Le clausole statutarie di una società partecipata, che riconoscono il diritto di prelazione a favore dei soci, sono nulle nel caso che il socio pubblico decida di vendere la propria quota.

Il Comune che aliena la partecipazione, mediante procedura ad evidenza pubblica, non deve, pertanto, espletare la procedura di prelazione, ma aggiudicare la quota posta in vendita al vincitore della gara.

Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 4014 del 28 settembre 2016; Pres. F. Caringella, Est. C. Contessa

A margine

I giuristi e gli operatori che si occupano di società partecipate si devono cimentare con una normativa complessa ed articolata, solo in parte recentemente riordinata con l’entrata in vigore del decreto legislativo 175/2016, e, non di rado, nell’interpretare le disposizioni normative, sono chiamati ad individuare un ragionevole e prudente “compromesso” tra gli istituti giuridici che governano la materia. In particolare, si devono districare tra le norme di diritto civile, di diritto commerciale e, per alcuni aspetti, di diritto amministrativo.

La sentenza in commento è particolarmente importante, perché tratta una questione rilevante per il trasporto pubblico locale (ma non solo) ed affronta in modo coraggioso una di quelle questioni trasversali, in termini di diritto, che rischiavano di creare non pochi grattacapi agli interpreti. Il riferimento è alla vendita di azioni, nell’ambito di una gara a doppio oggetto, nel caso in cui lo statuto della società partecipata preveda una clausola di prelazione a favore dei soci.

Ma andiamo con ordine.

Un Comune sceglie di affidare il servizio di gestione del trasporto pubblico locale mediante la cosiddetta “gara a doppio oggetto“, che consiste nel selezionare sul mercato il socio operativo, attraverso una procedura ad evidenza pubblica, con la quale, da un lato, affida la concessione del servizio e, dall’altro, cede, al privato, una quota rilevante del capitale della società partecipata. In altri termini, il Comune fa entrare nella società un nuovo socio privato, il quale, oltre ad acquistare la partecipazione, s’impegna a svolgere parte consistente del servizio pubblico di trasporto.

Questa procedura amministrativa deve, però, fare i conti con l’istituto civilistico della prelazione, ossia del diritto dei soci ad evitare l’ingresso di nuovi soggetti nella società. Sifatto diritto è previsto dallo statuto e consitse nell’offrire le azioni poste in vendita prima agli altri soci e, solo successivamente, qualora questi decidano di non comprarle, al promittente acquirente che desidera entrare nella compagina sociale.

Il Comune, nel caso in esame, sebbene abbia espressamente previsto l’espletamento della procedura di prelazione, ai sensi delle clausole statutarie, sia nella delibera consigliare di autorizzazione, che nel bando, decide di aggiudicare direttamente la quota al vincitore della gara, senza interpellare gli altri soci. I soci si rivolgono al tribunale amministrativo per contestare l’operato dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato, con una sentenza che farà discutere non poco nell’ambiente delle partecipate, dà ragione al Comune, ritenendo che il principio d’imparzialità, di parità di trattamento e sopratutto di concorrenza, debbano prevalere rispetto l’interesse dei soci a mantenere lo status quo societario.

In particolare, i giudici affermano che “la cessione da parte di un’amministrazione pubblica di una partecipazione in una società partecipata da altri soggetti privati deve necessariamente avvenire tramite l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica (procedure che resterebbero precluse laddove si consentisse l’operatività della clausola di prelazione invocata dalle appellanti principali)”.

Il principio della procedura ad evidenza pubblica, richiamato anche recentemente nel comma 9 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 50 del 2016, “non può ritenersi limitato – in senso, per così dire, ‘statico’ – al solo momento della costituzione della società mista, ma deve ritenersi altresì esteso alle ipotesi (quale quella che qui ricorre) in cui venga in rilievo l’alienazione di partecipazioni sociali detenute da un’amministrazione pubblica nell’ambito di una società che già risulti a composizione mista“.

Ne consegue che “l’obbligo di rispettare la regola dell’evidenza pubblica per l’alienazione delle quote sociali detenute in una società mista risponde a un principio di ordine pubblico economico (anche di matrice eurounitaria) presiedendo al rispetto degli altrettanto generali principi di concorrenza, parità di trattamento e di non discriminazione fra i potenziali concorrenti. La violazione delle richiamate regole di ordine pubblico non comporta soltanto l’annullabilità degli atti con cui si sia comunque proceduto all’alienazione in favore di privati in violazione della regola dell’evidenza pubblica, ma – più in generale – la radicale nullità dell’atto per violazione di norme imperative di legge. Inoltre, la nullità della clausola statutaria che consente l’esercizio della prelazione in violazione della regola di evidenza pubblica (posta a presidio di fondamentali esigenze di ordine pubblico economico) si traduce altresì nella nullità della delibera consiliare (che ne aveva ripreso il contenuto), così come dell’articolo del bando di selezione (anch’essa pedissequamente riproduttiva della richiamata clausola di prelazione);

Al riguardo ci si limita ad osservare che così come era nulla (per violazione di norme imperative di legge) la clausola dello Statuto, così anche erano nulli gli ulteriori atti amministrativi invocati dal Comune che richiamavano e davano puntuale applicazione a quella stessa clausola (ci si riferisce, in particolare, alla delibera consiliare n. 52 del 2015 e all’articolo 2 del Bando della procedura)”.

In conclusione, secondo il Consiglio di Stato, nel caso di alienazione di una partecipazione societaria, (anche nell’ambito di una gara a doppio oggetto) non si deve esperire la procedura di prelazione, sebbene prevista dallo statuto, in quanto le relative clausole devono ritenersi nulle.

Ruggero Tieghi


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