La partecipazione al voto di consiglieri che si trovano in condizioni di incompatibilità non comporta la caducazione dell’intero piano urbanistico approvato dal Consiglio comunale, ma delle sole parti dalle quali il conflitto di interesse tra origine.


Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli – Sezione VIII, sentenza 23 ottobre 2015, n. 5006 Pres. f.f. Liguori, Est. Petruccioni


Il caso.

Alcuni proprietari di terreni in un Comune del Casertano hanno impugnato la delibera del Consiglio comunale di approvazione del piano urbanistico generale con la quale sono state introdotte previsioni di azzonamento per loro peggiorative. Ne hanno eccepita l’illegittimità per la partecipazione al voto di un consigliere in situazione di conflitto di interessi, oltre che per violazione di alcune delle norme regolatrici.

La sentenza.

I giudici, pur ritenendo sussistere la dedotta incompatibilità, hanno respinto il ricorso sotto un diverso profilo. Hanno osservato che un eventuale conflitto di interessi di un consigliere partecipante al voto non determina l’integrale caducazione del piano, e vizia unicamente le previsioni riguardanti il suolo per il quale vi sarebbe stato l’obbligo di astensione.

Il commento.

La sentenza premette considerazioni generali che aiutano a comprendere la portata dell’articolo 78 del D.Lgs. 267/2000 sull’ordinamento degli enti locali ricordando principi da tempo consolidati, come si rileva dalla giurisprudenza formatasi sotto l’analogo regime previgente di cui al T.U. EE.LL. 8 giugno 1990, n. 142, art. 64.

Viene infatti  ricordato che il presupposto per la sussistenza dell’obbligo di astensione è l’incidenza diretta sull’interesse proprio del consigliere partecipante al voto o dei suoi congiunti, indipendentemente dalla circostanza che la destinazione prescelta sia frutto di una discussione generale (Cons. St. IV, 30 settembre 1987, n. 550 e 2 aprile 1988, n. 814). Viene al riguardo ribadito che “(…) alla base della scelta legislativa che impone l’obbligo di astensione per le deliberazioni in ordine a questioni per le quali potrebbe esservi interesse ex art. 279 T.U. 3 marzo 1934, n. 383, non è la sfiducia sulla capacità del singolo consigliere di saper decidere anche contro il proprio personale interesse, ma piuttosto la convinzione che il soggetto, al quale è affidata la cura di un interesse pubblico, deve essere posto in condizione di operare senza condizionamenti di sorta; pertanto, ogni qual volta la determinazione da assumere è in grado di riflettersi, positivamente o negativamente, sulla propria sfera giuridica, il consigliere è obbligato ad astenersi, e la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità della manifestazione di volontà che egli ha concorso a formare, a prescindere dai vantaggi o degli svantaggi che ne ha ricevuto e dalla legittimità o illegittimità del procedimento seguito, essendo l’astensione regola assoluta che in quanto dettata al fine di assicurare agli utenti la trasparenza dell’azione amministrativa, non conosce eccezioni né ammette distinzioni (…)” (così in Cons. St., IV, 23 maggio 1994, n. 437).

Più complessa è invero la situazione nella quale versano i piccoli comuni dove i rapporti di parentela e affinità fra cittadini e amministratori costituiscono fenomeno ricorrente, con il porre in essere una situazione di conflitto di interessi che finisce con l’essere generale, al punto da suggerire l’opportunità che la predisposizione e l’approvazione vengano affidate a un commissario ad actum (Cons. St. IV, n. 437/1994, cit.).

Fatte queste premesse di carattere generale, il punto sul quale l’attenzione del lettore si sofferma è quello della prefigurazione di quanto sarebbe accaduto se il voto del consigliere in condizioni di incompatibilità avesse avuto effetti invalidanti.

La soluzione adottata si riallaccia alla presenza di un interesse qualificato all’impugnazione, quando si afferma che esso deve valutarsi solo in base al beneficio che la parte ricorrente potrebbe trarre.

Nel caso qui in esame i giudici, richiamandosi a questi principi, hanno escluso che la deliberazione possa essere invalidata perché le parti ricorrenti non hanno dedotto, e tanto meno provato, che i terreni posseduti dal consigliere votante o dai suoi stretti parenti avrebbero conseguito benefici dal nuovo strumento urbanistico.

Sul punto i giudici richiamano la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui la “(…)  impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non per fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. St. IV, 13 luglio 2010, n. 4546). In altri termini, l’utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell’attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea legittimare la tutela giurisdizionale “(…)” (Cons. St. IV, 12 gennaio 2011, n. 133).

Da qui l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui un privato che si ritenga danneggiato da una previsione urbanistica, la cui scelta sia viziata dalla partecipazione al voto di un consigliere che sia incompatibile, non può invocare tale situazione di illegittimità per chiedere la caducazione dell’intero strumento urbanistico, ma solo di una porzione di esso quando alleghi e dimostri “(…) di vantare un interesse concreto e specifico collegato alle previsioni di piano concernete il suolo di proprietà dei famigliari e dei congiunti del consigliere che avrebbe dovuto astenersi (…)”.


Cosa ne pensa l’A.N.AC – Sugli effetti della partecipazione al voto di un consigliere che si trovi in conflitto di interesse è recentemente intervenuto il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) con atto 5 novembre 2015, n. 7. Con esso si rileva che mentre la violazione dell’obbligo di astensione da parte dei pubblici dipendenti – previsto dall’articolo 6-bis della legge 241/1990 – dà luogo a responsabilità disciplinare, oltre che costituire fonte di illegittimità del procedimento e del provvedimento conclusivo, analoga sanzione non è prevista dalle norme del T.U. degli enti locali. Il solo rimedio per la rimozione dell’atto viziato, annota l’Autorità, è quello del ricorso al giudice amministrativo, senza possibilità di attivare altri e diversi strumenti di sindacato, quali un procedimento interno all’organo deliberante, o l’azione popolare. Da qui il suggerimento dell’Autorità per un intervento in sede legislativa con il quale introdurre sistemi di controllo sulle deliberazioni consiliari assunte con il voto espresso in presenza di conflitto di interesse, ed anche con l’introduzione di misure sanzionatorie.

avv. Mario Bassani

 

 

 


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