Le disposizioni del D.Lgs n. 165 che richiedono l’autorizzazione dell’ente per lo svolgimento di attività extra ufficio da parte del dipendente pubblico e impongono la restituzione delle somme indebitamente percepite in carenza di specifico nulla osta, hanno un fondamento preventivo-repressivo mirante a scoraggiare condotte antigiuridiche.

Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, 9 aprile 2015, Presidente C. Galtieri, Relatore G. Veccia

Sentenza n. 52-2015

Il caso

La vicenda trae origine da un esposto presentato alla Corte dei conti della Lombardia dal commissario straordinario di un’azienda ospedaliera verso un infermiere, colpevole di aver esercitato attività libero professionale retribuite, al di fuori del rapporto di lavoro, senza la previa autorizzazione.

All’esito delle indagini, l’ente contesta all’interessato il fatto e in assenza di controdeduzioni, lo invita a versare nelle proprie casse l’equivalente del compensi percepiti per l’attività non autorizzata, ai sensi dell’art. 53, comma 7, del d. lgs. n. 165-2001.

In assenza di riscontro del soggetto, la procura regionale, ravvisando gli estremi del danno erariale ai sensi del medesimo art. 53, c. 7 bis, attiva un giudizio di responsabilità nei suoi confronti richiedendo la condanna al pagamento della somma di euro 23.330,00, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio.

In particolare, la procura, considerati la lesione del principio di esclusività della prestazione nei confronti dell’ente (art. 98 Cost.) e il mancato riversamento dei compensi percepiti, afferma la sussistenza della responsabilità patrimoniale a carico del dipendente il quale, non avendo in alcun modo contestato quanto denunciato, avrebbe agito con intento doloso.

L’interessato non si costituisce in giudizio.

La sentenza

La Corte dei conti accoglie la richiesta della procura contabile ravvisando nella condotta del dipendente una violazione del principio di esclusività del rapporto di lavoro pubblico.

In proposito, il giudice richiama la valenza sanzionatoria dei cc. 7 e 7 bis dell’art. 53 del d.lgs. n. 165-2001, recentemente aggiornati dalla l. n. 190-2012, secondo cui:

“I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto d’interessi. […] In caso di inosservanza del divieto, salve le più grave sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”;

“L’omissione del versamento da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.

Ad avviso del collegio emerge con chiarezza il fondamento “repressivo-preventivo” della norma tendente a scoraggiare una condotta antigiuridica, mediante la “sanzione” della sostanziale disutilità, in ragione della previsione della spogliazione dei relativi proventi, della prestazione non autorizzata, integrata dall’obbligo della destinazione degli stessi all’amministrazione d’appartenenza e ciò a prescindere da eventuali ed effettivi nocumenti arrecati all’interesse patrimoniale della P.A..

Nel caso in esame, l’occultamento delle attività extra ufficio svolte, così come la piena consapevolezza dell’interessato della necessità di una preventiva autorizzazione, sembrano incontestabili.

Ne consegue la condanna del dipendente al riversamento dei compensi indebitamente percepiti nel bilancio dell’AO, per euro 23.330,00, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi, non sussistendo alcun presupposto per ridurre l’addebito.

La valutazione della sentenza

Il dovere di esclusività del dipendente pubblico, costituzionalmente riconosciuto all’art. 98 Cost., trova origine nel T.U. degli impiegati civili dello Stato, d.p.r. n. 3-1957, ed è completato dalle norme del d.lgs. n. 165-2001 e delle leggi nn. 145-2002 e 190-2012.

In particolare, il quadro legislativo attuale consente al dipendente pubblico con rapporto di lavoro a tempo pieno, di svolgere attività extra-ufficio retribuite, saltuarie e sporadiche, al di fuori dell’orario di lavoro, senza avvalersi di strutture e attrezzature dell’ufficio di appartenenza e senza pregiudizio per lo stesso, assicurando l’esercizio imparziale delle funzioni, previa autorizzazione dell’amministrazione nonché verifica dell’insussistenza di situazioni di incompatibilità.

Sul tema si ricorda la recente pronuncia del Tar Veneto, sez. I, 11 novembre 2014 n. 1375, nella quale il giudice amministrativo ha affermato che le prescrizioni previste dall’art. 53, comma 7 del d.lgs. n. 165-2001, trovano applicazione e si riferiscono, indistintamente, a tutto il pubblico impiego, compreso il comparto militare. Ad avviso del giudice poi, l’articolo in parola deve essere interpretato nel senso che il compenso debba essere preventivamente richiesto all’ente erogante solo se non ancora erogato, mentre dovrà pretendersi dal percettore se già incamerato dallo stesso (così anche Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 7 marzo 2013 n. 614).

Simonetta Fabris


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