L’indicazione dei nominativi delle persone danneggiate associata a banali infortuni non rientra a nessun titolo tra le notizie “idonee a rivelare lo stato di salute” restando tali solo le informazioni destinate a disvelare patologie, terapie, anamnesi familiari o accertamenti diagnostici.

Corte di Cassazione Civile, Sez. III, sentenza-n-20615-del-13-ottobre-2016, Presidente Salmè, Estensore Travaglino

A margine

Nella vicenda alcuni soggetti vittime di sinistri convengono in giudizio il comune ritenuto responsabile degli stessi. L’ente si costituisce con due deliberazioni di Giunta comunale, pubblicate sull’albo pretorio on line, contenenti vari riferimenti ai soggetti danneggiati.

I predetti contenuti sono pertanto contestati dai ricorrenti a cui il Tribunale competente riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale per violazione della privacy.

Il comune ricorre quindi in Cassazione lamentando la falsa applicazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 196/2003.

La suprema Corte ritiene il ricorso fondato affermando che:

  • la pubblicazione e la divulgazione di atti che determinino una diffusione di dati personali deve ritenersi lecita qualora prevista (come nella specie, poiché l’amministrazione comunale non avrebbe potuto adempiere alla finalità dell’atto in modo diverso da quello attuato) da una norma di legge o di regolamento – mentre il termine previsto dall’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 (pubblicazione nell’albo pretorio per 15 giorni consecutivi) non può ritenersi di natura perentoria (come indirettamente confermato dalle linee guida contenute nel d.lgs. n. 33/2013 che, disciplinando la pubblicità per finalità di trasparenza, ne ha previsto la durata in 5 anni);
  • il contenuto delle due delibere comunali – con le quali vennero, rispettivamente, riportati il nome e cognome dei resistenti, oltre alla targa e al modello di autovettura di proprietà di uno di essi, ed i dati anagrafici di uno dei due, integrati dall’annotazione della lesione all’arto riportata a seguito della caduta nei locali comunali – non rende il soggetto “identificabile” se non associato ad altri elementi identificativi (data e luogo di nascita, dimora, residenza, domicilio, codice fiscale, attività lavorativa) e se calato in un contesto sociale ampio quale quello della città di appartenenza dei resistenti.

Secondo la Corte “l’identificazione dei soggetti menzionati nella delibera avrebbe potuto, pertanto, conseguire soltanto ad operazioni di ricerca, anche attraverso banche dati in possesso di terzi, comportanti un dispendio di attività, di energie e di spesa del tutto sproporzionato rispetto all’interesse all’identificazione di tre soggetti coinvolti in un banale incidente d’auto ed in una altrettanto banale caduta in un locale di proprietà pubblica, non potendosi ragionevolmente sostenere che i dati contenuti nelle delibere comportassero ipso facto una automatica e certa “identificabilità” rilevante ai fini invocati.

Peraltro, nel caso in esame, nessun dato realmente sensibile può dirsi, colpevolmente ostentato di una sua rilevanza a fini risarcitori: né quello della mera indicazione dei nominativi dei danneggiati e del tipo di autovettura posseduta, né quello relativo ad un banale infortunio ad un arto, che non rientra a nessun titolo tra le notizie “idonee a rivelare lo stato di salute” del danneggiato (tali essendo per converso, quelle destinate a disvelare patologie, terapie, anamnesi familiari, accertamenti diagnostici).

Da ultimo, nessun automatismo è lecito inferire tra il disposto dell’art. 4 del Codice della Privacy e la predicabilità di un danno non patrimoniale, fattispecie cui le sezioni unite della Corte hanno riservato un ampia e approfondita disamina, affermando il principio della irrisarcibilità di quelli che non superino una determinata soglia di serietà e gravità (con esclusione dei danni cd. bagattellari, e di quelli rientranti una normale ed auspicabile dimensione di tollerabilità dovuta alla civile convivenza, come imposta dal contemperamento tra i principi costituzionali di solidarietà e tolleranza e quelli posti a presidio della dignità libertà e salute dell’individuo), e comunque della irrisarcibilità di quelli che non risultino puntualmente allegati e provati (allegazione e prova, nella specie, del tutto assente), come ancora di recente affermato dalla Cassazione n. 15429 del 2014.

Pertanto la Corte accoglie il ricorso del comune cassando la sentenza impugnata e rinviando gli atti al Tribunale perché si conformi ai principi enunciati.


Stampa articolo