Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23-ter, comma 1, lettera g), del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui stabilisce che le risorse da valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti locali trasferiti ai fondi comuni di investimento immobiliare (di cui alla medesima disposizione), devono essere destinati alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza di questo, o, comunque, per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento.

Corte costituzionale, sentenza 19 giugno – 18 luglio 2013, n. 205, Pres. F. Gallo, Redattore A. Criscuolo.

La norma censurata

L’art. 23 ter, comma 1, lett. g), del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dispone che le risorse da valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi d’investimento immobiliare previsti dalla stessa disposizione, devono obbligatoriamente essere destinate,in toto, in ordine di priorità:

a)      a ridurre il debito;

b)      a spese di investimento.

La destinazione a spese d’investimento può essere legittimamente effettuata solo in assenza del debito, o, comunque, per la parte eventualmente eccedente. Tenuto conto che è difficle ipotizzare un Ente senza debito, la norma prevede di fatto un’unica destinazione: la riduzione del debito.

Questa previsione normativa si aggiunge a quella dell’art. 66, comma 9, del decreto-legge, n. 1/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2012, secondo cui le regioni, le  province,  i  comuni,  anche  su  richiesta  dei soggetti interessati possono vendere o cedere in  locazione,  per  le finalita’ e con le modalita’ di cui  al  comma  1,  i  beni  di  loro proprietà  agricoli  e  a  vocazione  agricola, e  compresi   quelli attribuiti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, ma devono destinare le relative risorse derivanti dalle operazioni di dismissione  alla riduzione del loro debito. La Corte aveva escluso l’illegittimità costituzionale di questa disposizione (sentenza n. 63/2013).

La Regione del Veneto ha sollevato questione di legittimità costituzionale, fra l’altro, nei confronti dell’art. 23 ter della spending review del 2012, ritenendolo lesivo dell’autonomia regionale. La Regione, in buona sostanza, contesta la competenza legislativa statale in materia, ritenendo  chedella valorizzazione o alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti territoriale rientri nella competenza residuale della Regione, in quanto  materia non ricompresa fra quelle di esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, della Cost. né in quelle di legislazione concorrente di cui allo stesso art. 117 comma 3.

La Regione ricorrente lamenta anche l’introduzione di una disposizione puntuale e di estremo dettaglio, in violazione della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), in quanto dispone un preciso vincolo di destinazione per le risorse derivanti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti locali trasferiti ai fondi comuni di investimento immobiliare.

La sentenza

Per la Corte costituzionale la questione sollevata dalla Regione ricorrente non è fondata. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, nella fattispecie lo Stato ha effettuato una scelta di politica economica nazionale, per far fronte all’eccezionale emergenza finanziaria del Paese, per il perseguimento di un obiettivo di interesse generale “in un quadro di necessario concorso, anche delle autonomie, al risanamento della finanza pubblica”.

Per la Corte, in particolare, ricorrano nella fattispecie le due condizioni che rendono legittimo l’imposizione da parte dello Stato di vincoli alle Regioni:

a) la necessità di perseguire obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica con un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente;

b) la non esaustività degli strumenti o modalità scelti per il perseguimento degli obiettivi di riequilibrio.

La Corte ravvisa il rispetto delle due suddette condizioni nella disposizione censurata, in qunato, da un lato, sussiste la facoltà di scelta da parte della Regione fra valorizzazione e dismissione del patrimonio e, dall’altro, la finalizzazione della previsione del vincolo alla destinazione delle risorse, al conseguimento della riduzione del debito pubblico,  esprime un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

Conclusioni

La sentenza n. 205/2013 ribadisce un ormai  costante orientamento della giurisprudenza della  Corte in materia di legittimità dei limiti di spesa imposti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali.

Il Giudice delle leggi, in diverse sentenze, ha sostenuto, infatti, che norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica se sono rispettate le seguenti due condizioni (sentenze n. 237 del 2009, n. 139 del 2009 e nn. 289 e 120 del 2008):

a)   sussistenza di obiettivi di riequilibrio della spesa pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente;

b)      previsione per il perseguimento dei suddetti obiettivi, di strumenti o modalità non esaustive.

La stessa Corte ricorda la recente sentenza n. 63 del 2013, con la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 66, comma 9, del decreto-legge, n. 1/2012,  nella parte in cui stabilisce che gli enti territoriali destinano le risorse derivanti dalle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola alla riduzione del proprio debito, sulla base delle seguenti considerazione riprese nella sentenza n. 205 annotata:

–      la correlazione funzionale tra operazioni di dismissione dei terreni demaniali e riduzione del debito risponde ad una scelta di politica economica nazionale, adottata per far fronte alla eccezionale emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando, e si pone, quindi, come espressione del perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un quadro di necessario concorso, anche delle autonomie, al risanamento della finanza pubblica;

–      l’imposizione del vincolo di destinazione è mezzo necessario al raggiungimento obiettivo di carattere generale della riduzione dei debiti dei vari enti in funzione del risanamento della finanza pubblica attraverso la dismissione di determinati beni.

 Giuseppe Panassidi


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