La Corte costituzionale ha giudicato illegittima la riforma sulla dirigenza, le partecipate, i servizi pubblici locali e il pubblico impiego, in quanto il meccanismo previsto del semplice parere delle Regioni al posto dell’intesa in sede di Conferenza Unificata lede la loro autonomia.

Corte costituzionale, sentenza n. 251 del 25 novembre 2016, pres. Paolo Grossi, red. Silvana Sciarra


A margine

La Consulta con la sentenza n. 251 ha giudicato illegittima la legge delega n. 124 del 2015 laddove prevede di riformare l’assetto pubblico solo “previo parere” e non “previa intesa” con le Regioni, nelle  materie da cui queste non possono essere solo consultate:  dirigenti della sanità, partecipate e servizi pubblici locali.

La questione di legittimità costituzionale, sollevata in via principale dalla Regione Veneto, riguardava alcune disposizioni contenute negli artt. 1, 11, 16, 17, 18, 19 e 23 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., laddove prevedevano la deliberazione, su proposta del Ministro delegato per la la pubblica amministrazione «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», da rendere «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere» (comma 2).

Il Giudice delle leggi con la sentenza annotata, in particolare, ha dichiarato:

1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (delega per la riforma della dirigenza pubblica);

2) l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t), della legge n. 124 del 2015, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015 (delega su riordino della disciplina sul lavoro pubblico);

3) l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015, (sulla delega in materia di partecipazioni azionarie);

4) l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), della legge n. 124 del 2015, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, (sulla delega in materia riordino della disciplina sui servizi pubblici locali).

Identica la motivazione: violazione dall’autonomia regionale nella parte in cui le norme della riforma prevedono che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Come ricorda nelle motivazioni la stessa sentenza, la Corte ha sempre affermato l’esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni e gli enti locali nella forma dell’intesa ritenuta «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale» (sentenza n. 401 del 2007) e «[u]na delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sentenza n. 31 del 2006). In armonia con tali indicazioni, l’evoluzione impressa al sistema delle conferenze finisce con il rivelare una fisiologica attitudine dello Stato alla consultazione delle Regioni e si coniuga con il riconoscimento, ripetutamente operato da questa Corte, dell’intesa in sede di Conferenza unificata, quale strumento idoneo a realizzare la leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012), «qualora non siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente imputabili al singolo ente autonomo» (sentenza n. 1 del 2016).

La Corte ha respinto, invece, il ricorso della Regione Veneto con riferimento ad altri due gruppi di norme della L. 124, ritenendo:

1) inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 23, comma 1, della legge n. 124 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 81 e 119 della Costituzione;

1) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, della legge n. 124 del 2015, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

 


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