La nuova disciplina normativa sulle capacità assunzionali dei Comuni si applica, a decorrere dal 20 aprile 2020, anche nel caso in cui gli enti abbiano approvato il piano triennale sul fabbisogno del personale, senza avviare le relative procedure concorsuali, prima dell’entrata in vigore del decreto attuativo previsto dall’art. 33 del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

La mobilità tra enti soggetti al medesimo regimi sui limiti di spesa per il personale, diversamente dal passato, non è più “neutra”, in quanto i nuovi spazi assunzionali sono fondamentalmente legati alla sostenibilità finanziaria della spesa del personale.  

Corte dei conti, sezione regionale per il controllo della Lombardia, deliberazione n. 74 del 28 maggio 2020; Pres. M. Riolo, Rel. G. M. Gallo 

A margine

I quesiti – Un Comune chiede alla Corte dei conti di rendere un parere in merito ai seguenti quesiti:

  1. se la nuova disciplina normativa in materia di capacità assunzionali, prevista dal comma 2 dell’art. 33 del decreto legge n. 34 del 2019, come modificato dal comma 853 dell’art. 1 della legge del 27 dicembre 2019, n. 160, si applichi alle assunzioni programmate dopo l’entrata in vigore del decreto attuativo, recante “Misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni”, pubblicato in G.U. il 27 aprile 2020;
  2. se il piano triennale sul fabbisogno del personale, approvato antecedentemente al decreto, consenta l’applicazione della pregressa normativa sulla base del quale è stato impostato;
  3. se la mobilità rivesta ancora carattere neutro e non rientri nella nuova disciplina.

La deliberazione

La Corte dei conti richiama, innanzitutto, l’art. 33, comma 2, del decreto legge 30 aprile 2019 n. 34 nel testo risultante dalla legge di conversione 28 giugno 2019 n 58, come modificato dall’art. 1, comma 853, lett. a), b), e c), della legge 27 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, che ha apportato significative modificazioni alle facoltà assunzionali dei Comuni.

I giudici contabili ricordano che in attuazione della citata normativa, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica ha adottato, il 17 marzo 2020, il decreto con cui sono stati individuati i valori soglia, differenziati per fascia demografica, del rapporto tra spesa complessiva per tutto il personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione, stabilendo, altresì, le percentuali massime annuali di incremento della spesa di personale a tempo indeterminato per i comuni che si collocano al di sotto dei predetti valori soglia.

Primo quesito – In ordine al primo quesito sulla decorrenza della nuova disciplina, la Corte ritiene che “le disposizioni contenute nell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019 si applicano ai comuni con decorrenza dal 20 aprile 2020“.

Secondo quesito – In ordine al secondo quesito sull’applicabilità o meno della pregressa normativa in materia assunzionale nel caso che il piano del fabbisogno di personale sia stato approvato antecedentemente al decreto, i giudici contabili rilevano un problema di diritto transitorio tra la pregressa e la nuova normativa, che però non trova regolamentazione né nell’art. 33, comma 2, del decreto legge n. 34/2019, né nel decreto attuativo del 17 marzo 2020 che ha fissato la decorrenza del nuovo regime. La risposta al quesito, pertanto, involge la tematica dell’applicazione della legge nel tempo, in stretta connessione con l’articolazione delle procedure assunzionali. Ciò implica la necessita di soffermarsi sulla valenza dei piani di fabbisogno. Com’è noto, il piano triennale del fabbisogno del personale, previsto dall’art. 6 del D. Lgs. 165/2001, rappresenta, nell’ambito del concetto della programmazione, uno strumento diretto a rilevare le esigenze dell’amministrazione, si sviluppa in prospettiva triennale ed è adottato annualmente in relazione alle mutate esigenze. Si tratta, cioè, di uno strumento programmatorio che precede l’attività assunzionale dell’Ente e ne costituisce, nel rispetto dei vincoli finanziari, un indispensabile presupposto. Esso, tuttavia, essendo preliminare e distinto dalla procedura assunzionale, non può segnare con la sua adozione la data per l’individuazione della normativa da applicare a detta procedura, e segnatamente ai criteri di determinazione della relativa spesa, sottoposta, invece, sulla base del principio tempus regit actum, alla normativa vigente al momento delle procedure di reclutamento.

Più chiaramente, alle procedure assunzionali successive alla data del 20 aprile 2020, in assenza di una disciplina transitoria dettata dal legislatore, va applicata la nuova normativa di cui all’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019, indipendentemente dalla precedente adozione del piano di fabbisogno, che si configura, per quanto già detto, come strumento flessibile allo jus superveniens in materia di spesa del personale. Giova richiamare, al riguardo, la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 25/SEZAUT/2014/QMIG, laddove ha avuto modo di affermare che “è da … escludere la possibilità di considerare virtualmente esistente una spesa di personale solamente programmata, ma non effettuata (cd. “effetto prenotativo” della spesa)”. Sulla irrilevanza degli atti di programmazione ai fini della risoluzione di questioni di diritto intertemporale, cfr. Sezione Controllo Toscana n. 105/2010/PAR; Sezione Controllo Abruzzo n. 24/2018/PAR.

Terzo quesito – In merito, infine, al terzo quesito sulla neutralità della mobilità, i giudici osservano che l’art. 1, comma 47, della legge 30 dicembre 2004 n. 311, ha consentito di assumere per mobilità da altri enti soggetti a limiti di spesa senza accrescere la spesa complessiva. Per effetto di tale norma, la mobilità in entrata poteva coprire la mobilità in uscita e la mobilità in uscita non veniva considerata come cessazioni dal servizio utili per liberare risorse da destinare a nuove assunzioni. L’obiettivo è stato quello di garantire la possibilità che risorse umane, già esistenti nella pubblica amministrazione, potessero essere redistribuite in un’ottica di migliore efficienza ed economicità. Dal punto di vista finanziario, l’operazione si considerava neutra, trattandosi di dipendenti che già gravano sui saldi di finanza pubblica. Nella stessa direzione, l’art. 14, comma 7, del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 prevede “Le cessazioni dal servizio per processi di mobilità, nonché quelle disposte a seguito dell’applicazione della disposizione di cui all’articolo 2, comma 11, lettera a), limitatamente al periodo di tempo necessario al raggiungimento dei requisiti previsti dall’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over.

Nel sistema delineato dall’art. 33, comma 2, del decreto legge n. 34/2019, tuttavia, la c.d. neutralità della mobilità non appare utilmente richiamabile ai fini della determinazione dei nuovi spazi assunzionali, essendo questi fondamentalmente legati alla sostenibilità finanziaria della spesa del personale, misurata attraverso i valori soglia, differenziati per fascia demografica, del rapporto tra spesa complessiva per tutto il personale (senza alcuna distinzione tra le diverse modalità di assunzione, concorso o mobilità), al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione.

di Ruggero Tieghi


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