Non sussiste responsabilità amministrativa del “capo dell’amministrazione”, per mancanza dell’elemento psicologico, se i vizi del procedimento risultano di difficile percezione da parte di un “non addetto ai lavori” per essersi conclusa favorevolmente la relativa istruttoria con l’acquisizione dei pareri favorevoli dei responsabili dei servizi.
Corte dei conti, sez. giurisd. centrale di appello, sentenza n. 107 /2015, del 4 febbraio 2015, Pres. M. Colella, Est. M. Orefice
Il fatto
L’ex Presidente della Provincia di Firenze ricorre avverso la sentenza non definitiva della Sezione giurisdizionale Toscana n. 282/2011, del 4 agosto 2011 e la sentenza della medesima Sezione n. 227/2012, in data 9 maggio 2012, che lo avevano condannato al risarcimento del danno per avere concorso con colpa grave alla formazione di talune deliberazioni giuntali attributive al personale del suo staff di un trattamento economico superiore al dovuto. Il fatto contestato riguardava, in particolare, personale assunto per l’ufficio di staff e retribuito, ancorché fosse privo di laurea e sfornito di un valido percorso sostitutivo, con il trattamento normalmente previsto per il personale laureato.
La sentenza
Per i giudici contabili di appello, è sufficiente ad escludere la responsabilità amministrativa del presidente della provincia, per mancanza dell’elemento psicologico, la circostanza che i relativi provvedimenti fossero stati assunti sulla scorta di diversi pareri favorevoli di regolarità tecnica e amministrativa. A nulla rileva il fatto che il presidente stesso avesse indicato nominativamente i componenti della propria segreteria, avesse preso visione dei relativi curricula, e avesse sottoscritto i relativi provvedimenti di nomina.
Ciò in quanto, “l’istruttoria amministrativa, i pareri (ben quattro) resi nell’ambito dei procedimenti interessati e i relativi contratti sono stati curati dall’entourage amministrativo e dalla struttura amministrativa provinciale che hanno sottoposto all’organo politico una documentazione corredata da sufficienti, apparenti garanzie tanto da indurre ad una valutazione generale di legittimità dei provvedimenti in fase di perfezionamento“.
La Corte aggiunge che, anche se nella fattispecie non ricorrano “gli estremi della cosiddetta “esimente politica”, permane l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un “non addetto ai lavori”.
Considerazioni
Com’è noto, l’ “esimente politica” è prevista dall’art. 1, comma 1-ter, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, secondo cui «… Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione». E’ pure noto che questo istituto è un necessario corollario logico del principio della distinzione collaborativa fra competenza e responsabilità del vertice politico e funzioni e responsabilità del vertice burocratico, fissato dall’art. 4 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e ribadito, per quanto riguarda l’ordinamento dei comuni e delle province, dall’art. 107 del TUEL.
L’esimente in parola, per consolidata giurisprudenza contabile, non opera:
a) nelle materie di non particolare difficoltà tecnica o giuridica per le quali l’evidente erroneità dell’atto è sufficiente ad escludere la stessa buona fede dell’organo politico (sez. Basilicata, sentenza n. 143 del 7 settembre 2007; sez. centrale II/A, sentenza n. 255 dell’11 luglio 2006; sez. Lazio, sentenza n. 2087 del 12 ottobre 2005; sez. I/A centrale. n. 282 del 7 agosto 2002);
b) se l’organo politico ha esercitato un’attribuzione propria, per la quale gli uffici tecnici – amministrativi hanno espletato funzioni istruttorie ovvero consultive e comunque di mero supporto strumentale (Sez. II/A, sentenza n. 303 del 3 novembre 2003).
La decisione dei giudici contabili si discosta in un certo senso dalla giurisprudenza prevalente. La sentenza, infatti, correttamkente esclude l’applicabilità del suddetto istituto dell’ “esimente politica”, e non poteva fare altrimenti, dato che il provvedimento de quo rientrava nella competenza dell’organo politico (giunta e presidente). Ma, nel contempo, fa ricorso alla stessa ratio a base del principio del legittimo affidamento, per sostenere l’insussistenza dell’elemento psicologico: il deficit di conoscenze di un “non addetto ai lavori” che “si è fidato” della competenza dei soggetti preposti all’istruttoria tecnico – amministrativa del procedimento. Circostanza quest’ultima che, semmai, avrebbe potuto condurre solo a ridurre l’addebito nei confronti del convenuto e non certo ad manlevarlo da ogni responsabilità.
Nel caso oggetto del giudizio, sembrerebbe del tutto evidente che non ci sarebbe stato bisogno di una capacità ermeneutica che implicasse particolari conoscenze giuridiche: era sufficiente una mera lettura della norma per cogliere l’evidenza dell’erroneità della decisione poi assunta.
E’ da annotare che i giudici non hanno preso in considerazione la disposizione introdotta dall’art. 11, comma 4, del decreto – legge n. 90 del 2014 all’art. 90 del TUEL con l’aggiunta del comma 3 -bis, secondo cui “Resta fermo il divieto di effettuazione di attivita’ gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, e’ parametrato a quello dirigenziale“. La richiamata disposizione, ancorchè con un lessico un pò oscuro e bizantino, sembrerebbe acclarare la possibilità di parametrare il trattamento economico dei “porta borse” sprovvisti laurea, a quello dei dirigenti.
Giuseppe Panassidi