Il trasferimento ai sensi dell’art. 33, quinto comma, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) non è direttamente applicabile, al pari di un qualsiasi altro comparto del pubblico impiego, al settore dei docenti universitari né sono giustificati, in base a casi specifici, trattamenti differenziati in violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Consiglio di Stato, sede giurisdizionale, Sez. VI, 16 settembre 2013, Presidente Severini, estensore De Michele.

Sentenza 4569-2013

Il caso

Il Consiglio di Stato giudica sul ricorso proposto dall’Università degli Studi di Parma per la riforma della sentenza n. 702-2012 del TAR Marche che concede il trasferimento di un docente universitario ai sensi dell’art. 33, quinto comma, della Legge n. 104 del 1992, presso la suddetta Università, dopo il diniego del suo Rettore.

La sentenza

La vicenda nasce dalla presentazione di una domanda di trasferimento da parte di un docente dell’Università di Camerino all’Università di Parma ai sensi dell’art. 33, quinto comma della Legge n. 104 del 1992, in qualità di unico familiare convivente in grado di assistere la madre, affetta da handicap grave e riconosciuto.

Il Rettore dell’Università di Parma si oppone all’istanza vista la non esigenza di docenti nel settore di riferimento dell’interessato per l’anno accademico 2010/2011. In particolare l’Ateneo non riconosce il diritto al trasferimento alla luce della propria autonomia nella valutazione dell’offerta formativa e nell’organizzazione interna. Peraltro, in base all’apposito Regolamento, tali passaggi sono ammissibili solo per la copertura di posti vacanti e previa specifica valutazione, con emanazione di un bando pubblico, in ossequio ai principi di imparzialità e trasparenza.

Su ricorso del docente, il giudice amministrativo di primo grado, pur ammettendo l’autonomia universitaria, sottolinea che le finalità della Legge n. 104 del 1992 ne impongono un’interpretazione costituzionalmente orientata anche nei confronti dei docenti universitari, pena la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione. Tra l’altro, alla data di presentazione dell’istanza, sarebbe stata disponibile una cattedra nel profilo dell’interessato mentre l’Università avrebbe continuato ad affidare incarichi esterni, a riprova dell’impossibilità di ricoprire tutte le ore di insegnamento curriculari con i docenti in organico.

In definitiva, il TAR Marche con sentenza n. 702-2012, sez. I, del 8 novembre 2012 accoglie il ricorso contro il diniego al trasferimento e lo riconosce.

L’Università di Parma ritiene la motivazione della sentenza di primo grado, insufficiente e contraddittoria e la impugna in appello. In particolare si evidenzia l’errore nell’applicazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 (sulla mobilità tra p.a.) ai professori universitari ai quali si applica invece il comma 2 dell’art. 3 del medesimo d.lgs. secondo cui “Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che lo regoli in modo organico, in conformità ai principi dell’autonomia universitaria […]”. Infine l’Ateneo afferma che l’art. 33 della Legge n. 104 del 1992, non riconosce un diritto soggettivo al trasferimento, ma rimette la possibilità di attivare apposite procedure ad una valutazione dell’ amministrazione.

Il Consiglio di Stato, nell’analizzare il caso, ritiene che la sentenza del TAR Marche non considera adeguatamente i presupposti applicativi della Legge n. 104/92 così come le peculiari condizioni dell’insegnamento presso le università, vista l’autonomia loro riconosciuta dall’art. 33 della Costituzione. E’ precisato che il principio di mobilità fra pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 30 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 muove dall’equiordinazione del personale, a seconda dei ruoli di appartenenza e delle qualifiche funzionali possedute, da utilizzare in qualsiasi sede.

Tale principio non può tuttavia essere applicato ai docenti universitari i quali sono inseriti in strutture la cui reciproca autonomia (didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile) è garantita dalla legge. (L. 9 maggio 1989, n. 168, art. 6). Per questi soggetti non si possono quindi individuare ragioni di indifferenziata applicazione delle procedure di mobilità, in qualsiasi luogo di lavoro, al pari dei dipendenti amministrativi. I professori universitari sono infatti selezionati secondo un giudizio tecnicamente discrezionale effettuato da una singola università, in corrispondenza all’offerta formativa della stessa, nonché in relazione a un richiesto livello scientifico.

In conclusione, secondo i giudici, una diretta applicazione ai docenti universitari dell’art. 33, comma 5,  della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, al pari di un qualsiasi altro comparto del pubblico impiego, non sembra configurabile, né sono giustificati, in base a casi specifici, trattamenti differenziati in violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Infine nella fattispecie non possono essere invocati nemmeno i principi generali definiti dalla Legge 104/92 la quale, più che un vero e proprio diritto, definisce un interesse protetto di tipo pretensivo laddove afferma che “il lavoratore ha diritto a scegliere […] la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere”, ma solo “ove possibile”, con subordinazione dell’interesse del dipendente alle esigenze organizzative dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato accoglie quindi l’appello dell’Università di Parma.

La valutazione della sentenza

La sentenza esaminata evidenzia un vuoto legislativo nella previsione di un’adeguata assistenza ai familiari, affetti da gravi patologie, dei docenti universitari e più in generale del personale di cui all’art. 3 del d.lgs. 165/2001. Per alcune categorie di questi soggetti, sottostanti al regime di “diritto pubblico”, la giurisprudenza ha comunque precisato la questione.

In particolare, nel caso del personale delle Forze Armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il TAR Lazio con sentenza n. 7638-2013 ha chiarito che, nelle more dell’adozione degli appositi provvedimenti legislativi di cui all’art. 19 della Legge n. 183/2010 (modificativa della L. n. 104/92), non sussiste alcun dubbio, in merito all’applicabilità del beneficio di cui all’art. 33 della L. n. 104/92 al suddetto personale. La norma di cui all’art. 19 ha infatti carattere programmatico, per cui si deve ammettere l’immediata operatività dell’art. 33, verso tali categorie di soggetti, considerato, peraltro, che la sua specificità può già essere tenuta in considerazione nell’esame delle istanze di trasferimento ex art. L. n. 104/92, in virtù dell’inciso “ove possibile”, che permette di apprezzare le esigenze organizzative e funzionali connesse al servizio da svolgere.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, pur recependo i criteri ispiratori della normativa sull’assistenza ai familiari, ha dettato una disciplina peculiare. Nella circolare n. 15098 del 30 novembre 1993 ha infatti, stabilito che la domanda di tramutamento del magistrato stabilmente convivente con parente o affine entro il terzo grado, portatore di handicap grave, da lui assistito, è valutata con precedenza su tutte le altre, se l’esigenza del familiare minorato di trasferirsi nella sede richiesta, per godere dell’ assistenza necessaria alla cura, è documentata.

Non c’è quindi un vero e proprio recepimento del diritto di avvicinamento (per consentire al magistrato di continuare ad assistere il familiare invalido, non altrimenti assistibile), ma un’articolazione dello stesso con riferimento alla situazione personale e agli altri parametri di valutazione previsti ai fini dell’attribuzione della sede. Peraltro la domanda di tramutamento assume precedenza solo se fondata sulla documentata esigenza di trasferirsi per assicurare al familiare disabile le dovute cure.

Ancora il Consiglio di Stato, nel parere della Sez. III, n. 1623 del 2000, ha osservato che, “oltre alla possibilità in concreto dell’assegnazione richiesta, è necessaria l’esistenza di un posto vacante nella sede di destinazione aspirata”.

Da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione (Sez. Lav., sent. n. 829 del 2001 e n. 12692 del 29-08-2002), definendo l’inciso “ove possibile”, ha esplicitamente affermato che il diritto di avvicinamento non è assoluto o illimitato, ma presuppone “la compatibilità con l’interesse comune”. In particolare il diritto al trasferimento non può essere fatto valere quando venga a ledere in misura consistente “le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi, soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico, in un danno per la collettività.”

di Simonetta Fabris


Stampa articolo