Alle società strumentali in house può applicarsi il comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, che consente l’affidamento diretto di servizi a favore di società a capitale interamente pubblico nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house, anziché il comma 1 del medesimo articolo, che impone all’ente locale alternativamente la vendita a gara o la messa in liquidazione.

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, PAR 53/2013, Pres. E. Colasanti, Est. L. D’Evoli.

 Il quesito

Un ente locale ligure chiede alla Corte dei conti chiarimenti su un eventuale contrasto fra il comma 1 e il comma 8 dell’art. 4 del d.l. 95 del 2012, sulle società strumentali. Nello specifico, l’Ente chiede se alle società strumentali in house debba applicarsi il comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, oppure il comma 1 dello stesso articolo. Il comma 8, infatti, consente l’affidamento diretto di servizi a favore di società a capitale interamente pubblico nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Mentre il comma 1 del medesimo articolo impone all’ente locale, in alternativa, la vendita a gara o la messa in liquidazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento.

Il parere

La sezione Liguria, con il parere 53/2013, è dell’avviso che fra le due disposizioni, comma 1 e comma 8, dell’art. 4 del decreto sulla spending review del 2012 non sussista alcun contrasto, in quanto il comma 8 è da ritenere disciplina speciale, riferita alle società strumentali in house, mentre il comma 1 contiene la disciplina generale per le società strumentali con un certo fatturato da commesse della pubblica amministrazione ma senza i requisiti per essere qualificate, secondo la normativa europea, in house.

Il commento

E’ opportuno ricordare che le società strumentali in controllo pubblico sono all’attenzione del legislatore dal 2006. In quell’anno, infatti, con l’obiettivo di tutelare la concorrenza nel mercato degli appalti pubblici, e di assicurare la parità degli operatori, fu emanata una nuova disciplina delle società strumentali, più volte modificata negli anni, la cui corretta interpretazione ha generato una copiosa giurisprudenza (decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, meglio conosciuto come “decreto Bersani”).

Com’è noto, interessate dal decreto Bersani sono solo le società strumentali, ossia quelle società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali, che non si riferiscono direttamente ai cittadini,  ma agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società e che svolgono le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche per il perseguimento dei loro fini istituzionali (CdS , sez V, 7 luglio 2009, n. 4346). Mentre restano escluse dalla disciplina Bersani le società pubbliche di servizi pubblici locali e di servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

Queste Società possono svolgere la loro attività solo a favore degli enti costituendi, partecipanti o affidanti, ma non possono agire come competitors sul mercato. E’ necessario, infatti, “… separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti nello stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione” (Corte cost., sentenza n. 326/2008).

L’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 individua, in particolare, due categorie di attività vietate a queste Società, come ben sintetizzato nella sentenza del TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sentenza n. 196 del 21 febbraio 2013:

a) quelle incompatibili con il carattere strumentale della società: trattasi della produzione di beni e servizi non per un ente pubblico specifico ma per una pluralità di soggetti indeterminati, da considerare comunque vietate anche se scorporate e svolte da una società controllata (la catena societaria, benché allungata, sarebbe solo un espediente finalizzato a eludere il divieto, Corte Costituzionale, 1 agosto 2008 n. 326);

b) quelle incompatibili con l’esclusività dell’oggetto sociale, tra le quali, di certo, lo svolgimento di servizi pubblici: in questo caso è legittimo lo scorporo in una diversa società, a condizione, secondo l’orientamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 17/2011), che non si ravvisi nella creazione della società, anche di terza generazione, l’intenzione di eludere i divieti a carico delle società strumentali e che la diversa a società partecipata non benefici dell’intervento finanziario della società strumentale.

E’ pure noto che, con il diverso scopo di evitare sprechi, l’art. 4 del decreto legge n 95/2012, sulla revisione della spesa pubblica, individua una nuova tipologia di società strumentali, ossia quelle con un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato, per le quali vige l’obbligo di privatizzazione o chiusura, entro quest’anno, in quanto considerate fonte di potenziale spreco di risorse da evitare acquistando i servizi e i beni nel mercato tramite gara (comma 1), oppure devono essere ristrutturate e razionalizzate (comma 3).

Secondo il parere in commento della Sezione regionale di controllo per la Liguria, da quest’ultime vanno ulteriormente distinte le società strumentali in house, ossia a controllo pubblico totalitario, che svolgono la loro attività in via principale per la pubblica amministrazione e sottoposte al controllo analogo a quello che la stessa amministrazione svolge sui propri uffici e servizi, alle quali è possibile affidare direttamente servizi (comma 8).

A supporto di tale conclusione, tra l’altro, la pronuncia evidenzia due aspetti, che assumono rilievo. Da una parte, è citata una sentenza della giustizia amministrativa (Tar Lombardia, Sez. II, 21.2.2013, n. 196), secondo la quale la disposizione mira a restringere l’obbligo di dismissione delle società entro limiti precisi, lasciando – per il resto – alle società che svolgono anche servizi strumentali la possibilità di proseguire. Dall’altra, poi, è sottolineato come una diversa interpretazione condurrebbe ad una soluzione illogica sul piano ordinamentale, in quanto destinata a rendere del tutto superflua la previsione del comma 8 ed a sopprimere, nell’ordinamento nazionale, l’istituto delle società in house, tipicamente di derivazione comunitaria.

In senso conforme alla Sezione Liguria si è espressa anche la Sezione regionale di controllo per la Campania, secondo cui non tutte le società strumentali rientrano nella previsione dell’art. 4 comma 1 del d.l. n. 95, ma vi restano escluse: (a) le interamente pubbliche e sottoposte al divieto ex art. 13 del decreto 223 del 2006, come confermato dalla previsione del comma 8 dello stesso articolo 4 del richiamato d.l. 95; (b) quelle nelle quali l’amministrazione socia non eserciti una posizione di controllo diretto o indiretto; (c) quelle cd. di terzo grado ove il capitale è posseduto (in tutto o in parte) da società a loro volta partecipate da amministrazioni locali, “formando così un sistema complesso in cui la terza società non opera alle dirette dipendenze dell’ente affidante, ma attraverso la mediazione della società partecipata di secondo livello”; (d) quelle che abbiano prodotto un fatturato inferiore al 90 per cento nei confronti di pubbliche amministrazioni; (e) le cd. holding degli enti locali qualora queste si limitino a gestire le partecipazioni dell’ente, finanziandosi esclusivamente con i relativi dividendi; (f) quelle espressamente escluse dal comma 3 dell’art. 4 del d.l. 95 (PAR 88/2013 del 9 maggio 2013).

E’ da ricordare, per inciso, che la sorte dell’art. 4 del d.l. n. 95 è legata all’esito del giudizio di legittimità costituzionale cui è stata sottoposta l’intera disposizione con i ricorsi presentati dalle Regioni Lazio, Veneto, Campania, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Puglia, in relazione agli artt. 119, 123 e 117 della Costituzione.

Un solo auspicio, allo stato dell’arte, è possibile: la disciplina speciale delle società pubbliche, creatasi negli anni in maniera frammentaria e disorganica, oggetto anche di contrastanti orientamenti giurisprudenziali, sia rivista e, magari, riepilogata, in un provvedimento legislativo di complessivo riordino.

Giuseppe Panassidi – Marco Rossi


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