Ad avviso del giudice amministrativo, la motivazione rappresenta un requisito indispensabile degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali, quale esternazione dell’iter logico delle determinazioni assunte dalle commissioni esaminatrici nell’esercizio dell’amplissima discrezionalità loro riconosciuta. Di parere contrario la Corte di Cassazione per cui gli atti di conferimento e revoca degli incarichi in parola, sono ascrivibili al diritto privato e non sono soggetti alle disposizioni della l. n. 241-1990 sui procedimenti amministrativi, né ai vizi propri degli atti amministrativi.

Tar Lazio, sezione I, 8 settembre 2014, Presidente FF Sestini, Estensore Bottiglieri, sentenza n. 9505

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 30 ottobre 2014, Presidente Roselli, Relatore Nobile, sentenza n. 23062

Il primo caso – l’orientamento del giudice amministrativo

Nel prima vicenda il ricorrente chiede al Tar Lazio l’annullamento di una serie di provvedimenti in forza dei quali, nell’ambito di un procedimento di selezione di alcune figure dirigenziali tramite avviso pubblico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene disposta l’esclusione della propria candidatura dal novero di quelle oggetto di valutazione comparativa.

In particolare il soggetto denuncia il difetto di istruttoria e di motivazione nell’operato dell’amministrazione evidenziando l’omessa valutazione della propria istanza e dei titoli presentati nonché l’introduzione arbitraria, nel corso del procedimento, di ulteriori criteri preferenziali i quali avrebbero etero-orientato e distorto la scelta finale.

La Pcdm si costituisce in giudizio opponendosi e richiamando la natura fiduciaria dell’incarico conferito nonché la legittimità dell’operato della commissione esaminatrice, titolare di un’ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo in riferimento a valutazioni manifestamente illogiche e irrazionali.

Il Tar Lazio censura la carenza di motivazione nell’esclusione del ricorrente e degli altri candidati dalla fase di valutazione comparativa ritenendo il ricorso fondato.

In particolare il Tar ricorda che la giurisprudenza è granitica nel ritenere che, alla luce dell’art. 3, c. 2, della l. n. 241-1990, la motivazione è requisito indispensabile di ogni atto amministrativo (ad eccezione dei soli atti normativi e di quelli a contenuto generale), ivi compresi quelli consistenti in manifestazioni di giudizio interni a procedimenti concorsuali o para-concorsuali, nell’ambito dei quali, anzi, la motivazione svolge un ruolo fondamentale, quale fattore di esternazione dell’iter logico delle determinazioni assunte dalle commissioni esaminatrici in esercizio dell’amplissima discrezionalità loro riconosciuta, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa in giudizio.

In tal senso, nulla muta considerando la forte valenza fiduciaria delle selezione in parola.

Invero, per la giurisprudenza, la natura di atto di alta amministrazione, a forte valenza fiduciaria, come può essere la nomina, previa selezione, di direttore scientifico di un IRCCS, non comporta l’esclusione dell’obbligo di motivazione, essendo chiuso nel sistema, dopo l’entrata in vigore della l. n. 241-1990, ogni spazio per la categoria dei provvedimenti amministrativi c.d. a motivo libero.

Pertanto, anche quando si tratti di nomine di tipo fiduciario, l’amministrazione deve indicare le qualità professionali che hanno condotto a ritenere i soggetti prescelti i più adatti rispetto agli obiettivi programmati, dimostrando di aver compiuto un’attenta e seria valutazione del possesso dei requisiti prescritti, sì che risulti la ragionevolezza della scelta (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 6388).

Tali principi non possono che valere, a maggior ragione, anche per l’esclusione, a monte, dalla valutazione comparativa subita dal ricorrente.

Ciò considerato, il Tar annulla gli atti impugnati per difetto di istruttoria e di motivazione.

Il secondo caso – l’orientamento della Corte di Cassazione

Il secondo caso trae origine dalla sentenza n. 9016-2004 del Giudice del lavoro di Roma che rigetta la domanda di un dirigente di II fascia dell’INPDAP che, ritenendosi illegittimamente escluso dal conferimento di funzioni di I fascia, chiede l’accertamento del proprio diritto all’incarico.

In secondo grado poi, nonostante vengano richiamati l’assenza di una procedura comparativa, l’uso scorretto della discrezionalità amministrativa nonché la nomina di alcuni dirigenti in violazione dell’art. 19, c. 6, d.lgs. n. 29-1993, la Corte d’Appello di Roma (con sentenza depositata il 9-11-2007) afferma che, per attribuire un incarico dirigenziale generale, l’amministrazione non è tenuta all’attivazione di alcun procedimento selettivo, essendo dotata, secondo la normativa, di un’ampia discrezionalità operativa.

Ciò considerato, in assenza di una prova rigorosa dell’uso distorto dei poteri di nomina, fornita dal ricorrente, atta a dimostrare la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, la Corte respinge l’appello.

Il soggetto propone quindi ricorso per la cassazione della sentenza mentre l’INPDAP si costituisce in giudizio, resistendo.

Più precisamente, in questa sede, il ricorrente denuncia la violazione della legge n. 241-1990, deducendone l’applicabilità ai procedimenti di selezione per il conferimento di incarichi dirigenziali di primo livello, essendo prevalente il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione rispetto ai canoni di autonomia propri del diritto privato, ed essendo tenuta la pubblica amministrazione, anche quando agisce iure privatorum, al perseguimento degli interessi pubblici.

La Corte di Cassazione, sez. lavoro, ritiene il ricorso infondato e lo respinge condannando il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’INPDAP.

Anzitutto, il collegio conferma il giudizio del giudice di appello ritendendo non complete le prove prodotte dal ricorrente così come del tutto generica e priva di autosufficienza la censura concernente l’asserita mancata esibizione di non meglio precisati “documenti” da parte dell’INPDAP.

Ciò in quanto il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo.

Per quanto riguarda la contestazione in ordine alla violazione della l. n. 241-1990, la Cassazione ricorda che l’intera materia degli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni statali è retta dal diritto privato e che l’atto di conferimento è espressione del potere di organizzazione che, nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, c. 1, del d.lgs. n. 29-1993 e s.m.i., è conferito all’amministrazione dal diritto comune.

Pertanto, gli atti di conferimento e revoca degli incarichi sono ascrivibili al diritto privato e non sono soggetti alle disposizioni della l. n. 241-1990 sui procedimenti amministrativi, né ai vizi propri degli atti amministrativi (in tal senso anche Corte di Cassazione, 22 febbraio 2006 n. 3880 e 9 giugno 2006 n. 13454).

Infine circa il contestato dovere dell’amministrazione di motivare l’esclusione del ricorrente e la scelta dei dirigenti incaricati, non essendo la stessa autorizzata “ad operare scelte arbitrarie”, la Cassazione condivide l’impostazione del giudice di appello secondo il quale, “dall’esame della motivata delibera di nomina e dai curricula dei dirigenti nominati, rilevabili dalle schede acquisite nel corso del giudizio di primo grado, non si evincono elementi tali da ritenere un uso distorto della discrezionalità dell’ente, risultando al contrario che i dirigenti nominati presentavano esperienze professionali, e preparazioni culturali, prima facie adeguate agli incarichi conferiti”.

In particolare, la Corte d’Appello avrebbe correttamente rilevato l’assenza di una prova dell’esclusione del ricorrente fondata sull’incompletezza (peraltro genericamente dallo stesso dedotta) della valutazione effettuata dall’ente, posto che l’INPDAP ha esaminato il fascicolo personale dello stesso (fatto rimasto non confutato).

Quanto, poi, all’asserita violazione dell’art. 19, c. 6, d.lgs. n. 29-1993, la Cassazione richiama quanto dedotto dal giudice di secondo grado per cui il requisito del quinquennio dell’esercizio delle funzioni dirigenziali è limitato agli incarichi conferiti a soggetti esterni all’amministrazione ed è alternativo al possesso di una “particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori…” concludendo che, sulla insussistenza di queste ultime nulla è stato rilevato dal ricorrente.

La valutazione delle sentenze

Il tema della natura pubblica o privata dell’atto di conferimento di un incarico dirigenziale resta ancora oggi molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza al fine di determinare la tutela applicabile.

La risoluzione della questione appare di fondamentale importanza in quanto, considerando l’atto di conferimento quale provvedimento amministrativo, il G.O. potrebbe conoscerlo incidenter tantum, esercitando il potere di disapplicazione (ex art. 4, l. n. 2248-1865, all. E) e non quello di annullamento.

In tale contesto, si innesta poi la problematica della motivazione dell’atto d’incarico su cui né la giurisdizione amministrativa né quella ordinaria hanno assunto una posizione condivisa.

Per quanto concerne il G.A., si ricorda in particolare il Tar Puglia, Bari, nella sentenza 19 aprile 2006, n. 1367 in cui è stata evidenziata l’esigenza di una puntuale motivazione che estrinsechi le valutazioni operate non solo dal punto di vista dell’interesse pubblico all’avvicendamento della funzione ma anche in relazione ad altri elementi oggettivi e soggettivi ricavabili dall’art. 19 del d. lgs. n. 165-2001 e s.m.i..

Ancora, il Consiglio di Stato, nell’ Adunanza della Commissione Speciale del Pubblico Impiego del 5 febbraio 2001, n. 471, ha affermato che ove il bando di concorso interno, indetto per l’attribuzione di una qualifica dirigenziale, riservi al datore di lavoro non la semplice attribuzione di un punteggio, con totale libertà di apprezzamento, bensì la valutazione comparativa, sia pure discrezionale, di determinati requisiti in relazione all’espletamento dei compiti della qualifica predetta, i candidati hanno un diritto soggettivo al compimento effettivo di tale valutazione secondo i criteri generali di correttezza e buona fede, la cui osservanza esige che il datore di lavoro esterni i criteri seguiti per pervenire alla quantificazione dei requisiti considerati, con la conseguenza, in caso di inadempimento e di riconosciuta nullità della graduatoria, dell’obbligo dello stesso datore di procedere ad un nuovo scrutinio dei candidati.

In senso opposto il Tar Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 24 maggio 2010, n. 420 secondo cui la scelta dei soggetti da nominare prescinde da ogni forma di valutazione comparativa, il che esime anche da adempimenti di partecipazione procedimentale, e deve avvenire sulla base di valutazioni di carattere eminentemente fiduciario con riferimento alla probabilità di svolgimento ottimale delle mansioni pubbliche, in piena autonomia, ma in consonanza con l’indirizzo politico del nominante. Ne deriva che il provvedimento di nomina non richiede l’esternazione dell’iter valutativo compiuto, dovendosi ritenere assolto l’obbligo di motivazione allorché sia dato atto della positiva valutazione dei requisiti professionali del nominato, in relazione alla particolarità dell’incarico da svolgere, all’esito di un apprezzamento complessivo della sua professionalità.

Così anche il Tar Campania, Napoli, sez. V, 8 luglio 2004, n. 9988 per cui è legittimo il decreto con cui il Sindaco affida l’incarico dirigenziale del Servizio Avvocatura municipale ad un dipendente della stessa struttura, senza l’osservanza del criterio della valutazione comparativa, tenuto conto che il potere sindacale di conferimento dei predetti incarichi è da considerare ampiamente discrezionale sulla scorta della natura fiduciaria alla base dell’incarico.

I contrasti enunciati all’interno della giurisdizione amministrativa non mancano neppure all’interno di quella ordinaria.

La stessa Corte di Cassazione pur riconoscendo, in via maggioritaria, l’assenza di un onere di motivazione degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali (tra le altre, 6 marzo 2009, n. 5457), nella sentenza 14 aprile 2008, n. 9814, ha contrariamente indicato l’obbligo di procedere a valutazioni comparative con l’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali, motivando le ragioni giustificatrici delle nomine e ammettendo come la violazione di tali limiti configurerebbe un inadempimento contrattuale, produttivo di danno risarcibile (così anche per Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 23 settembre 2013 n. 21671).

In tal senso anche il Tribunale di Roma, 5 febbraio 2003, per cui, in seguito alla l. n. 145-2002, gli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali assumono connotazione provvedimentale. Pertanto, l’atto di attribuzione di un incarico adottato in spregio della procedura di cui alla legge n. 241-1990 e sprovvisto di alcuna specifica motivazione risulta illegittimo.

Da ultimo, ai fini della risoluzione della querelle in esame, si richiama la Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica n. 10-2007, la quale evidenzia l’opportunità delle amministrazioni di dotarsi preventivamente di un sistema di criteri generali per l’affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi in trattazione. Ciò al fine di consolidare, anche in questo settore, la trasparenza in modo da favorire la fiducia dei dirigenti nel funzionamento dell’organizzazione e ridurre le possibilità di contenzioso.

di Simonetta Fabris


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