E’ fonte di danno erariale la condotta di amministratori o dipendenti pubblici che operino per attestare falsamente il rispetto del patto di stabilità interno da parte dell’Amministrazione comunale per un determinato anno e agiscano nell’anno seguente sulla spesa come se i vincoli di finanza pubblica fossero stati rispettati, dando luogo nel corso del successivo esercizio ad una maggiore spesa rispetto a quella che avrebbe dovuto ex lege essere affrontata in relazione all’inosservanza dei vincoli derivanti dal Patto di stabilità.

 La sanzione pecuniaria prevista dall’art. art. 31, co. 31, della L. 12.11.2011, n. 183[1], in caso di artificiosa attestazione del rispetto del Patto di stabilità interno per effetto di scorrette imputazioni contabili o altre condotte elusive (ratione temporis non applicabile alla fattispecie decisa), non esclude, comunque, la configurabilità di una concorrente responsabilità amministrativo-contabile dei dipendenti ed amministratori in ordine ai danni erariali cagionati in conseguenza della medesima condotta.

 Nella fattispecie di danno da artificiosa attestazione del rispetto del Patto di stabilità, i vantaggi conseguiti, di cui all’art. 1 co. 1 bis l. 20/1994, non possono essere valutati alla stregua di un’automatica compensatio lucri cum damno, occorrendo tenere conto delle finalità della norma imperativa violata e dell’interesse pubblico primario da essa perseguito (salvaguardia degli equilibri di bilancio). I suddetti vantaggi possono essere valutati entro confini assai ristretti e quantificati in via equitativa dal giudice contabile.

 Corte dei conti, Sez. giur. Piemonte, sentenza 16 gennaio 2013 n. 6, Pres. Sfrecola, Est. Valero.

Sez. Piemonte 6-2013

Il caso

La sezione territoriale piemontese della Corte dei Conti, nella sentenza in commento, ha avuto modo di occuparsi di una nuova ipotesi di danno erariale collegata alla normativa in tema di Patto di Stabilità interno, discendente dai vincoli assunti in sede europea dall’Italia per effetto del Patto di stabilità e crescita comunitario. Il collegio giudicante ha analizzato l’operato degli amministratori del Comune di Alessandria ed ha ritenuto fonte di danno erariale la composita condotta tenuta dal Sindaco, dal Responsabile del servizio finanziario, dall’Assessore al Bilancio, dai restanti assessori e dai consiglieri comunali per  l’inveritiera attestazione – frutto di artifici nella redazione degli atti contabili- del rispetto del Patto di Stabilità interno per  l’anno 2010 e per avere quindi consentito  all’ente, per l’anno 2011, di agire sulla spesa come se i vincoli di finanza pubblica fossero stati rispettati, con una maggiore spesa  rispetto a quella che avrebbe dovuto ex lege essere affrontata (cfr. art. 1, commi 119 e 120 della l. 13.12.2010 n. 220). Il danno erariale in questione, ad avviso del Collegio, si è concretizzato quindi nel maggior esborso sostenuto nell’anno 2011 dal Comune di Alessandria per effetto dell’alterazione dei risultati di bilancio 2010 e della conseguente fraudolenta attestazione del rispetto del Patto. Tale indebito esborso è stato determinato nel corso del 2011 nell’importo di Euro 10.891.729,16 per spese sostenute in violazione dei suddetti divieti; esborsi non ammessi qualora fosse stata correttamente certificata l’inosservanza del Patto sulla base dei reali risultati dell’esercizio finanziario precedente (2010).

I giudici contabili hanno inoltre affermato che la sanzione prevista dall’art. art. 31, co. 31, della L. 12.11.2011, n. 183 (Legge di Stabilità per il 2012), non applicabile alla fattispecie concreta esaminata dalla Sezione piemontese ratione temporis, che prevede in caso di artificiosa attestazione del rispetto del Patto di stabilità interno per effetto di scorrette imputazioni contabili o altre condotte elusive, l’irrogazione di una pena pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennita’  di  carica percepita al momento della commissione della condotta per gli amministratori e fino a tre mensilita’ del trattamento  retributivo per il responsabile del servizio economico-finanziario dell’ente, non esclude in alcun modo la configurabilità di una concorrente responsabilità amministrativo-contabile dei suoi destinatari (amministratori e responsabile del servizio economico-finanziario) secondo le regole comuni dell’art. 52 R.D. 1214/34, estese ai dipendenti e agli amministratori degli Enti pubblici territoriali dall’art. 93 T.U.E.L.[2]  Ad avviso del collegio giudicante piemontese, dunque, a fronte della suddetta artificiosa alterazione dei dati contabili e falsa attestazione del rispetto dei vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno l’ordinamento italiano appronta sotto il profilo contabile – amministrativo una duplice reazione: l’una in termini di responsabilità erariale per danno al patrimonio pubblico, l’altra in termini di peculiare sanzione pecuniaria di tipo amministrativo, da irrogarsi da parte della magistratura contabile, che peraltro risulta applicabile solo per le violazioni poste in essere successivamente all’entrata in vigore della legge 183/2011. Al riguardo infatti devono ritenersi vigenti i principi generali di legalità e di irretroattività di ogni legge sanzionatoria, codificati in ambito extrapenale all’art. 1 della legge n. 689/1981, secondo cui nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Nella fattispecie, peraltro, il collegio piemontese ha ritenuto che le condotte illecite poste in essere dagli amministratori e dal responsabile finanziario, consistite nell’operare sul documento contabile dell’esercizio 2010 (con l’impartire ordini agli uffici di effettuare le modifiche e con il proporne l’approvazione, da parte dell’Organo competente, o con l’approvazione, per quanto concerne i Consiglieri comunali) la soppressione di poste passive e l’implementazione di quelle attive, per fornire una rappresentazione non veritiera della reale situazione finanziaria dell’ente locale, non possono definirsi una mera “imputazione scorretta” di “entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio” di poste tuttavia rappresentate in bilancio, ma un’operazione ben più grave, costituendo una vera e propria alterazione quantitativa, rispettivamente in diminuzione e in aumento, dei dati contabili oggettivamente rilevabili dal bilancio 2010.

I giudici contabili hanno anche avuto modo di osservare che il rispetto del Patto di stabilità interno, introdotto nella nostra legislazione con la legge 23 dicembre 1998, n. 448, rappresenta un elemento di centrale rilevanza “ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica” (cfr. art. 1, commi 166 e 167, legge 23 dicembre 2005, n. 266 – legge finanziaria 2006) e che le disposizioni legislative che lo impongono e prevedono limitazioni alla potestà degli organi di governo e direzione dell’ente in caso di loro violazione trovano superiore fondamento nel diritto costituzionale e, soprattutto, in quello dell’Unione europea (in particolare: art. 117 Cost. e art. 126 – ex art. 104 TCE – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, unitamente al Protocollo n. 12 sui disavanzi pubblici eccessivi; Regolamenti del Consiglio del 17 giugno 1997, n. 1446 e 1447; Risoluzione del Consiglio 17 giugno 1997, n. 97/C – c.d. patto di stabilità e crescita comunitario; Regolamento del Consiglio europeo del 25 giugno 1996, n. 2223/96 – c.d. sistema SEC 95 – sul conto economico consolidato delle Pubbliche amministrazioni).

La sezione, rimarcando il peculiare valore degli equilibri di bilancio delle P.A. stabilito dalla normativa nazionale ed europea, ha inoltre rilevato che l’analisi degli eventuali vantaggi comunque conseguiti, richiesta dall’art. 1, co. 1 bis, L. 20/94 e invocata dalle difese dei convenuti, non può essere ridotta ad un’automatica compensatio lucri cum damno, ma deve tener conto delle finalità della norma imperativa violata e dell’interesse pubblico primario da essa perseguito.  Aggiungendo quindi che, sulla scorta della ratio della normativa sul Patto di stabilità, non vi è dubbio che la violazione delle limitazioni della spesa che incidono sulla finanza dell’ente locale, derivante dall’approvazione di un rendiconto inveritiero, abbia procurato l’interruzione del circuito virtuoso in cui sono coinvolti tutti i soggetti istituzionali tenuti a conseguire l’obiettivo dettato da regole derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea. Dal che ne deriva l’insussistenza di un mero vantaggio compensativo, algebrico, per l’amministrazione di appartenenza, o per altra amministrazione, o per la comunità amministrata in relazione al comportamento serbato dai convenuti, essendo lo stesso legislatore ad accordare la preminenza all’interesse pubblico alla salvaguardia degli equilibri di bilancio e di rispetto dei vincoli di finanza pubblica, imposti all’intera collettività nazionale (e quindi anche agli Enti territoriali) dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea.

Sulla scorta di tali postulati i giudici contabili hanno ritenuto di poter tener conto dei vantaggi conseguiti dall’Amministrazione in termini di acquisizione di beni o servizi (con riguardo alla corrispondente spesa contra legem in parte corrente) o prestazioni lavorative (con riguardo ai contratti di lavoro stipulati in violazione del divieto) entro confini molto ristretti, ritenendo alfine di dover procedere alla quantificazione dei vantaggi effettivamente rilevanti in via equitativa, individuati in conclusione nella misura del 30% dell’intero importo di € 10.891.729,16. Conseguentemente i convenuti sono stati condannati a risarcire un danno complessivo pari ad Euro 7.624.210,41.

Adriano Gribaudo*

* magistrato della Corte dei conti


[1]Qualora le sezioni giurisdizionali regionali  della  Corte  dei conti accertino che il rispetto del patto di  stabilita’  interno  e’ stato  artificiosamente  conseguito   mediante   una   non   corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai  pertinenti  capitoli  di bilancio  o  altre  forme   elusive,   le   stesse   irrogano,   agli amministratori che hanno posto in essere atti  elusivi  delle  regole del  patto  di  stabilita’  interno,  la  condanna  ad  una  sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennita’  di  carica percepita al momento di commissione dell’elusione e, al  responsabile del servizio economico-finanziario, una sanzione  pecuniaria  fino a tre mensilita’ del trattamento  retributivo,  al  netto  degli  oneri fiscali e previdenziali.”

[2] In ordine alla coesistenza della sanzione prevista dall’art 30, co. 15, l. n. 289/2002 con una concorrente responsabilità per danno erariale degli stessi soggetti, cfr: sent. Corte Conti, Sez. giur. Lazio, 20 dicembre 2005, n. 3001; Sez. Giur. Sicilia, 7.11.2006, n. 3198.

 


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