Compensi dell’Avvocatura pubblica, tutto da rifare? Forse.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, con l’ordinanza n. 138 del 13 marzo 2016, rimette alla Corte Costituzionale la riforma sugli onorari degli avvocati pubblici, prevista dall’art. 9 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90.

Secondo i giudici amministrativi, questa disposizione, che riduce drasticamente i compensi dell’Avvocatura dello Stato e delle altre Amministrazioni pubbliche, è stata introdotta nell’ordinamento giuridico con un decreto legge, il n. 90/2014, che non reca le necessarie ragioni di straordinaria necessità ed urgenza imposte dall’art. 77 della Costituzione.

In particolare, i magistrati ricordano che, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge n. 400 del 1988, i decreti legge sono presentati per l’emanazione “con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione”, mentre il comma 3 sancisce che “i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.

Il decreto legge 90/2014, invece, secondo il TAR, è lacunoso, in quanto “il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della Pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all’informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute – volta a riformare la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell’ottica del contenimento della spesa pubblica – non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l’elemento funzionale – finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale.

Per converso, in nessun punto del preambolo è stato dato conto delle ragioni di necessità e di urgenza che imponevano l’adozione – a mezzo di decreto legge – delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all’Avvocatura dello Stato di cui all’art. 9. L’infrazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione appare, quindi, questione non manifestamente infondata”.

La parola passa, ora, alla Corte Costituzionale.


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