I Comuni che gestiscono farmacie in economia restano assoggettati agli ordinari vincoli di spesa per il personale, anche in relazione alla gestione del servizio farmaceutico.

Corte dei conti, Sez. autonomie, deliberazione 4 – 12 giugno 2015, n. 8Pres. M. Falcucci, Rel. A. Grasselli.


La questione

La questione di massima posta alla Sezione delle autonomie riguarda l’applicazione anche alla gestione in economia di farmacie comunali, del regime derogatorio ai vincoli per il personale, previsto dall’art. 18, comma 2-bis, del decreto – legge n. 112/2008.

La richiamata disposizione, dopo avere imposto alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo di attenersi, in luogo dei più rigorosi limiti previsti per i comuni, al principio di «riduzione dei costi del personale», attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale, esclude dal predetto limite gli enti che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e “le farmacie”, fermo restando l’obbligo di mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità di servizi erogati.

Due le interpretazioni della norma da parte dei giudici contabili. Da un lato, la Sezione di controllo per la Regione Lazio, secondo cui l’eccezione ai limiti di spesa si estende alle farmacie, qualunque sia il modello scelto per la loro gestione, ivi compreso, quindi, il modulo della gestione in economia, in quanto “le farmacie” – comprese quelle gestite in economia –  dovrebbero intendersi come un distinto soggetto che si aggiunge alle aziende speciali e alle istituzioni (del. n. 226/2014/PAR) . Di contro, la Sezione Lombardia, secondo cui, invece, dal contesto complessivo della norma (il cui ambito soggettivo sarebbe delimitato dal primo periodo del comma 2-bis) si evincerebbe che le farmacie restano un oggetto specifico della gestione delle aziende speciali e non diventano un soggetto a sé stante (deliberazione n. 86/2015/QMIG, in data 4 marzo 2015 di remissione alla Sezione delle autonomie).


La deliberazione

La Sezione delle autonomie, con la deliberazione che si annota, ha sposato la tesi della Sezione di controllo per la Lombardia ed ha  pronunciato il seguente principio di diritto: “la disciplina di finanza pubblica dettata, dall’art. 18, comma 2-bis, del d.l. n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008, e successive modifiche e integrazioni, in materia di gestione del servizio farmaceutico mediante società partecipate ed aziende speciali, non si applica alla gestione in economia di farmacie comunali. I Comuni che gestiscono farmacie in economia restano assoggettati agli ordinari vincoli di spesa per il personale, anche in relazione alla gestione del servizio farmaceutico.

Per la Sezione delle autonomie, il perimetro di applicazione del regime di vincoli ed esenzioni dell’art. 18, comma 2-bis del d.l 112/2008, come da ultimo modificato dal d.l. n. 90 del 2014, riguarda esclusivamente gli enti strumentali del comune, ossia le aziende speciali, le istituzioni e le società pubbliche, e non comprende, come sostiene la Sezione Lazio, il tertium genus delle “farmacie” genericamente intese, comprese quella a gestione diretta, perché in questo modo si finirebbe per attribuire una soggettività anche ad un servizio (o ufficio) comunale – inteso come articolazione organizzativa dell’ente – quale,  appunto quello della farmacia.


Annotazioni a margine

Con il parere espresso, la Sezione delle autonomie di fatto esclude dall’elenco dei modelli di gestione delle farmacie comunali quello in economia: la condizione del rispetto dei rigorosi limiti previsti per i comuni in materia di spesa per il personale rende, in pratica, non opzionabile questo modulo organizzativo.

Ne è consapevole la stessa Sezione, che si preoccupa di ricordare come non può sostenersi che «la tutela della salute sotto il profilo della distribuzione dei farmaci possa essere frustrata dal regime dei vincoli assunzionali cui il Comune deve sottostare», in quanto il Comune, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato (cfr. Corte dei conti, sez. Lombardia n. 489/2011; Cons. St. n. 5587/2014) ha un ampio ventaglio di possibilità di gestione di questo servizio: società di capitale a partecipazione uninominale e totalitaria, società mista con socio privato individuato con gara pubblica, o concessione a terzi previo esperimento di procedure ad evidenza pubblica.

E’ opportuno ricordare, infatti, che la prevalente giurisprudenza è giunta alla conclusione che i modelli di gestione del servizio di farmacia comunale previsti dall’art. 9 della legge 2 aprile 1968, n.475, non hanno carattere tassativo.

Secondo questo orientamento, l’art. 9 della L. 475 deve essere interpretato secondo i principi generali vigenti in ambito comunitario nella materia dei servizi pubblici, ossia secondo un approccio ermeneutico “comunitariamente orientato” (Corte dei conti, sezione contr. Lombardia, 489/2011/PAR; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, n. 2598/2011; TAR Campania, Napoli, sez V,  n. 179/2012; TAR Lombardia, Brescia, sez. II,  3 no-vembre 2013, n. 951; TAR Veneto, sez. I, 20 marzo 2014, n. 358).

Il TAR Veneto, in particolare, ha escluso il carattere tassativo della classificazione operata dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968 e ha sostenuto che la normativa del 1968: «è applicabile nel rispetto dei principi comunitari in base ai quali la cd. autoproduzione (gestione in house) e l’esternalizzazione risultano sostanzialmente poste sullo stesso piano sicché l’alternativa fra le due opzioni deve essere rimessa al prudente apprezzamento delle singole amministrazioni» (in senso conforme, CdS, sez. III, 9 luglio 2013, n. 3647, seppure in un contesto normativo diverso da quello attuale).

Il TAR Veneto nella stessa sentenza ha precisato che l’art. 11, comma 10, del decreto – legge n. 1 del 2012, concernente il divieto per i comuni di cedere la titolarità delle farmacie di nuova istituzione acquisite in prelazione nelle stazioni ferroviarie, nelle aree di servizio autostradale, negli aeroporti civili, nelle stazioni marittime  «non comporta un dovere generale di coincidenza  del binomio titolarità – gestione in capo all’Ente locale autore della prelazione, ma al contrario attesta il valore derogatorio delle previsione citata rispetto alla regola generale di apertura ai valori comunitari (così TAR Brescia, sez. II, sen-tenza n. 951 del 2013, cit), con conseguente sua non estensibilità analogica ai casi non espressamente disciplinati».

Deve ritenersi superato, con tutta probabilità in via definitiva, l’orientamento contrario, secondo cui la gestione delle farmacie deve avvenire soltanto in una delle forme previste dall’art. 9 della più volte richiamata legge n. 475 del 1968, e s.m. (Corte conti, sezione contr. Puglia, n. 3/PAR/2008; Corte dei conti sezione contr. Lombardia, 70/2011/PAR, n. 49/2012/PAR e 532/2012/PAR).

La tesi della tassatività delle forme di gestione delle farmacie comunali previste dalla legge n. 475 del 1968 si ritrova anche nelle abbastanza recenti decisioni del T.A.R. Piemonte, sez. II, 14 giugno 2013, n. 767, e 27 giugno 2013, n. 829.

Con la sentenza n. 767/2013, in particolare, il TAR Piemonte ha sostenuto che il modello della concessione a terzi, pur previo espletamento della gara pubblica, ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs n. 163 del 2006, non può essere applicato alla gestione delle farmacie comunali. Il TAR Piemonte ha sostenuto, in particolare, che il modello della concessione: «nel determinare una separazione tra la titolarità (che ri-mane pur sempre in capo all’Ente locale) e la gestione della farmacia, comporterebbe un sostanziale tradimento della ratio che governa la citata disciplina legislativa – tuttora vi-gente – del 1968, ratio che è ispirata alla natura pubblicistica della finalità di servizio pubblico essenziale insita nel servizio farmaceutico».

Il Consiglio di Stato, però, nel giudizio di appello, ha annullato la richiamata sentenza del TAR Piemonte n. 767 del 2013 (sez. III, sentenza 13 novembre 2014, n. 5514), in quanto ha ritenuto che:

(a) le disposizioni speciali dettate per le farmacie comunali, ed anche per la loro gestione, dalla legge n. 475 del1968, siano tuttora in vigore;

(b) le modalità di gestione delle farmacie comunali, indicate dall’art. 9 della stessa legge n. 475, non siano tassative.

Il Consiglio di Stato ha precisato che, per la gestione di una farmacia comunale, il comune può utilizzare sistemi diversi dalla quelli di gestione diretta, purché «l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico».

Per il Consiglio di Stato, in particolare, il comune ha una vasta gamma di opzioni:

(a) può scegliere di non esercitare la prelazione e, quindi, di non svolgere la funzione;

(b) di svolgere la funzione con le modalità dell’art. 9 della legge n. 475 del 1968;

(c) può anche decidere di svolgere la funzione con modalità diverse da quelle previste dalla legge n. 475 e, in particolare, attraverso:

  • società di capitale in house, con affidamento diretto solo se l’ente, oltre ad avere la partecipazione totalitaria del capitale, esercita sulla società un “controllo analogo” sull’azienda affidataria a quello che eserciterebbe su proprie strutture organizzative; nel concetto di controllo ana-logo essendo peraltro ricompresa la destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione aggiudicatrice (Corte costituzionale, 28 marzo 2013 n. 50, sul ricorso alla cosiddetta “autoproduzione”);
  • società miste pubblico/private, con il superamento del limite dettato dall’art. 9 della l. n. 475 del 1968 secondo cui la gestione poteva essere affidata a società so-lo se costituite tra il comune e i farmacisti; in questo ca-so è necessario esperire in unico contesto una gara avente ad oggetto la scelta del socio privato – socio non solo azionista, ma soprattutto operativo – e l’affidamento del servizio già predeterminato con obbligo della società mi-sta di mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione (CGUE, Sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset);
  • cessione della titolarità a terzi, con affidamento in concessione attraverso gara ad evidenza pubblica, in quanto il carattere sanitario di un servizio non esclude che possa essere oggetto di un confronto concorrenziale di più operatori economici in possesso dei necessari re-quisiti (TAR Brescia, n. 951 del 2013 e TAR Veneto 20 marzo 2014, n. 358).

Per il Consiglio di Stato, la soluzione dell’affidamento a terzi non confligge con i rilevanti fini sociali delle farmacie.

Gli obiettivi di rilevanza sociale, infatti, possono essere garantiti con apposite clausole da inserire nel contratto di servizio sottoscritto con il concessionario: controllo della gestione, sanzioni nel caso di inadempimento degli obblighi imposti al concessionario, e una dettagliata carta dei servizi in cui siano indicati i livelli qualitativi e quantitativi del servizio da erogare.

Dello stesso avviso, con riferimento alla concessione a terzi, è l’A.N.AC (ex Avcp), per la quale un approccio interpretativo comunitariamente orientato rende preferibile la soluzione secondo cui i comuni possono, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, affidare la gestione delle far-macie comunali in concessione a terzi, in applicazione dell’art. 30 del Codice dei contatti

L’Autorità, in particolare, con deliberazione n. 15 del 23 aprile 2014 (depositata il 23 giugno 2014), ha espresso il seguente parere:

“ …. Una lettura comunitariamente orientata fa ritenere che la disciplina di cui all’art. 9 della I. n. 475/1968 (gestione delle farmacie comunali) rappresenti un’eccezione, in quanto amplia le possibilità di gestione in house del servizio farmaceutico, giustificata da esigenze di tutela della salute pubblica, rispetto al generale principio di affidamento a ter-zi sulla base di procedure competitive. La citata disciplina non impedisce tuttavia, in assenza di un esplicito divieto, che il principio generale trovi applicazione e, quindi, appli-care l’art. 30 del Codice dei contatti [ndr sulla concessione dei servizi]”.


In conclusione, i comuni possono gestire le farmacie:

–  ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge n. 475 del 1968:

  1. in economia;
  2. a mezzo azienda speciale;
  3. a mezzo consorzi tra comuni per la conduzione di farmacie di cui sono titolari;
  4. a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui l’ente abbia la titolarità.

–  ai sensi dei principi generali vigenti in ambito comunitario:

  1. con società a totale partecipazione pubblica e unipersonale aventi i requisiti dell’in house providing;
  2. con società a partecipazione maggioritaria o anche minoritaria pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio privato avvenga con procedura competitiva ad evidenza pubblica (gara cosiddetta a doppio oggetto); la società può essere appositamente costituita o multi servizi, legata con contratto di servizio all’ente titolare della farmacia;
  3. mediante affidamento con lo strumento della concessione pubblica a privati individuati con le forme dell’evidenza pubblica, con il riconoscimento di un corrispettivo individuabile in quote fissa e/o variabile

Il Comune, in altri termini, può scegliere tra: a) autoproduzione del servizio (in economia, azienda speciale, società in house); b) affidamento a terzi con gara ad evidenza pubblica (società mista pubblica – privata, concessione a società, imprese o persone fisiche): modelli tutti  sostanzialmente posti sullo stesso piano, fra i quali la scelta  è rimessa al prudente apprezzamento delle singole amministrazioni.

 Giuseppe Panassidi


Stampa articolo