia stata bandita una selezione pubblica per il conferimento di un incarico, per l’Amministrazione sussiste il dovere di concludere il procedimento, a meno che non si faccia ricorso al potere di revoca o di annullamento d’ufficio dell’avviso di selezione.

Nel caso in cui l’Amministrazione disponga già di dipendenti idonei, deve valutarne i curricula, le competenze e le esperienze, non potendo annullare la procedura comparativa per via della presentazione di una proposta, da parte di un aspirante all’incarico, di rendere il servizio gratuitamente.

 

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sentenza 27 marzo 2014 n. 171 – Pres. ff. Anastasi, Est. Barone

 

Il caso

Un’azienda ospedaliera siciliana indice una selezione pubblica, aperta sia a dipendenti che a professionisti esterni, per il conferimento di un incarico di medico autorizzato per lo svolgimento di attività di sorveglianza dei laboratori sanitari.

L’azienda non conclude il procedimento di selezione e, in deroga ai contenuti dell’avviso, assegna l’incarico ad un soggetto che si offre di eseguire la prestazione a costo zero.

Un medico, dipendente dell’azienda, propone ricorso al Tar per l’annullamento del bando nella parte in cui consente la partecipazione alla procedura di personale esterno all’azienda e nella parte relativa alla determinazione del compenso annuo.

Il primo grado il Tar respinge tutte le eccezioni sollevate dall’istante.

 

La sentenza

Il giudice d’appello, nel ricostruire la vicenda, pone in risalto come, a distanza di poco più di un mese dall’indizione della selezione, l’Amministrazione adottava, a quadro normativo immutato, un nuovo atto con cui conferiva l’incarico a uno dei concorrenti, sulla base del rilievo che il candidato si era formalmente offerto di svolgere l’attività di sorveglianza in maniera assolutamente gratuita1.

La stessa Azienda non ha peraltro avuto cura di revocare o di annullare il procedimento di selezione, nel frattempo rimasto pendente.

Sul punto, il collegio ritiene fondata la censura con cui si denunzia il vizio di eccesso di potere per il fatto che “È insegnamento comune che, una volta che sia stata bandita una selezione pubblica al fine del conferimento di un incarico, sussiste il dovere dell’amministrazione di concludere il procedimento così aperto, a meno che non ricorra all’adozione di provvedimenti di revoca o di annullamento di ufficio dell’avviso stesso, nei limiti in cui ciò sia consentito dall’ordinamento” (in questo senso Consiglio di Stato, sez. III, n. 4554/2011).

L’amministrazione, infatti, avrebbe dovuto opportunamente annullare tutti gli atti della selezione (l’indizione e il provvedimento di nomina della commissione giudicatrice). A maggior ragione se, come sostenuto nella propria difesa, l’indizione del concorso non risultava più in linea col nuovo modello organizzativo prescritto dalla legge.

Diversamente l’ente ha “abbandonato la selezione”, lasciandola pendente e, a distanza di poco tempo dall’indizione, senza che nessuna novità legislativa fosse intervenuta, ha conferito l’incarico ad uno dei partecipanti, privilegiando la circostanza che questi si fosse offerto di svolgere il servizio a titolo assolutamente gratuito.

Rileva, quindi, il giudice, che tale scelta risulta fondata su criteri mai esplicitati prima dall’amministrazione, nonché maturata al di fuori del giudizio della commissione appositamente istituita per la valutazione dei candidati, senza, quindi, l’effettuazione di alcuna stima comparativa.

Agendo in modo più lungimirante, se l’amministrazione avesse annullato la selezione, ben avrebbe potuto indirne un’altra, esplicitando quale criterio preferenziale per la scelta del vincitore, l’offerta dei partecipanti di svolgere il servizio in maniera gratuita.

In tal modo, i candidati alla prima selezione avrebbero avuto la possibilità di sindacare in sede giurisdizionale le ragioni dell’annullamento dell’avviso, mentre gli aspiranti della seconda selezione avrebbero visto garantita la parità di trattamento mediante un giudizio comparativo che includesse tra i parametri per la scelta anche l’offerta del servizio a titolo gratuito.

Tuttavia, la ragione decisiva per il conferimento dell’incarico si è basata sull’offerta dello svolgimento gratuito del servizio, al di fuori della procedura di selezione in essere e senza che analoga possibilità venisse data agli altri candidati.

Vi è poi anche un altro aspetto da considerare: in sintesi, le procedure comparative prescritte dall’art. 7, co. 6 bis, D.Lgs n. 165/2001, rientrano nella categoria degli atti di microrganizzazione emanati dal dirigente competente, e vanno avviate solo “in ragione dell’assenza all’interno dell’amministrazione di figure professionali idonee e disponibili ad assolvere allo specifico incarico di cui si ha bisogno”.

Nel caso in esame, all’interno dell’Azienda ospedaliera esistevano ben due figure professionali idonee ad assolvere allo specifico incarico, circostanza questa che imponeva la valutazione dei curricula, delle competenze e delle esperienze degli aspiranti, senza che questa stima potesse essere sbilanciata o addirittura annullata da un’offerta per la resa del servizio in forma gratuita, presentata, come detto, al di fuori delle previsioni dell’avviso.

Date tali premesse, il Collegio accoglie il dedotto vizio di eccesso di potere, e riforma parzialmente la sentenza impugnata.

 

Il commento

La pronuncia conferma le conclusioni della consolidata giurisprudenza, soprattutto contabile, in materia di incarichi.

La Corte dei Conti ha, infatti, più volte sottolineato come il ricorso a personale esterno (c.d. esternalizzazione), risulti legittimo solo quando sia materialmente impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali ed impreviste, da comprovarsi attraverso la verifica della sussistenza degli elementi richiamati dall’art. 7, comma 6, D.Lgs n. 165/2001, ovvero:

a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e deve essere coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione stessa (sul punto Corte dei Conti del Friuli-Venezia Giulia, 21 settembre 2011, n. 167, secondo cu il conferimento di incarichi di collaborazione e consulenza di carattere generale, senza una delimitazione precisa dell’oggetto, determina l’insorgere di responsabilità amministrativa in capo al dirigente responsabile);

b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse professionali disponibili al proprio interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) debbono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

In questo senso, in una recente sentenza, la n. 26, del 21 gennaio u.s. la Sezione giurisdizionale per il Veneto, dopo aver precisato l’inadeguatezza di una generica affermazione di carenza nell’organico, ha fatto presente che l’atto di affidamento dovrebbe “precisare le effettive motivazioni del ricorso a risorse esterne, indicare l’alta ed eccezionale professionalità richiesta nel caso di specie, evidenziare i reali carichi di lavoro del personale interno con professionalità analoghe a quelle richieste e dare contezza della effettuata completa ricognizione delle professionalità esistenti all’interno dell’amministrazione e dei percorsi di formazione e riqualificazione sviluppati, verificando la possibilità o la convenienza di aggiornare il personale non utilizzato”.

Non è poi possibile prescindere da: a) il previo esperimento di una procedura pubblica comparativa; b) l’assegnazione a soggetti muniti di diploma di laurea; c) la commisurazione del compenso alle prestazioni quantitativamente e qualitativamente rese.

In altre parole, l’Amministrazione deve sempre verificare, in via preventiva, la presenza di professionalità interne che possano svolgere le attività affidabili ai consulenti esterni, così da ottenere sensibili riduzioni di spesa e, nel contempo, valorizzare le risorse interne.

Tutto ciò per l’immanenza nell’ordinamento giuridico del fondamentale ‘principio di autosufficienza’, secondo il quale la pubblica amministrazione deve provvedere ai propri compiti mediante la propria organizzazione/personale.

 

Stefania Fabris

 

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1 A propria difesa, l’Azienda, pur ribadendo l’importanza che vi fosse un medico disponibile ad assolvere all’incarico a costo zero, giustifica la propria scelta come la più coerente col nuovo assetto organizzativo prescritto ex lege, in base al quale un solo medico “autorizzato” poteva svolgere il predetto incarico.


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