Uno dei non molti capisaldi nella materia degli appalti pubblici è rappresentato dal principio secondo cui il bando costituisce la lex specialis della gara.

Con questa espressione, ampiamente consolidata anche in giurisprudenza, si intende che l’amministrazione, una volta pubblicato un bando di gara, sia tenuta ad osservarlo e non possa esimersi dal darvi applicazione, e ciò anche se in ipotesi questo bando, o una qualunque sua clausola, fossero illegittimi.

Una clausola illegittima, può essere impugnata da chi vi abbia interesse ed annullata in sede giurisdizionale, oppure può essere annullata dalla stessa amministrazione in via di autotutela.

Ma se non viene dato corso a nessuna di queste due vie, l’amministrazione non può far altro che osservarla non potendo procedere alla sua disapplicazione.

Prospettiva, sotto un certo punto di vista, anche piuttosto rassicurante nel senso che, una volta fissate nel bando le regole del gioco, non rimane che darvi applicazione.

Questo principio, tuttavia, pare oggi un po’ meno granitico di quanto non fosse fino a poco tempo fa.

Prendiamo il comma 1 bis dell’art. 46 del Codice, introdotto dal D.L. n. 70/2011 poi convertito con Legge n. 106/2011, in materia di cause di esclusione dalle gare.

Nel contesto generale di circoscrivere le cause di esclusione alle sole ipotesi di violazioni sostanziali ed eliminare tutte le sanzioni connesse all’inosservanza di semplici formalità, la norma ci dice, anzitutto, che l’esclusione dalla gara va disposta soltanto:

– in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice e dal Regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti. Non dal bando, si badi;

– nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali;

– in caso di non integrità del plico o altre irregolarità relative alla sua chiusura tali da far ritenere che possa essere stato violato il principio di segretezza delle offerte.

Poi ci dice, il comma in esame, che i bandi non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e che dette prescrizioni sarebbero comunque nulle.

Sappiamo che, in diritto amministrativo, la nullità di un atto, a differenza dell’annullamento, comporta l’assoluta inidoneità alla produzione di effetti, la non esecutorietà, la non inoppugnabilità anche decorsi i termini, l’ insanabilità e l’ impossibilità di convalida.

Ciò significa, per quanto qui interessa, che tali clausole sono del tutto inefficaci e devono essere disapplicate dal seggio di gara, senza necessità di previo annullamento, come ha chiarito l’Autorità di Vigilanza nella determina n. 4/2012 sul bando tipo.

Abbiamo quindi un caso in cui una clausola contenuta in un bando, pur senza essere stata annullata né in sede giurisdizionale né in via di autotutela, deve essere disapplicata.

Ma, prima ancora, il comma 1 bis dell’art. 46 aveva detto anche un’altra cosa, e cioè che deve essere disposta l’esclusione in tutti i casi di mancato adempimento alle prescrizioni del codice stesso, o del regolamento o da altre disposizioni di legge (quindi, osserviamo tra parentesi, in tutti i casi  di inadempimento ad una qualsiasi norma rilevante rinvenibile nell’ordinamento giuridico. Il che, come ben si comprende, non è per nulla tranquillizzante).

Questo significa che se una prescrizione contenuta nel Codice o nel Regolamento o in qualche altra disposizione di legge  non sia stata recepita nel bando di gara e venga per questo non adempiuta dal concorrente, tale inadempienza dovrebbe comunque comportare l’esclusione dalla gara.

Il principio è esplicitato dall’Autorità di Vigilanza nella citata determina n. 4 dove si sancisce che “tutti i comportamenti prescritti/vietati dal Codice o dal Regolamento ( ovvero da altre norme rilevanti ) devono essere considerati imposti a pena di esclusione sia qualora venga comminata espressamente la sanzione di esclusione sia qualora, pur mancando tale previsione esplicita, la norma di riferimento sancisca un obbligo ovvero un divieto o, più in generale, prescriva un adempimento necessario ad assicurare il corretto svolgimento del confronto concorrenziale”.

Abbiamo in sostanza il caso uguale e contrario a quello delle clausole di esclusione nulle perché non riconducibili alle casistiche riportate dall’art. 46, comma 1 bis.

Le clausole nulle rappresentano delle prescrizioni che nel bando non ci sarebbero dovute essere e che, essendoci, devono essere disapplicate.

Qui siamo in presenza di un bando incompleto perché non ha recepito una prescrizione contenuta nel codice o nel regolamento o nella legge e che tuttavia da tale prescrizione viene in qualche modo integrato dall’esterno.

Pensiamo al versamento dovuto dai partecipanti alla gara all’Autorità di Vigilanza o alla cauzione provvisoria, per menzionare due adempimenti che esplicitamente l’Autorità nella citata determina n. 4 indica quali prescrizioni da osservarsi a pena di esclusione, e pensiamo ad un bando che non ne imponga l’osservanza, per esempio per una dimenticanza oppure, volontariamente, per incentivare la partecipazione.

E’ molto probabile che i partecipanti, attenendosi a quanto prescritto dal bando, omettano di effettuare il versamento all’Autorità o di costituire la cauzione provvisoria.

Ma è altrettanto probabile che almeno uno tra i partecipanti avrà versato all’Autorità ed avrà costituito cauzione e  chiederà l’esclusione degli altri concorrenti inadempienti.

Inadempienti, non ad una prescrizione del bando, ma ad una norma del codice (art. 75) nel caso della cauzione provvisoria, o ad una norma extra codice (art. 1, comma 67, Legge n. 266/2005), nel caso del contributo all’Autorità.

Ebbene, deve ritenersi, in un caso del genere, che secondo quanto disposto dal comma 1 bis dell’art. 46 del Codice e chiarito dall’Autorità di Vigilanza nella determina n. 4 il Presidente della gara debba procedere all’esclusione.

Francesco Nitti*

*Dirigente presso Azienda Casa Emilia-Romagna  della Provincia di Bologna

 

 

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