La condotta del dipendente che discredita l’amministrazione di appartenenza, legittima la sanzione del licenziamento disciplinare ledendo irrimediabilmente il vincolo fiduciario che deve sussistere col datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza n. 1752 del 24 gennaio 2017, Presidente Macione, Relatore Blasutto

A margine

Nella vicenda, un dipendente comunale denuncia l’ente di appartenenza, con un esposto, per delle presunte violazioni edilizie da ultimo risultate infondate.

Per questa iniziativa, il comune avvia quindi un procedimento disciplinare consentendo al dipendente di presentare le proprie giustificazioni. Lo stesso risponde indirizzandole, non solo al segretario comunale, ma anche alla Prefettura, alla Procura e alla Corte dei conti nonché ad altri soggetti interni ed esterni all’amministrazione.

Conseguentemente il comune, ritenendo violato l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 del cc, dispone il licenziamento disciplinare.

Il Tribunale e la Corte di appello confermano l’operato dell’ente ritenendo la condotta dell’interessato di una gravità tale da giustificare la massima sanzione disciplinare, avuto riguardo al grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate al lavoratore ed all’intensità dell’elemento intenzionale.

Pertanto il dipendente ricorre in Cassazione.

Il collegio ricorda che la cooperazione del pubblico dipendente per l’emersione di fatti illeciti o comunque illegittimi, di interesse collettivo, posti in essere dalla P.A., è doverosa ai sensi dell’art. 54 bis del D.lgs. n. 165/2001 secondo cui: “…il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti o all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia…”.

Tuttavia, tale tutela opera solo “…fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile”.

Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato come il lavoratore, inviando le proprie controdeduzioni a soggetti estranei all’ente, ha posto in essere un comportamento non giustificato, non necessario e finalizzato a proseguire l’opera di discredito del datore di lavoro iniziata con il primo esposto, insinuando l’idea di una gestione “oscura” della cosa pubblica.

La palese infondatezza dei fatti denunciati non è poi nemmeno stata contestata dal dipendente.

Pertanto, la Corte di Cassazione conferma la validità del licenziamento disciplinare ritenendo dimostrata sia l’entità della diffusione delle notizie, sia la lesività delle stesse poi risultate del tutto infondate, nonché la finalità denigratoria insita nel comportamento del lavoratore idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il proprio datore di lavoro.

di Simonetta Fabris


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