La pubblicazione completa di bandi di concorso nelle sole lingue tedesca, inglese e francese non rispetta il principio di proporzionalità e configura una discriminazione fondata sulla lingua, vietata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dallo Statuto dei funzionari europei.

Tribunale dell’Unione europea, sez. V, 12 settembre 2013, Presidente Papasavvas, relatore Vadapalas.

Sentenza n. T 126-09

Il caso

Il Tribunale dell’Unione europea giudica su un ricorso dello Stato italiano contro la Commissione europea per l’annullamento di tre bandi di concorso pubblicati nella GUCE, in versione integrale, nelle sole lingue tedesco, inglese e francese.

La sentenza

Il caso nasce nel 2009 con la pubblicazione nella GUCE di alcuni bandi di concorso nei settori della pubblica sanità e della sicurezza alimentare, da parte dell’ufficio europeo di selezione del personale (EPSO). I testi sono redatti nelle sole versioni tedesca, inglese e francese e sono finalizzati alla costituzione di un elenco per l’assunzione, presso la Commissione europea, di amministratori aventi cittadinanza bulgara, cipriota, estone, ungherese, lettone, lituana, maltese, polacca, rumena, slovacca, slovena e ceca.

I bandi prevedono inoltre che:

  • i candidati debbano possedere una “conoscenza approfondita” di una lingua tra il bulgaro, il ceco, il greco, l’estone, l’ungherese, il lituano, il lettone, il maltese, il polacco, il rumeno, lo slovacco, lo sloveno e “una conoscenza soddisfacente” di una seconda lingua, tra il tedesco, l’inglese o il francese;
  • i test di accesso saranno svolti in tedesco, inglese o francese così come due delle tre prove scritte cui avranno accesso gli ammessi;
  • tutta la corrispondenza (comprese le convocazioni alle varie prove) verso i candidati avrà luogo esclusivamente in tedesco, inglese o francese.

Per i medesimi bandi, la stessa GUCE reca degli avvisi sintetici in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea.

La Repubblica italiana contesta i bandi ritenendo che avrebbero dovuto essere pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. In particolare la scelta della diffusione nelle sole tre lingue così come la limitazione prevista circa le comunicazioni verso i candidati e lo svolgimento delle prove dei concorsi è ritenuta discriminatoria. Lo Stato chiede quindi al Tribunale l’annullamento.

La Commissione chiede di respingere il ricorso in quanto l’EPSO avrebbe fatto uso del margine di discrezionalità consentito alle istituzioni nell’applicazione del regime linguistico dai propri regolamenti interni (ex art. 6 del Regolamento n.1), estendendolo alla pubblicazione dei bandi di concorso controversi. Peraltro la pubblicazione degli avvisi sintetici in tutte le lingue rispetterebbe l’obiettivo di garantire l’uguaglianza dei candidati nell’accesso all’informazione.

Il Tribunale ricorda che la Commissione non ha mai adottato norme interne ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento n.1 per cui essa non può invocare una disposizione di cui non ha fatto uso.

I giudici richiamano poi l’articolo 1, paragrafo 2, dell’allegato III dello Statuto dei funzionari Ue che impone, per i concorsi generali, la pubblicazione di un bando nella GUCE. Ancora l’articolo 5 del Regolamento n.1, dispone che la Gazzetta ufficiale è pubblicata in tutte le lingue ufficiali. Conseguentemente i bandi di concorso devono essere pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali e la pubblicazione degli avvisi sintetici non può considerarsi sanante.

Ciò in quanto il soggetto che non possiede come seconda lingua una conoscenza del tedesco, dell’inglese o del francese risulta svantaggiato rispetto al candidato che invece la possiede, determinandosi una diversità di trattamento a motivo della lingua in violazione dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e dell’articolo 1 quinquies, paragrafo 1, dello Statuto.

Il Tribunale accoglie quindi la prima censura dello Stato italiano.

In riferimento al secondo punto, la Commissione sostiene che le limitazioni sulle comunicazioni e sull’espletamento delle prove nelle sole tre lingue esprimono l’interesse del servizio, che essa non è tenuta a motivare.

L’Italia ritiene invece che anche tale procedura discrimini una parte degli abitanti dell’Unione europea rispetto ai cittadini dei tre paesi in questione.

Il Tribunale ricorda che l’articolo 28, lettera f), dello Statuto richiede, per la nomina a funzionario, oltre la conoscenza approfondita di una lingua dell’Unione, una conoscenza soddisfacente di un’altra lingua dell’Unione, nella “misura necessaria alle funzioni da svolgere”. La norma, tuttavia, non definisce i criteri per limitare la scelta di tale seconda lingua nell’ambito delle 24 ufficiali. Peraltro la Commissione non è assoggettata ad un regime linguistico specifico.

In conclusione l’interesse del servizio deve essere giustificato e il livello di conoscenze linguistiche richiesto deve essere proporzionato alle effettive esigenze del servizio stesso. Nel caso in esame i bandi di concorso non contengono alcuna motivazione che giustifichi la scelta, come seconda lingua, delle tre lingue in questione.

Per questi motivi il Tribunale annulla i bandi di concorso.

I risultati dei bandi annullati restano comunque validi per tutelare il “legittimo affidamento” dei candidati prescelti.

La valutazione della sentenza

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea conferma la posizione espressa dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 27 novembre dello scorso anno (causa C‑566/10 P, Italia/Commissione), riaffermando l’uguaglianza fra tutte le lingue dei paesi membri.

Il trilinguismo dei più potenti stati d’Europa subisce una severa sconfitta, significativa per il futuro delle procedure di reclutamento del personale presso le istituzioni.

I giudici europei accolgono pienamente la tesi italiana, stabilendo che i concorsi pubblici per lavorare negli organismi UE devono essere svolti in tutte le lingue ufficiali dell’Unione.

La pubblicazione integrale dei bandi in sole tre lingue determina infatti una situazione di svantaggio a danno dei potenziali candidati non di madre lingua inglese, francese o tedesca, i quali sono costretti a utilizzare uno di questi tre idiomi per leggere la versione completa dei bandi.

Rispetto a un candidato inglese, francese o tedesco, chi avesse voluto partecipare risulta “svantaggiato”, sia sotto il profilo della corretta comprensione dei bandi, sia per la preparazione e l’invio della candidatura.

Infine anche se, la possibilità di prevedere prove e comunicazioni con la Commissione unicamente in una delle tre lingue è prevista dalle norme Ue, questa va adeguatamente giustificata.

La diversità di trattamento a motivo della lingua è infatti vietata dalla Carta dei diritti fondamentali e dallo Statuto del funzionari Ue, dove si prescrive  che «nel rispetto del principio di non discriminazione e del principio di proporzionalità, ogni limitazione di tali principi deve essere oggettivamente giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della politica del personale». I bandi di concorso controversi non contengono alcuna motivazione che giustifichi tale scelta.

Contro la decisione del Tribunale sarà ora possibile proporre appello davanti alla Corte di Giustizia europea.

di Simonetta Fabris


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