Responsabilità dirigenziale e retribuzione di risultato

L’organizzazione pubblica – fin dalle riforme degli anni ’90 –  si basa su due principi generali: un modello di gestione “per obiettivi”, che pone l’accento sui risultati e sulla capacità di dare risposte alle esigenze dei cittadini; la distinzione “collaborativa” fra le competenze dell’organo di direzione politica, concentrate sulla programmazione strategica e il controllo, e le attribuzioni della dirigenza amministrativa, investita di un’accentuata autonomia nella gestione amministrativa, finanziaria e delle risorse umane e nella realizzazione degli indirizzi degli organi politici.

Coerente con questo modello, è la previsione di una specifica responsabilità dei dirigenti, denominata correttamente responsabilità dirigenziale (o gestionale), in quanto non collegata alla valutazione di ogni singolo atto emanato, ma all’andamento generale della gestione cui il dirigente stesso è preposto.

Com’è noto, questa particolare responsabilità nasce per la violazione o per il mancato adempimento di quella particolare obbligazione di risultato, che consiste nel perseguimento degli obiettivi, fini e priorità fissati con le direttive degli organi di governo, e che il dirigente assume, in generale, con  l’incarico; in altri termini, per la violazione dei canoni di gestione.

Essa è sanzionata con la possibilità di non confermare o addirittura revocare l’incarico (art. 21 D.lgs 165/2001 e s.m.), ed è premiata con la cosiddetta “retribuzione di risultato”, componente variabile del trattamento accessorio dei dirigenti,  esigibile sulla base delle risultanze del sistema di valutazione adottato dall’ente, basato sulla performance organizzativa e individuale annualmente conseguita da ciascun dirigente, e presidiato da un apposito organismo tecnico (Nucleo di valutazione o Organismo indipendente di valutazione) –

In linea generale,per diversi anni, è prevalsa la tendenza delle pubbliche amministrazione a trascurare la valutazione della performance, organizzativa ed individuale, dei lori dirigenti e ad attribuire in maniera pressoché indifferenziata i “premi”.

E’ solo con il  D.Lgs 150/2009 (cosiddetta riforma Brunetta) che il tema della misurazione e della valutazione della performance ritorna al centro del dibattito  e del sistema, anche con la stretta correlazione attivata dal legislatore tra la presenza di tali meccanismi e la possibilità di distribuire le risorse a titolo di retribuzione di risultato. Basti ricordare che il D.Lgs 150/2009, all’art. 3, relativo ai «Principi generali», afferma che il rispetto delle disposizioni del Titolo «è condizione necessaria per l’erogazione di premi legati al merito ed alla performance», e all’art. 18 vieta espressamente «la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance in assenza delle verifiche e attestazioni sui sistemi di misurazione e valutazione».

Non si tratta di vere e prove novità: alcuni riferimenti analoghi erano già presenti nella riforma dei controlli interni n. 286 del 1999 e in talune disposizioni contrattuali, anche risalenti nel tempo, sul trattamento accessorio del personale degli enti locali e sulla corrispondenza stretta tra la possibilità di riconoscere gli istituti premianti ed il dimostrato conseguimento degli obiettivi gestionali.

Oggi sempre più è percepita la necessità di orientare e focalizzare il sistema nella direzione auspicata dalla normativa, accentuando la misurabilità dei risultati, sviluppando efficacemente il ciclo di gestione della performance e rendendo puntualmente riscontrabili i livelli di conseguimento degli obiettivi (soprattutto di efficacia esterna) mediante il ricorso ad appositi indicatori.

Il fine ultimo, coerentemente con le indicazioni normative, è di sviluppare un modello realmente manageriale e direzionale, nel quale i diversi meccanismi attivati (tra cui il sistema di misurazione e di valutazione) mirino ad assicurare «elevati standard qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale».

Con riferimento ai dirigenti, allo scopo di rendere concreta la responsabilità di risultato (nell’ ipotesi che gli esiti attesi non siano effettivamente conseguiti), il Decreto Brunetta nella definizione degli ambiti di misurazione e valutazione della performance individuale specifica i fattori a cui quest’ultima è collegata (art. 9).

Si fa riferimento, in particolare:

a) agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità;

b) al raggiungimento di specifici obiettivi individuali;

c) alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate;

d) alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata attraverso una significativa differenziazione dei giudizi.

Come si può notare gli aspetti considerati sono molteplici e tra di loro differenziati, riguardando i risultati dell’articolazione organizzativa di afferenza, gli specifici obiettivi individuali attribuiti, il contributo apportato alla struttura nonché la capacità di assolvere il ruolo di valutatore dei collaboratori.

A tali elementi è quindi necessario prioritariamente fare riferimento per valutare l’azione dirigenziale e per determinare l’indennità di risultato spettante in relazione a ciascun esercizio, sulla base del sistema adottato da parte del singolo ente.

 Sanzioni e retribuzione di risultato

Negli ultimi anni, però, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento una serie di fattispecie destinate a comportare riflessi sul trattamento retributivo di risultato della dirigenza in modo non strettamente correlato con gli esiti gestionali conseguiti (performance)

Si tratta, in particolare, di aspetti (talvolta anche di carattere formale), non immediatamente legati al raggiungimento di obiettivi gestionali, che riguardano il rispetto di vincoli normativi o disposizioni di legge ovvero determinate omissioni, riconducibili ai precetti costituzionali di «buon andamento» ed «imparzialità» dell’amministrazione.

L’obiettivo è di rafforzare l’impegno richiesto a ciascun dirigente su taluni ambiti specifici dell’azione amministrativa, determinando una peculiare forma di responsabilità di risultato di cui occorre tenere adeguatamente conto.

E’ interessante sottolineare, in proposito, come la sanzione prevista sia configurata in modo diverso in relazione alle diverse fattispecie selezionate.

Taluni casi, infatti, evidentemente ritenuti più significativi, sono esplicitamente sanzionati tout court con il divieto di attribuire l’indennità di risultato (es. irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile: art. 36 commi 3, 4 e 5 D.Lgs. 165/2001; mancato esercizio e decadenza dell’azione disciplinare: art. 55 sexies, c. 3, del D.lgs 165/2001; mancata adozione del Piano della performance, art. 10 D.Lgs n. 150/2009); altri comportano una riduzione di un’entità predeterminata del compenso incentivante (mancata osservanza da parte del personale del servizio cui è preposto il dirigente degli standard quantitativi e qualitativi: art. 21, comma 1 bis del D.lgs 165/2001); ulteriori ipotesi ancora devono essere tenute in considerazione ai fini della determinazione del premio da riconoscere senza una preliminare specificazione della misura dell’impatto.

In aggiunta, è rilevante evidenziare come si tratti di fattispecie estremamente differenziate il cui riscontro in concreto non si presenta certamente agevole, investendo ambiti fortemente eterogenei e richiedendo la collaborazione di una pluralità di attori.

Il quadro complessivo, indubbiamente dinamico e variegato, è individuato nell’allegato prospetto “Le fattispecie normative“.

Graduazione delle sanzioni

Nei casi in cui il legislatore individua una certa discrezionalità nella definizione della riduzione da applicare occorrerebbe, correttamente, definire preventivamente appositi criteri generali, idonei ad effettuare la graduazione della decurtazione da operare in relazione al “risultato” effettivamente spettante.

Le alternative possibili sono due:

1) considerare i diversi elementi nell’ambito della “griglia” destinata ad individuare il livello di performance dei diversi dirigenti, seppure con un approccio opposto rispetto a quello utilizzabile per gli altri elementi (come, ad esempio, la capacità di differenziazione nella valutazione dei collaboratori); in questo caso, infatti, è l’assenza di rilievi che determina un contributo positivo e favorevole alla performance riconosciuta ad ogni dirigente sottoposto al processo di valutazione;

2) quotare i diversi elementi indicati successivamente alla valutazione della performance individuale (sulla base dei diversi item previsti dal D.Lgs 150/2009), quali fattori che determinano la riduzione dell’ammontare del “risultato” effettivamente conseguito; in questo caso la valutazione dei dirigenti si concretizza essenzialmente in un doppio passaggio: dapprima la verifica della “performance” realizzata nel corso dell’esercizio e, successivamente, la verifica dei molteplici fattori che, secondo il legislatore, se esistenti, comportano una sorta di “penalizzazione” (vedi prospetto allegato).

 

Criteri di quantificazione

Effettuata tale scelta, poi, il problema concreto si traduce nella definizione delle modalità con cui quantificare la decurtazione da eseguire in relazione ai diversi elementi.

Tali riduzioni – tra l’altro – possono essere riferite al livello massimo teorico della performance dirigenziale (ossia 100%) oppure, soprattutto nella seconda alternativa testé individuata, quale riduzione applicata al livello di performance effettivamente conseguito dal singolo dirigente.

In ogni caso, vi è l’esigenza di quantificare l’impatto (in termini di responsabilità di risultato) derivante dal mancato rispetto degli elementi che sono puntualmente individuati dal legislatore, laddove non vi sia (come nella fattispecie del “lavoro flessibile”) un divieto assoluto.

Occorre, in altri termini, quantificare la riduzione da applicare da parte dell’organismo di valutazione in relazione alle diverse previsioni normative descritte, sulla base di una modalità che dovrebbe trovare una coerente disciplina nell’ambito del sistema di misurazione e valutazione della performance.

In particolare, sembrano ipotizzabili, sulla base della normativa vigente, le seguenti soluzioni per quantificare l’impatto delle disposizioni indicate:

1.) definizione di una riduzione percentuale per ogni singola violazione, omissione o irregolarità riscontrata (es. 1% o 2%), eventualmente con una differenziazione legata alla tipologia; in questo modo, ogni item verificato determina una corrispondente riduzione della performance riconosciuta a favore del singolo dipendente, tenuto conto nel numero delle situazioni accertate nel corso del periodo annuale esaminato; naturalmente, occorre prestare notevole attenzione nell’individuazione delle diverse riduzioni, in considerazione della circostanza che le fattispecie sono tra di loro tendenzialmente eterogenee (basti pensare che, per alcune di esse, osservano fattispecie non ripetibili nel corso dell’esercizio);

2.) definizione di una riduzione percentuale per ogni tipologia di violazione, omissione o irregolarità riscontrata (es. 5% oppure 10%); in questo modo, ogni tipologia di aspetto per cui sono state riscontrate delle problematiche comporta una corrispondente riduzione della performance riconosciuta a favore del singolo dipendente;

3.) definizione di un range (intervallo percentuale, compreso tra un minimo e un massimo) per ogni singola violazione, omissione o irregolarità riscontrata ovvero per ciascuna tipologia; in questo modo, riprendendo le prime due soluzioni ipotizzate, viene garantita una maggiore flessibilità ed una crescente discrezionalità nella considerazione degli elementi indicati, esercitata essenzialmente dall’organismo di valutazione, come da allegato prospetto riassuntivo.

Quest’ultima scelta consente migliori elasticità e possibilità di graduazione, che rappresentano aspetti rilevanti soprattutto se si tiene conto che le casistiche considerate sono tra di loro notevolmente eterogenee e, pertanto, una più ampia discrezionalità ne può consentire il migliore apprezzamento.

Assumendo l’ultima impostazione, la determinazione della percentuale di decurtazione potrebbe essere stabilita, nel caso concreto, prendendo un considerazione diversi elementi che, nel loro insieme, consentono di stabilire l’impatto negativo derivante dalle fattispecie indicate.

A titolo esemplificativo potrebbe essere utilizzati: a) il numero delle violazioni/inadempimenti accertati della stessa fattispecie; b) il numero delle violazioni/inadempimenti accertati di diversa fattispecie; c) la gravità dell’inadempimento/violazione; d) la reiterazione nel biennio precedente della violazione/inadempimento.

Gli strumenti di verifica

Altro aspetto rilevante nell’applicazione della disciplina è rappresentato dall’individuazione delle modalità con cui procedere e degli attori da coinvolgere per l’esecuzione degli accertamenti necessari per riscontrare i comportamenti che fanno “scattare” le decurtazioni, in relazione ai soggetti che ne sono destinatari.

Si tratta di un quadro di riferimento certamente composito ed articolato che presenta non poche criticità anche in relazione alla forte eterogeneità delle fattispecie interessate.

L’obiettivo conseguito dal sistema implementato dovrebbe avvalersi, per quanto possibile, di elementi tendenzialmente oggettivi e già disponibili, anche per evitare un eccessivo aggravio adempimentale.

Così, a titolo esemplificativo, ai fini delle verifiche in ordine alla trasparenza, possono essere utilmente impiegate le attestazioni a cui sono tenuti i nuclei di valutazione o organismi indipendenti di valutazione.

Conclusioni

Nell’ambito delle scelte dell’ente in ordine al sistema di valutazione del personale, quindi, sulla base delle disposizioni di legge e contrattuali, è necessario tenere conto di alcune specifiche norme che sono destinate ad incidere sulla retribuzione di risultato dei dirigenti in relazione a determinate previsioni che tengono conto di alcuni aspetti puntuali (talora di carattere formale).

Certamente si tratta di una logica che non sembrerebbe strettamente legata all’“elemento” del risultato a cui il D.Lgs 150/2009 correla la valutazione della performance dirigenziale ma che il legislatore collega strettamente alla premialità per incentivarne l’adempimento anche in chiave sanzionatoria.

Del resto, non si può nascondere, si tratta di profili che – come detto – si riconducono facilmente ai principi del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione a cui anche gli enti locali devono richiamarsi per conseguire appieno la propria ragion d’essere.

Va detto, infine, che vi è, poi, tutta una congerie di disposizioni e di norme nell’ordinamento che prende in considerazione genericamente la responsabilità dirigenziale, senza necessariamente correlarsi esplicitamente ad una responsabilità “di risultato” (si pensi, ad esempio, all’art. 21 del D.Lgs. 165/2001 richiamato anche in altre disposizioni).

Anche di tale aspetti, quindi, dovrà tenere conto l’ente una logica ampia di apprezzamento e valutazione del ruolo dirigenziale, in vista della migliore gestione del personale e del progressivo miglioramento delle condizioni di efficacia ed efficienza dell’operare.

L’allegato prospetto riassume la fonte normativa, la “fonte” per definire il rispetto o meno dell’indicazione normativa, e il range di riduzione nel’ambito del quale definire con i suddetti parametri la misura di decurtazione applicabile nel caso concreto.

Completano questa proposta uno schema di norma regolamentare per la definizione dei criteri generali e la scheda individuale per l’applicazione a ciascun dirigente dell’eventuale riduzione della valutazione ai fini della retribuzione di risultato (1)

Marco Rossi – Giuseppe Panassidi

Ha collaborato alla redazione degli allegati la dottoressa Stefania Fabris


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