E’ pronto l’elenco delle situazioni in cui il pubblico dipendente rischia di essere licenziato e  sembra che a metà febbraio sarà approvato dal Consiglio dei ministri.

L’elenco, ribattezzato  “decalogo per il licenziamento “, descrive le  situazioni di rischio – espulsione per i dipendenti pubblici: dalla falsa attestazione della presenza in servizio allo scarso rendimento, alle reiterate violazioni del Codice di comportamento (accettazione di regali costosi, abuso dell’auto di rappresentanza), ecc. In più, prevede la rivisitazione dell’iter del procedimento disciplinare con la riduzione dei termini di conclusione.

Il decreto conterrà, quindi,  “memo” e piccoli ritocchi, ma non  grandi novità a meno di sorprese dell’ultima ora. Può essere che “le cose ripetute giovino”, ma di certo non bastano. La burocrazia avrebbe necessità di misure concrete più incisive, attese da tempo, sempre annunciate e mai attuate: investimenti in nuove tecnologie, procedure snelle per accelerare l’iter burocratico delle “pratiche”, formazione continua del personale e, soprattutto, una dirigenza affrancata dalla politica. La macchina amministrativa avrebbe necessità poi di un’applicazione effettiva (e non solo formale) del criterio del “merito” come unico parametro per selezionare, valutare e premiare i pubblici dipendenti e, in ultima analisi, come strumento per valorizzarli. Sarebbe indispensabile, più in generale,  un quadro normativo di riferimento meno complicato e più ordinato, ricco di norme utili ed efficaci di facile lettura e pronta applicazione e privo di deroghe e proroghe. Sarebbe necessario, in sostanza, l’esatto contrario di quello che succede ancora oggi, nonostante  i continui riferimenti alla semplificazione e la recente regolazione  connotata dalla cosiddetta soft low (vedasi nuovo codice dei contratti pubblici e normativa  anticorruzione e trasparenza, attuate con Linee guida e decreti ministeriali).

Di tutto questo non c’è traccia nelle riforme degli ultimi decenni, nonostante le reiterate promesse di interventi risolutivi annunciati dai vari governi, compresi quelli in carica. Nel frattempo continua ad essere propinata la solita strategia comunicativa che mira a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle “malefatte” dei pubblici dipendenti per distoglierla dai veri problemi, cercando così di colmare il «vuoto assoluto» di idee e di progetti e la mancanza di finanziamenti per far ripartire l’inceppata macchina amministrativa, superare l’incaglio e recuperare il rapporto, oggi  molto compromesso, fra cittadino e amministrazione pubblica.

Anche la riforma avviata dal Governo Renzi non va nella giusta direzione ed è auspicabile che lo stop determinato dalla bocciatura della Consulta  della legge 7 agosto 2015 n. 124, sia un’opportunità per rivedere un’impianto complesso e inutile che avrebbe il solo effetto di consegnare in modo definitivo la dirigenza nell’abbraccio mortale del potere politico.


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