Ricorre frequente negli enti pubblici l’esigenza di acquisire consulenze in materia assicurativa, a causa della specializzazione del settore e, spesso, della carenza di idonee professionalità interne.

Gli apporti esterni richiesti comprendono generalmente l’analisi dei rischi, la predisposizione di idonee coperture, la gestione dei rapporti con le compagnie assicuratrici.

Diventa così necessario rivolgersi al c.d. broker, ciò che ha dato origine ad alcune questioni sulle quali è utile fissare, ad oggi, alcuni punti fermi.

L’attività di brokeraggio, definita dall’art. 106 del D. Lgs. n. 209/2005 – Codice delle Assicurazioni private – che ha recepito nell’ordinamento nazionale la Direttiva 2002/92/CE- come attività di “intermediazione assicurativa e riassicurativa”, consiste, secondo la previsione normativa, “nel presentare o proporre prodotti assicurativi e riassicurativi o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico intermediativo, nella conclusione dei contratti ovvero nella collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di sinistri, dei contratti stipulati”.

Risulta dalla definizione che ne dà il legislatore che nell’attività di brokeraggio sono individuabili tre funzioni fondamentali: la prima è quella consistente nella proposizione di prodotti assicurativi e riassicurativi, quindi si tratta nella sostanza della tipica attività di mediazione caratterizzata dal mettere in relazione il cliente contraente e la società di assicurazione al fine di stipulare polizze assicurative per la copertura dei rischi.

La seconda funzione citata dalla norma è quella tipica consulenziale ed è prodromica alla prima consistendo essenzialmente nell’analisi dei rischi e nell’individuazione delle migliori condizioni assicurative per il cliente.

 La terza funzione consiste nella collaborazione alla gestione del contratto assicurativo e può sostanziarsi, per esempio, nella valutazione degli indennizzi preposti dalle compagnie assicuratrici, nei rapporti con i periti, nel pagamento dei premi.

Stante la molteplicità delle funzioni svolte dai brokers, l’inquadramento del contratto in uno schema tipico è piuttosto controverso.

Sicuramente il broker non è un agente assicurativo, poiché quest’ultimo svolge la propria  attività, consistente nella promozione di contratti assicurativi, per conto di una o più compagnie di assicurazione, secondo lo schema tipico del contratto di agenzia (art. 1742 c.c. e 1753 c.c.), mentre il broker svolge la propria attività in posizione di assoluta indipendenza e terzietà rispetto alle compagnie di assicurazione, essendo tale condizione essenziale alla definizione della figura. Semmai, il broker è contrattualmente legato al cliente per conto del quale opera, per cui sono presenti elementi del mandato, sebbene non tutta l’attività del broker si risolva nel compimento di atti giuridici (art. 1703 c.c.).

L’attività consulenziale in quanto tale, per esempio, non si esplica affatto nel compimento di atti giuridici per conto del cliente, ma in un’attività di tipo intellettuale prestata direttamente a favore del cliente stesso.

Alcuni, soprattutto negli anni scorsi, hanno ricondotto il brokeraggio all’attività di mediazione, anche in ragione del fatto che l’art. 1 della Legge n. 792/1984 , istitutiva dell’Albo dei Brokers e oggi abrogata e sostituita dal citato Codice delle Assicurazioni, definiva appunto il broker come colui che “esercita professionalmente attività rivolta a mettere in diretta  relazione con imprese di assicurazione e riassicurazione, alle quali non sia vincolato da impegni di sorta”, chi abbia l’esigenza di coperture assicurative.

 Il riferimento espresso all’attività di mediazione non è peraltro presente nell’attuale definizione dell’attività di brokeraggio contenuta nel sopra riportato art. 106 del D. Lgs. 209/2005 e, al di là di questo, deve osservarsi che mentre il mediatore riceve la provvigione da ciascuna delle parti che per effetto del suo intervento hanno concluso l’affare (art. 1755 c.c.), il broker, nella prassi commerciale, viene pagato dalla compagnia di assicurazione.

Per questa ragione si è parlato di mediazione atipica, fattispecie che ricorrerebbe quando il mediatore non si trova in una posizione di indipendenza ed equidistanza rispetto alle parti ma opera su incarico di una di esse.

Ciò che vale a collocare la figura del tutto al di fuori dall’attività di mediazione quale disciplinata agli artt. 1754 e segg. c.c..

Altri, valorizzando il momento consulenziale rispetto a quello dell’intermediazione, hanno ricondotto la figura del broker  a quello del prestatore d’opera intellettuale (art. 2230 c.c.).

Contro questa tesi si è tuttavia osservato che, in realtà, il broker è in genere un soggetto che opera attraverso una struttura e una organizzazione di tipo imprenditoriale e non è quindi riscontrabile l’esecuzione dell’incarico assunto “personalmente”, come invece richiede l’art. 2230 c.c..

Ancora, si è ravvisato nel brokeraggio un contratto misto atipico, nel quale sarebbero presenti elementi di ciascuna delle figure contrattuali sopra richiamate.

Questo dibattito sulla natura del contratto di brokeraggio, e sul possibile inquadramento in uno schema tipico normato dal codice civile, oltre ad avere ovviamente importanza per quanto riguarda la disciplina applicabile al rapporto, ha anche un rilievo rispetto all’obbligo o meno per la p.a. di dover affidare l’incarico con le procedure dell’evidenza pubblica.

La qualificazione del contratto di brokeraggio quale prestazione d’opera intellettuale di tipo consulenziale, ad esempio, potrebbe far ritenere che l’elemento personalistico dell’incarico, fondato sull’intuitu personae e sulla struttura organizzativa di tipo non imprenditoriale del consulente – che peraltro non trova riscontro nella realtà commerciale – escluda l’obbligo di affidamento attraverso gara.

Oppure, il richiamo alla mediazione, con il suo connotato di indipendenza del mediatore rispetto alle parti, renderebbe incompatibile l’incarico con l’evidenza pubblica che, al contrario, presuppone un rapporto tra stazione appaltante e partecipanti alla gara nel corso della procedura selettiva e, a contratto concluso, tra la stessa stazione appaltante e l’appaltatore.

A questo proposito deve peraltro osservarsi che quando cliente del broker è una p.a., la funzione mediatrice del broker tende a sfumare sino a dissolversi, ove si tenga presente che è certo che le compagnie assicuratrici devono essere individuate attraverso gara ad evidenza pubblica, per cui è da escludersi che possa essere il broker ad individuare la compagnia e a metterla in relazione con la p.a. per la stipulazione della polizza.

 In questo caso, allora, il ruolo del broker è essenzialmente quello del consulente che procede all’individuazione, all’analisi ed  alla valutazione dei rischi ed eventualmente alla redazione dei capitolati di gara e dei bandi.

Così, ad es., si esprime il Consiglio di Stato, Sezione V, nella sentenza n. 1433 dell’8.3.2011: “suggerire clausole, collaborare alla gestione e all’esecuzione dei contratti conclusi sulla base delle clausole stesse non significa – peraltro – che il broker possa essere pure coinvolto nella diretta trattativa con i concorrenti …….nell’ambito dei procedimenti di scelta del contraente indetti dall’amministrazione aggiudicatrice ……….. E’ evidente – infatti – che, ove si argomentasse diversamente, tra broker e amministrazione aggiudicatrice insorgerebbe un conflitto di interessi che ex se comprometterebbe la realizzazione del pubblico interesse”.

Nello stesso senso si è espressa anche l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella Segnalazione/Parere rif. A5623 del 07.10.2009 dove si legge: “Deve peraltro precisarsi che il broker selezionato dalla p.a., al contrario di ciò che normalmente accade nel settore privato, non potrà scegliere la compagnia di assicurazione cui affidare la copertura di rischi in quanto anche quest’ultima selezione deve avvenire nel rispetto delle norme di evidenza pubblica. Al broker, pertanto, potranno essere affidate attività di consulenza antecedenti alla deliberazione del bando (ad es. nell’ambito dell’individuazione dei rischi rilevanti e della conseguente predisposizione delle specifiche tecniche) e di gestione del rapporto contrattuale successivamente all’aggiudicazione alle compagnie assicurative”.

Nello stesso documento, l’Autorità precisa che: “la gara per la scelta del broker e la gara per l’individuazione della compagnia assicuratrice devono essere tenute distinte individuando, ai fini antitrust, un mercato distinto.”

In particolare, l’Autorità ha censurato il comportamento di quelle amministrazioni che con la medesima procedura di selezione ricercano sia un “pacchetto di contratti assicurativi” che “un soggetto incaricato del servizio professionale di consulenza e di brokeraggio assicurativo”.

In effetti, i due servizi, quello assicurativo e quello di brokeraggio, sono del tutto distinti quanto alla natura del contratto e devono correttamente essere oggetto, ai fini dell’affidamento, di procedure di gara autonome e separate.

“L’abbinamento indiscriminato dei due servizi, assicurativo e brokeraggio, appare potenzialmente restrittivo della concorrenza in quanto singolarmente le singole attività esplicano una funzione autonoma e quindi erogabile da soggetti diversi”, chiarisce l’ Autorità.

Alla funzione consulenziale, prodromica all’indizione della gara per la scelta della compagnia assicuratrice, può anche seguire – a gara effettuata e a polizza sottoscritta, ciò che rimane compito esclusivo della p.a. – l’attività di collaborazione nella gestione dei contratti assicurativi.

Il dibattito teorico sulla natura del contratto di brokeraggio in relazione all’obbligo o meno di affidamento attraverso gara ad evidenza pubblica, appare invero  superato in radice dal fatto che sembra indubbio che l’attività in questione debba essere ricompresa nell’allegato “II A” del codice degli appalti (categoria 6, lettera a) servizi assicurativi ). Da ciò consegue senza dubbio la piena assoggettabilità della figura contrattuale in esame al codice stesso (art. 20, comma 2) e , in particolare, la sua qualificazione quale appalto di servizi.

L’obbligo di affidamento del servizio di brokeraggio attraverso gara è stato messo in discussione anche sotto un altro aspetto, quello cioè dell’asserita gratuità del contratto.

Gratuità dal punto di vista dell’amministrazione, naturalmente, poiché che l’attività sia svolta a titolo oneroso è detto esplicitamente dal comma 1 dell’art. 107 del D. Lgs. n. 205/2005 e non è perciò in discussione.

Senonché, nella prassi, la provvigione al broker non è corrisposta dal cliente ma dalla compagnia di assicurazione che ha prestato la polizza ed è generalmente calcolata in percentuale sul premio pagato.

Per cui, si potrebbe argomentare, se per il cliente – p.a. non c’è corrispettivo da pagare e il servizio viene prestato gratuitamente, non c’è appalto – che è contratto essenzialmente oneroso (art. 1655 c.c., art. 3, comma 6 del D. Lgs. 163/2006)- e non c’è obbligo di gara.

Questa impostazione, della quale si trova eco nella sentenza del TAR Abruzzo – Sezione Pescara n. 397 del 26.07.2006, è da ritenersi attualmente superata e comunque del tutto minoritaria.

 Si è infatti osservato che se è vero che la provvigione viene formalmente corrisposta al broker della compagnia assicuratrice, di fatto il relativo costo viene “ricaricato” sul premio e quindi sopportato comunque dalla p.a. (così ad es. Consiglio di  Stato, Sezione IV, n. 1019/2000).

Ne consegue l’obbligo per la p.a. stessa di affidare il servizio attraverso gara ad evidenza pubblica, salvo ovviamente i casi in cui, a norma del D. Lgs. n. 163/2006, sono consentiti affidamenti con procedura negoziata o acquisizioni in economia (così ad es. TAR Sicilia, Catania, Sezione III, 02.04.2009).

Nel senso dell’obbligo di affidamento del servizio attraverso gara, si è anche espressa con chiarezza l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella già citata Segnalazione/Parere del 2009, dove si legge che “i servizi di brokeraggio assicurativo devono essere affidati mediante procedure ad evidenza pubblica nel rispetto delle normative, nazionali e comunitarie, che regolano la fornitura di servizi alla p.a.”.

Il rilievo che al pagamento del broker provvede la compagnia assicuratrice – seppure il relativo costo viene, in effetti, sopportato dal cliente – introduce un altro aspetto che ha suscitato dubbi quanto a legittimità.

Ci riferiamo alla c.d. clausola broker, ossia la clausola con la quale nel contratto assicurativo viene evidenziato che l’assicurato ha affidato la gestione del rapporto ad un broker al quale verranno anche versati i premi.

Provvederà poi il broker a riversarli alla compagnia.

Quando l’assicurando è una p.a., la clausola broker viene inserita nel bando di gara e le compagnie partecipanti alla procedura selettiva si regoleranno di conseguenza.

Il dubbio circa la legittimità di questa clausola attiene al fatto che la stessa sarebbe idonea a creare un vincolo contrattuale tra broker e compagnia assicuratrice tale da minare l’indipendenza del primo rispetto alla seconda e produttrice di un conflitto di interessi tra il broker stesso e il proprio cliente, ossia la p.a..

E’ infatti pacifico che “qualora un ente pubblico intenda avvalersi della collaborazione del broker, è sempre necessario assicurare che quest’ultimo rimanga svincolato dalle compagnie di assicurazione e svolga la propria attività nell’interesse esclusivo dell’ente assistito; e che per tale ragione sono illegittime le clausole contenute nei bandi di gara finalizzati all’aggiudicazione di servizi assicurativi, che in qualche modo facciano insorgere nel mediatore l’interesse a favorire la compagnia assicuratrice anziché l’ente assicurato” (TAR Lombardia, Sezione III, n. 1177/2011).

Il giudice amministrativo, tuttavia, nella citata pronuncia esclude che la clausola di brokeraggio, di per sè, sia idonea a instaurare un vincolo contrattuale tra broker e compagnia e faccia venir meno l’indipendenza del mediatore.

La clausola broker viene infatti ricondotta allo schema di contratto a favore di terzo, disciplinato dagli artt. 1411 e segg. c.c., secondo il quale due parti possono stipulare un contratto prevedendo che il beneficiario sia un terzo.

Condizione per la validità di tale pattuizione è che lo stipulante, nel nostro caso la p.a., abbia un proprio interesse, rappresentato nella fattispecie dall’interesse a ricevere la prestazione del broker.

Il contratto viene quindi, secondo questo schema, stipulato tra l’ente pubblico, stipulante, e la compagnia di assicurazione, promittente, a favore di un terzo, il broker, avente diritto alla prestazione, consistente nel pagamento della sua provvigione.

Il terzo non diviene in alcun modo parte del contratto che intercorre esclusivamente tra stipulante e promittente, ma viene soltanto individuato come il soggetto beneficiario della prestazione.

Ci sono quindi due distinti rapporti contrattuali: uno, tra ente pubblico e broker, a titolo gratuito, ma non di liberalità, essendo previsto che al pagamento della provvigione non provvederà l’ente ma la compagnia con la quale verrà stipulata la polizza.

L’altro, tra ente pubblico e compagnia, ossia la polizza assicurativa, del quale il broker non è parte né in senso formale né in senso sostanziale.

La polizza contiene la clausola di brokeraggio che configura un contratto a favore di un terzo, il broker, individuato come beneficiario della prestazione pecuniaria, la provvigione, che la compagnia sarà tenuta a versargli.

Così ricostruita la fattispecie, ed escluso l’instaurarsi di vincoli contrattuali tra broker e compagnia di assicurazione, “deve anche escludersi che il broker (poichè il suo corrispettivo è versato dalle compagnie) sia spinto, nella sostanza, a curare gli interessi di queste ultime anziché quelli del comune.

Va invero osservato che, seppur formalmente posto a carico delle compagnie, il pagamento dei compensi del broker grava, nella sostanza, sul comune giacché è ovvio che le compagnie di assicurazione calcoleranno l’entità dei premi in modo tale da scaricare sull’ente il compenso che esse sono formalmente tenute a versare al mediatore”.

Per ovviare al rischio di conflitti di interesse e collusioni tra broker e compagnie è comunque necessario che il compenso del broker sia predeterminato o comunque determinabile con certezza e non divenga oggetto di trattative  con la compagnia.

Nel senso della legittimità della clausola broker, oltre al citato TAR Lombardia, Sezione III, si è anche recentemente espresso il TAR Piemonte – Torino – con sentenza n. 388 del 3 aprile 2012


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