I requisiti normativi per il legittimo riconoscimento come debito fuori bilancio del rimborso delle spese legali dell’amministratore di ente locale sottoposto a procedimento penale sono: la diretta connessione dei fatti oggetto di contestazione in sede processuale all’espletamento del servizio o all’assolvimento degli obblighi istituzionali, l’assenza di colpa in capo all’amministratore  e l’assenza di conflitto di interessi con l’Amministrazione di appartenenza.

Il funzionario tecnico che esprime parere favorevole ed i consiglieri comunali che  deliberano il rimborso delle spese legali sostenute da un amministratore comunale in assenza dei requisiti normativi sopraindicati cagionano un danno erariale al Comune e rispondono a titolo di responsabilità amministrativa.

Corte dei Conti, sez. I appello, sentenza 9 luglio 2013, sentenza n. 496,  Pres. Colella,  Est. Orefice.

 Sez I appello 496-2013

Nella pronuncia oggetto di segnalazione la sezione centrale d’appello della Corte dei Conti si è occupata di una vicenda in cui i consiglieri ed il funzionario responsabile dell’area economico-finanziaria di un comune emiliano erano stati condannati in primo grado[1] per aver autorizzato il pagamento di una somma di denaro a favore dell’ex sindaco a titolo di rimborso delle spese legali sostenute nell’ambito di un procedimento penale che si era concluso con una pronuncia di assoluzione dello stesso perché il fatto non era più previsto come reato.

I giudici d’appello nell’esaminare i motivi di impugnazione formulati dai soccombenti all’esito del primo grado di giudizio, dopo aver rigettato l’eccezione in rito circa la presunta mancanza di notizia di danno specifica e concreta (per aver legittimamente appreso la Procura contabile ogni informazione circa i danni in questione nell’ambito dell’attività istruttoria ritualmente avviata a seguito della trasmissione della deliberazione di riconoscimento del debito fuori bilancio), hanno ritenuto corretta nel merito la decisione assunta dal giudice di primo grado.

La Sezione centrale ha infatti reputato che per la legittimità del riconoscimento del rimborso delle spese legali occorre che sussistano puntuali requisiti ed in particolare: la diretta connessione dei fatti oggetto di contestazione in sede processuale all’espletamento del servizio o all’assolvimento degli obblighi istituzionali, l’assenza di colpa in capo all’amministratore e l’assenza di conflitto di interessi con l’Amministrazione di appartenenza.

Nella fattispecie i giudici contabili hanno rilevato innanzitutto la mancanza di una diretta connessione tra i fatti contestati in sede penale all’ex Sindaco e le funzioni svolte come primo cittadino del comune emiliano. E’ stato infatti sottolineato che l’ex amministratore risultava essere stato imputato in qualità di componente del consiglio di amministrazione della società Agripolis s.r.l. (società partecipata dal Comune) per avere omesso di convocare senza indugio, pur ricorrendo i presupposti di cui agli artt. 2446 e 2447 cod. civ., l’assemblea dei soci[2] e non già quale Sindaco dell’ente locale. In ragione di ciò è emerso quindi che il processo penale è stato celebrato per fatti attinenti all’attività svolta in seno alla società partecipata, in alcun modo riconducibili alle funzioni espletate quale Sindaco, sicchè risultava palese la mancanza di un requisito di per sé essenziale per procedere al rimborso delle spese processuali.

In secondo luogo i giudici contabili rilevano l’esistenza di un conflitto di interessi tra l’ex amministratore ed il Comune quale ulteriore elemento impeditivo del rimborso, posto che l’ex sindaco si era trovato a ricoprire contestualmente le funzioni di primo cittadino e di amministratore di una società partecipata dal medesimo ente locale, versando in posizione di incompatibilitàprevista sin dall’art. 290, comma 2, regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148, dall’art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154 e confermata dall’art. 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 [3], come avevano avuto modo di sottolineare i giudici di primo grado.

La Sezione d’appello infine ravvisa altresì la mancanza del presupposto dell’assenza di colpa nella condotta dell’amministratore, vertendosi in un’ipotesi in cui l’amministratore stesso era stato assolto poiché il fatto non era punibile perché non più previsto dalla legge come reato e non già per insussistenza del fatto o per non aver commesso il fatto.  Ad avviso dei giudici contabili l’assenza di colpa viene meno nei casi di proscioglimento per prescrizione o amnistia e nel caso in cui il fatto non è punibile perché non più previsto dalla legge come reato.

Anche in ragione di tale circostanza quindi emerge la radicale assenza degli elementi giustificativi del rimborso delle spese processuali che risulta dunque essere stato corrisposto indebitamente.

In conclusione i giudici d’appello confermano integralmente la condanna di primo grado pronunciata nei confronti dei consiglieri che approvarono la delibera e del funzionario contabile, ravvisando una specifica responsabilità professionale di quest’ultimo per il parere reso circa la riconducibilità del rimborso delle spese legali contestato nell’ambito dei casi previsti, quali debiti fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, con attribuzione di una quota di responsabilità più elevata rispetto ai singoli consiglieri per il maggior grado di perizia professionale esigibile dallo stesso.

Adriano Gribaudo, magistrato della Corte dei conti


[1] Corte Conti, sez. giur. Emilia R., 25.2.2011, n. 77

[2] Si trattava verosimilmente della contestazione del reato di cui all’art. 2630 co. 2 n.2 c.c., vigente all’epoca dei fatti, con riferimento in particolare all’art. 2446 nel testo vigente antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs 17.1.2003 n. 6.

[3] Art. 63: “1. Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale:

1)  l’amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell’anno il dieci per cento del totale delle entrate dell’ente;

2)  colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell’interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione, fatta eccezione per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell’ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 per cento e fermo restando quanto disposto dall’ articolo 1, comma 718, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

3)  il consulente legale, amministrativo e tecnico che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai numeri 1) e 2) del presente comma;

4)  colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia. La pendenza di una lite in materia tributaria ovvero di una lite promossa ai sensi dell’articolo 9 del presente decreto non determina incompatibilità. Qualora il contribuente venga eletto amministratore comunale, competente a decidere sul suo ricorso è la commissione del comune capoluogo di circondario sede di tribunale ovvero sezione staccata di tribunale. Qualora il ricorso sia proposto contro tale comune, competente a decidere è la commissione del comune capoluogo di provincia. Qualora il ricorso sia proposto contro quest’ultimo comune, competente a decidere è, in ogni caso, la commissione del comune capoluogo di regione. Qualora il ricorso sia proposto contro quest’ultimo comune, competente a decidere è la commissione del capoluogo di provincia territorialmente più vicino. La lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilità soltanto in caso di affermazione di responsabilità con sentenza passata in giudicato. La costituzione di parte civile nel processo penale non costituisce causa di incompatibilità. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso;

5)  colui che, per fatti compiuti allorché era amministratore o impiegato, rispettivamente, del comune o della provincia ovvero di istituto o azienda da esso dipendente o vigilato, è stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile verso l’ente, istituto od azienda e non ha ancora estinto il debito;

6)  colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano notificazione dell’avviso di cui all’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;

7)  colui che, nel corso del mandato, viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilità prevista nei precedenti articoli.

2.  L’ipotesi di cui al numero 2) del comma 1 non si applica a coloro che hanno parte in cooperative o consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri pubblici.

3.  L’ipotesi di cui al numero 4) del comma 1 non si applica agli amministratori per fatto connesso con l’esercizio del mandato.”


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