Nell’ambito del sistema dei controlli interni degli enti locali, parzialmente ridisegnato ad opera del Decreto –  Legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla Legge 7 dicembre 2012, n. 213,  rientra una forma apparentemente inedita di controllo sugli organismi partecipati.

Infatti, l’art. 3 del Decreto, nello riscrivere l’art. 147 del Tuel, prevede, tra le finalità del sistema dei controlli interni, anche la verifica, attraverso l’affidamento e il controllo dello stato di attuazione di indirizzi e obiettivi gestionali e la redazione del bilancio consolidato, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità degli organismi gestionali esterni dell’ente. Altresì, rientra tra tali finalità la garanzia del controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l’impiego di metodologie di customer satisfaction. Ancora, per completezza, merita segnalare che la considerazione degli organismi gestionali esterni è espressamente prevista anche in attuazione del controllo sugli equilibri finanziari.

Si tratta di previsioni di per sé assolutamente opportune, attesa l’importanza che le gestioni esternalizzate hanno progressivamente assunto nel tempo, giocando un ruolo fondamentale ai fini del soddisfacimento quali-quantitativo dei bisogni dei cittadini, ma altresì ai fini della determinazione dei costi dei servizi pubblici prodotti.

Peraltro, merita osservare che questa forma di controllo dedicata agli organismi partecipati (così come, in generale, quella relativa alla qualità dei servizi erogati ed altresì il controllo strategico) è espressamente richiesta solo ad una parte degli enti locali, segnatamente quelli di media e grande dimensione. In particolare, in sede di prima applicazione tale forma di controllo si applica agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti, dall’esercizio 2014 agli enti con popolazione superiore a 50.000 abitanti ed a regime, dal 2015, agli enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti. La conseguenza è rappresentata da un’opportuna semplificazione del sistema dei controlli interni imposto agli enti minori, ma, altresì, da un forte ridimensionamento dell’attività di controllo richiesta alla parte prevalente degli enti locali.

Per fornire indicazioni di maggiore dettaglio, l’art. 3 del D.L. n. 174/2012 inserisce nel Tuel l’art. 147 quater, espressamente rubricato al controllo sulle società partecipate non quotate (sono espressamente escluse le società quotate, ossia le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, e le società da queste controllate).

Pur lasciando sufficiente discrezionalità di impostazione ai singoli enti locali, il legislatore individua i principali contenuti ed i momenti logici in cui questa forma di controllo va esercitata:

1) in sede preventiva, l’amministrazione deve definire per ogni società partecipata, anche ai fini della redazione della relazione previsionale e programmatica, gli obiettivi gestionali a cui la stessa deve tendere, nel rispetto di opportuni standard qualitativi e quantitativi, organizzando nel contempo un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa di quest’ultima, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica;

2) in sede successiva, l’amministrazione deve effettuare il monitoraggio periodico sull’andamento delle singole società partecipate, analizzando gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individuando le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente.

Come già anticipato, stante la rilevanza che il fenomeno delle società partecipate dagli enti locali ha progressivamente assunto, questo intervento normativo è sicuramente apprezzabile, rispondendo oltretutto alle sollecitazioni provenienti sia dalla magistratura contabile che dalla migliore dottrina economico-aziendale.

Nondimeno, alla decretazione d’urgenza pare corrispondere una solo parziale consapevolezza della complessità del fenomeno considerato.

Infatti, merita osservare che le indicazioni fornite dal legislatore sono di per sé coerenti e praticabili nei confronti delle società strumentali e delle società di servizi pubblici locali rispondenti al modello dell’in house providing, rispetto alle quali sarebbero persino possibili forme più pregnanti di controllo, pur nei limiti consentiti dalla disciplina codicistica, ed, aspetto ancor più rilevante, andrebbero comunque esercitate dalla generalità degli enti che ne detengono partecipazioni (in ossequio al requisito del “controllo analogo” richiesto dalla disciplina comunitaria in materia) e non solo dagli enti di maggiore dimensione (come invece parrebbe suggerire il testo normativo in commento).

Del resto, la praticabilità della forma di controllo introdotta dal legislatore non è altrettanto scontata per le altre fattispecie di società partecipate dagli enti locali. Nel caso di società controllate dall’ente locale, ma rispondenti al modello del partenariato pubblico-privato, ed ancor più nel caso di società nelle quali l’ente non detenga partecipazioni di rilievo, le concrete possibilità di controllo, tanto più preventivo, risultano inevitabilmente limitate e le stesse possibilità di contare su un appropriato sistema informativo, che ecceda gli obblighi civilistici e contrattuali, dipendono dalla disponibilità della società, anche in relazione ai relativi costi di progettazione, implementazione e funzionamento.

La rilevanza, ma altresì complessità e delicatezza della questione meriterebbe, quindi, un approccio più articolato, che fosse in grado di cogliere più efficacemente la varietà delle situazioni in atto. Senza dimenticare il fatto che, oltre che a società, gli enti locali possono partecipare ad un’ampia gamma di organismi esterni (istituzioni, aziende speciali, consorzi, fondazioni, associazioni, ecc.), nei confronti dei quali sarebbero opportune analoghe forme di controllo.

Oltre alle verifiche riguardanti le singole società partecipate, viene poi espressamente prevista la redazione di un bilancio consolidato, impostato secondo il principio di competenza economica, attraverso cui rilevare e rappresentare i risultati complessivi della gestione dell’ente e degli organismi dallo stesso partecipati.

Il tema, come noto, non è nuovo, trovando già espressa definizione in seno al D.Lgs. n. 118/2011, dedicato all’armonizzazione contabile e di bilancio in attuazione della L. n. 42/2009 sul federalismo fiscale.

Quella del consolidamento dei conti tra enti locali e loro organismi partecipati è un’esigenza particolarmente avvertita ed attesa, proprio per la rilevanza che nel tempo hanno assunto le gestioni esternalizzate, rendendo il bilancio dell’ente non più sufficiente ad offrire un’informazione chiara e completa sulla complessiva dinamica gestionale dei servizi offerti ai cittadini.

Nondimeno, trattandosi di materia che aveva già trovato una sua definizione, peraltro in via di affinamento ad opera dei principi contabili in corso di elaborazione, e per cui era già prevista l’applicazione a regime (dopo il periodo di sperimentazione in atto) per la generalità degli enti a partire dall’esercizio 2014, non è del tutto chiaro quale sia stato l’intento del legislatore. Per come la nuova norma è stata inserita nel Tuel, infatti, la stessa appare immediatamente cogente, quantomeno per gli enti con popolazione superiore a 100.000 abitanti, con un anticipo di due anni rispetto alla road map precedentemente tracciata. Nel contempo, la norma parrebbe escludere, anche a regime, la redazione del bilancio consolidato da parte degli enti con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che, per contro, vi sarebbero stati altrimenti tenuti, ovviamente in presenza di partecipazioni di controllo.

Per completezza, come accennato, merita ricordare che gli organismi partecipati assumono rilievo anche bambinello di ulteriori forme di controllo, come quella riferita agli equilibri finanziari, cui viene dedicato il nuovo art. 147 quinquies del Tuel, in relazione al loro andamento economico-finanziario, e quella riferita alla qualità dei servizi erogati, in relazione ai livelli di customer satisfaction, pure in assenza di uno specifico articolo del D.Lgs. n. 267/2000 ad essa dedicato.

In proposito, è possibile semplicemente osservare come il controllo degli equilibri finanziari, che trova una esplicita previsione in seno al D.L. n. 174/2012, rappresenta necessariamente una forma di monitoraggio che avrebbe comunque dovuto essere sistematicamente svolta, anche avendo riguardo agli effetti finanziari derivanti dalla detenzione di partecipazioni societarie e non. A sua volta, il controllo di qualità, in specie relativo a servizi esternalizzati, risulta concretamente attuabile solo se espressamente previsto dal relativo contratto di servizio, che rappresenta quindi la sede per la sua migliore definizione (anche in attuazione delle norme sulla class action nella pubblica amministrazione, ex D.Lgs. n. 198/2009).

In sintesi, il recente intervento del legislatore, mentre si fa apprezzare per l’intento di riaccendere l’attenzione sul tema dei controlli interni, sconta alcune debolezze sul piano sia dell’impostazione complessiva che della formulazione di dettaglio, che risultano sicuramente migliorabili.

 

(F.F. – M.R.)


Stampa articolo