La terza Sezione del Consiglio di Stato indica le coordinate per l’accertamento della condotta e della pericolosità nel c.d. Daspo di gruppo.

Consiglo di .Stato, sez.III, sentenza 4-2-2019 n.866 , Prs. F. Frattini, Est. M. Noccelli

A margine

DASPO di gurppo – La modifica più rilevante tra le condotte suscettibili di irrogazione della misura del “Daspo” da parte dell’autorità amministrativa di P.S. è rappresentata, com’è noto, dalla disciplina del c.d. “daspo di gruppo” introdotta dall’art.2 del D.L. n.119 del 2014.

Secondo la formulazione dell’art.6, comma 1 della legge n.401 del 1989, precedente a tale modifica, potevano essere destinatari della misura relativa al divieto d’accesso alle manifestazioni sportive i soggetti che sulla base di elementi oggettivi, risultavano “avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse”.

Secondo la nuova formulazione, può essere destinatario di tale misura anche colui che “sulla base di elementi di fatto, risulta aver tenuto, anche all’estero, una condotta, singola o di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico” in occasione o a causa delle manifestazioni sportive“.

La dottrina – La dottrina ha fortemente osteggiato tale misura, ravvisando profili di incostituzionalità per lo più riconducibili al principio della personalità della responsabilità penale, che si fonda sulla rimproverabilità di un’azione (od omissione) nei confronti di un particolare soggetto (agente) per fatto proprio colpevole.

Di contro, nei casi in cui il Daspo di gruppo ha trovato conferma. è stata rigettata la ricostruzione difensiva dei fatti in termini di presenza sui luoghi occasionale e fortuita, confermandosi, invece, la finalizzazione della condotta quantomeno all’agevolazione del progetto criminoso, capace di porre in concreto pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico per l’evidente rischio di coinvolgimento (nella rissa, nelle violenze ecc.) di ignari cittadini, rischio sventato solo per effetto dell’intervento delle forze dell’ordine.

In secondo luogo, si è dimostrato che il comportamento posto in essere ha quantomeno rafforzato il proposito criminoso degli autori del fatto, determinando in tutti i partecipanti la rappresentazione della concreta volontà di aiuto o soccorso reciproco contro altri corrissanti o contro le forze dell’ordine (cfr. TAR Liguria, sez. II, sentenza n.767 del 2015).

La giurisprudenza – Il Tar Campania con sentenza n.695 del 2015 – depositata il 3 febbraio 2015 – (ancorché riferita a daspo emessi prima della legge del 2014), ha ritenuto configurabile il Daspo di gruppo ravvisando la “non necessità, ai fini della sua applicazione, della certa attribuzione al singolo individuo del gesto contrario alla legge, ove ci si trovi dinanzi a comportamenti violativi collettivi, condizione di per sé sufficiente a renderli una minaccia per l’ordine pubblico”. “La misura del divieto di accesso può essere disposta non solo nei confronti di chi risulti direttamente responsabile di reati caratterizzati dalla violenza, ma anche nei confronti di chi, scegliendo di porsi dalla parte di chi abbia il comportamento violento, in tal modo induca o inneggi alla violenza, con movimenti corporei o espressioni verbali.

A maggior ragione, la medesima misura può essere adottata nei confronti di tutti coloro che facciano parte di un “gruppo”, i cui appartenenti, di cui è spesso disagevole l’accertamento delle responsabilità penali individuali, abbiano comportamenti violenti o espressioni verbali inneggianti alla violenza. In altri termini si rileva come il riportato art.6 non subordini la misura del divieto di accesso alla commissione di un fatto tipico costituente reato, ma, in base al principio di proporzionalità tra fatto e conseguenza, consenta la misura anche quando vi siano condotte di per sé violente, pur se non costituenti un reato contro la persona o il patrimonio”.

Un comportamento di gruppo non esclude la possibilità di riscontrare e sanzionare col Daspo (una somma di) responsabilità individuali omogenee, qualora queste fossero supportate da elementi diretti o presuntivi che consentissero di affermare la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo.

Pertanto, “qualora un gruppo di tifosi organizzato ponga in essere atteggiamenti aggressivi e intimidatori, volti creare condizioni nelle quali gli addetti al controllo e le autorità preposte siano costrette a scegliere fra consentire loro pro bono pacis l’ingresso, ovvero correre il rischio che mantenuti forzatamente all’esterno quelli sfoghino la loro delusione e la loro aggressività creando disordini e tafferugli con la tifoseria avversaria, risulta ozioso discettare se il singolo partecipante al gruppo abbia avuto un ruolo più o meno attivo” (Cons. Stato, sez.III, sentenza n.6075 del 2014).

L’ordinamento, comunque, non può prescindere dalla prova della sempre concreta ed effettiva partecipazione del soggetto irrogato agli episodi di violenza (TAR Firenze, n.275 del 2015). La condotta di gruppo sembra afferire non solo e non tanto all’evidente elemento positivo e concorsuale in relazione al fatto (reato o illecito amministrativo semplice), ma anche alle sue forme di manifestazione.

Ne deriva che la responsabilità del singolo sarebbe valutabile proprio per l’aver commesso i fatti illeciti in gruppo, approfittando del gruppo, ovvero consentendo che il gruppo stesso o qualcuno dei suoi componenti abbia potuto recare un vulnus all’ordine e alla sicurezza pubblica superiore a quello arrecabile singolarmente.

La maggior durata della misura, che non può essere inferiore nel minimo a tre anni per coloro che abbiano assunto la direzione dei fatti commessi dal gruppo, discende dalle situazioni in cui il comportamento dell’autore appare idoneo a rafforzare la volontà altrui, anche attraverso una forma di reciproco spalleggiamento.

Il divieto, disposto dal Questore ai sensi dell’art.6, co.5 della legge 13 dicembre 1989 n.401, di accedere a manifestazioni sportive, con relativo obbligo di presentazione personale all’autorità di polizia in occasione degli incontri di calcio, nei confronti di un gruppo di tifosi non può comunque prescindere dall’individuazione del fatto integrante la partecipazione attiva del singolo soggetto destinatario della misura alla condotta violenta, minacciosa o intimidatoria (Cass.pen., sez.III, sentenza n.22266 del 3 febbraio 2016, dep. 27 maggio 2016, rv.267146).

Il Tar Lombardia, Sez. Brescia,  sentenza 18-9-2017, n.1127, ha enunciato, tra l’altro, il principio per cui “il soggetto può essere destinatario di DASPO anche se non ha commesso alcuna violenza specifica, ma è stato identificato tra i partecipanti del gruppo violento”. Il provvedimento, come già sopra detto, può dunque essere disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse, e dunque non solo nel caso di accertata lesione, in ottica di repressione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, in evidente ottica di prevenzione, come appunto nel caso di condotte che comportino o agevolano situazioni di “allarme” o di “pericolo” (in senso conforme, ha segnalato, tra le altre, il Collegio: T.A.R. Veneto, sez. III, 21 maggio 2015, n. 560 e T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. III, 9 gennaio 2015, n.19 nonché T.A.R. Lombardia Brescia, sez.II, sentenza 20 giugno 2011, n.912).

In siffatte ipotesi di violenza collettiva, la giurisprudenza non richiede – ai fini del provvedimento inibitorio delle manifestazioni sportive l’art.6 della legge 13 dicembre 1989, n.401 – che venga accertato uno specifico atto di violenza da parte di ciascun soggetto appartenente al gruppo, in quanto i comportamenti sanzionati sono possibili proprio in quanto collettivi e, come tali, risultano minacciosi per l’ordine pubblico (ex multis, T.A.R. Umbria 10 maggio 2016 n.397).

In questo caso, si ritiene che un comportamento di gruppo non escluda “la possibilità di sanzionare col daspo (una somma di) responsabilità individuali omogenee”, qualora queste siano supportate da elementi diretti o presuntivi che consentano di affermare “la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo” (Cons. Stato, Sez. III, 14 gennaio 2016, n.92 e 10 dicembre 2014, n. 6075)

Relativamente alla comminatoria di un Daspo di gruppo in cui si attribuisca il concorsuale possesso di oggetti atti ad offendere occorre una stringente dimostrazione della personale responsabilità. In merito, la Cassazione penale, sez.III, con sentenza n.46982 del 24 maggio 2018, relativamente al rinvenimento in un furgone, occupato da tifosi, di materiale atto ad offendere, ha annullato con rinvio un provvedimento del Tribunale di Venezia, chiedendo un nuovo esame che permetta un’effettiva “valutazione della fattispecie in termini concorsuali”, con individuazione di un contributo minimo, morale o materiale, da parte del singolo partecipante al gruppo.

La Suprema Corte ravvisa che alla base del provvedimento del Questore (daspo) non è stato compiuto alcun accertamento in merito all’attribuibilità al prevenuto del possesso del materiale atto ad offendere. Il concetto di possesso va riferito ad una situazione di effettiva e concreta disponibilità materiale, da parte dell’agente, di uno degli oggetti, per cui l’autorità amministrativa avrebbe dovuto spiegare “se, nel posto occupato dal resistente, fosse possibile intravedere gli oggetti occultati sotto i sedili; se, quindi, fosse consapevole della loro presenza, anche attraverso l’osservazione di sue reazioni particolari durante la perquisizione (in termini analoghi cfr. Cass. pen., sez.III, n.22266 del 2016).

Il grado di accertamento delle condotte – Anche per il Daspo disposto dal Questore, come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione incentrato su una fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica o per l’ordine pubblico (v., sul punto, Cons.Stato, sez.III, 30 gennaio 2019 n.758 e 4 febbraio 2019 n.866), deve valere la logica del “più probabile che non”, non richiedendosi, anche per questa misura amministrativa di prevenzione (al pari di quelle adottate in materia di prevenzione antimafia), la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari del Daspo, ma appunto una dimostrazione fondata su «elementi di fatto» gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità.

Peraltro, e con specifico riferimento ad eventuali condotte individuali estrinsecatesi in azioni di gruppo, la Sez.III del Consiglio di Stato non ha mancato di rilevare, nella sua costante giurisprudenza, che, anche prima delle modifiche introdotte dal d.l. n.114 del 2014 all’art.6 della legge n.401 del 1989, un comportamento di gruppo non ha mai escluso la possibilità di individuare col Daspo(una somma di) responsabilità individuali omogenee, qualora queste fossero supportate da elementi diretti o presuntivi che consentissero di affermare la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo (Cons. St., sez. III, 4 novembre 2015, n.5027).

Inoltre, quando è accertata la presenza di oggetti atti ad offendere, è lecito presumerne la destinazione per fini lesivi e dedurne la ragionevole sussistenza anche della condotta di cui all’art.6-ter della legge n.401 del 1989 e, cioè, di chi, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, è trovato in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero di bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere, condotta che, ai fini che qui rilevano, deve essere accertata e affermata non secondo il canone probatorio del giudizio penale, pur costituendo la condotta descritta anzitutto dall’art.6-ter una fattispecie delittuosa, punita con la pena della reclusione, ma alla stregua del ragionamento indiziario fondato sulla logica del “più probabile che non”, tipica della legalità preventiva.

Nel caso di specie, infatti, non si tratta di punire gli autori della condotta per un fatto di reato, ma di applicare loro il Daspo, in funzione preventiva, per la attendibile convinzione che essi si siano resi autori, individualmente, di questa, convinzione che può ritenersi ragionevolmente raggiunta, nel caso di specie, quantomeno sul piano anche del solo contributo morale, per essersi rafforzati vicendevolmente nel loro barbaro proposito già solo per la forza intimidatrice di un gruppo violento e, purtroppo, non controllato adeguatamente.

Anche qui è possibile individuare col Daspo (una somma di) responsabilità individuali omogenee, qualora supportate da elementi diretti o presuntivi che consentissero di affermare la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo (Cons. St., sez. III, 4 novembre 2015, n. 5027; Cons. St., sez. III, 31 luglio 2018, n. 4716).

Se è vero che la riforma del d.l. n.119 del 2014, conv. con mod. in legge n.146 del 2014, «nel solco della legislazione “compulsiva” che ha caratterizzato la disciplina diretta a prevenire violenze in occasioni di manifestazioni sportive» (Cass. pen., sez.III, 27 maggio 2016, n.22266), ha inteso accentuare anche la responsabilità del gruppo, essa non ha però voluto introdurre nel nostro ordinamento una “colpa normativa d’autore” riconducibile ad ancestrali concezioni di responsabilità collettiva, sicché occorre pur sempre tener presente il contributo dato dal singolo, anche solo sul piano psichico, all’azione del gruppo (v., sul punto, le generali considerazioni della citata sentenza di Cass. pen., sez. III, 27 maggio 2016, n. 22266).

Non è, dunque, la presenza nel gruppo a rilevare ai fini dell’applicazione del Daspo, come ha ben affermato la Cassazione nella sentenza appena citata, bensì la partecipazione individuale all’azione del gruppo.

Non è possibile negare tale partecipazione, quantomeno sul piano morale e del reciproco rafforzamento nel proposito di attuare azioni violente, nel caso – ad esempio – di disordini originati da alcuni tifosi e ai quali si sono uniti gli occupanti di un pullman sopraggiunto, quando tutti hanno preso parte – quantomeno sul piano morale se non materiale – all’azione violenta, dopo essere scesi dal pullman, rimasto vuoto senza alcun posto a sedere occupato.

Più di recente, il Consiglio di Stato, sez.III, con ordinanza del 7 marzo 2019 n.1178, ha evidenziato che la partecipazione a una rissa in campo alla fine della partita e, in quanto giocatore di una delle squadre, l’aver attivamente contribuito alla violenza ‘di gruppo’, sferrando un calcio ad un giocatore della squadra avversaria, integra un grave comportamento violento tale da rientrare nella fattispecie di cui all’art.6 co.1 della legge n.401 del 1989 e giustificare pienamente il divieto di accedere agli stadi o impianti sportivi ove si svolgano tutte le manifestazioni sportive nelle quali sia impegnata a qualsiasi titolo una compagine calcistica.

Il grado di accertamento della pericolosità – La giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l’art.6 della legge n.401 del 1989 non impone indagini specifiche sulla pericolosità del soggetto, ossia non richiede alcun previo accertamento attinente – in generale – alla personalità del destinatario del provvedimento, in quanto presuppone e, dunque, si fonda precipuamente sulla pericolosità specifica dimostrata dal soggetto in occasione di manifestazioni sportive (cfr., tra le altre, TAR Umbria, Sez. I, 15 dicembre 2009, n. 767; TAR Campania, Napoli, 13 settembre 2010, n. 17403). In altri termini, si tratta di una norma introdotta al fine esclusivo di fronteggiare il fenomeno della violenza negli stadi, ispirata dalla necessità di offrire idonea salvaguardia ad interessi primari, quali l’incolumità personale, e, quindi, richiede – ai fini della sua applicazione – che un soggetto si sia reso responsabile di comportamenti atti a rivelare la pericolosità.

Sull’argomento, cfr. TAR Lazio Roma sez.1 ter sentenza 5 aprile 2012 n.3156. Qui il Questore di Roma ha disposto il divieto di accesso agli stati nei confronti del ricorrente in quanto sussiste una informativa di reato a carico di quest’ultimo “nella quale si evidenzia che”, in occasione di un incontro di calcio, “lo stesso appartenente ad un gruppo di circa 30 persone, si rendeva responsabile, fuori dell’impianto sportivo, del tentativo di oltrepassare le barriere che danno accesso al settore riservato agli ospiti, evitato dall’intervento delle forze dell’ordine preposte, e scatenando poi un fitto lancio di oggetti contundenti ed artifizi pirotecnici, causando delle lesioni al viso di un tifoso ospite con una prognosi di 30 giorni. Una parte del gruppo subito dopo ha assalito anche l’autobus della squadra ospite,” procurandone l’incendio.

La condotta sopra indicata, valutata autonomamente e, quindi, senza riferimento alcuno al precedente di polizia per il reato di ricettazione di cui pure si fa menzione nel provvedimento impugnato, ben giustifica, a parere dei giudici amministrativi – in termini di “presupposto di fatto”, nel rispetto, tra l’altro, dell’art.3 della legge n. 241/90 – l’adozione della misura.


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