Con la legge n. 69/2009 il legislatore ha introdotto, com’è noto, sostanziali modificazioni alla legge n. 241/1990, in favore del cittadino, in particolare per quanto riguarda la riduzione dei termini per la definizione dei procedimenti amministrativi e la responsabilità dei dirigenti per la mancata osservanza degli stessi.

Con tale novella, il legislatore ha anticipato e, implicitamente, stimolato la formazione di un innovativo indirizzo giurisprudenziale, oramai consolidatosi, basato sul presupposto che, nell’attuale momento storico, “anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo”, con la possibile lesione, anche, “di un diritto della persona tutelato dalla costituzione, quale il danno da lesione al diritto inviolabile alla salute, denominato danno biologico” (Cons. Stato, Sez. V, sent. 1271, 2011) .

Il Ministero dell’interno, nel predisporre i nuovi termini di conclusione dei procedimenti di competenza, ha dimostrato di tenere in poco conto la richiamata volontà del legislatore, e il successivo indirizzo giurisprudenziale. Dopo una lunga gestazione, durata più di 2 anni, per la precisione 2 anni e 3 mesi, anche il Ministero dell’interno, finalmente, è riuscito a partorire i propri termini (per l’art. 7 della legge 69/2009 dovevano entrare in vigore il 4 luglio 2010!…), con l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 214, del 10 ottobre 2012.

Visti i risultati, riteniamo che il parto debba essere stato indolore. Infatti, basta scorrere la “tabella”, allegata al decreto, per accorgersi che il periodo di conclusione della maggior parte dei procedimenti è di 90 giorni, cioè il massimo previsto dalla legge n.69/2009.

Nonostante il tempo impiegato, quindi, non possiamo dire che vi sia stato uno studio approfondito e impegnativo nel diversificare le difficolta’ di trattazione delle varie pratiche da parte del Ministero dell’interno, il quale avrebbe dovuto considerare “la possibile insorgenza di difficoltà”, ma, nel contempo, presupporre come essenziale “ un’idonea capacità di risolverle entro termini ragionevoli” ( Cons. Giust. Amm. Sic. 1368/2010).

Tale mancanza di diversificazione si evidenzia, in particolare, per i procedimenti di competenza delle Prefetture e Questure, ove il termine è standardizzato in 90 giorni (il termine di 30 giorni si riscontra per soli 4 licenze, su 13, di competenza della Prefettura, mentre, per quelle della Questura, vi sono solo 3 termini di 60 giorni su 16).

Sembra, dunque, che il Ministero si sia dimenticato della sostanziale innovazione introdotta dalla legge n. 69/2009, che ha previsto la riduzione del periodo di tempo da 90 a 30 giorni, ove non sia stabilito diversamente dai rispettivi ministeri, che, peraltro, devono rispettare il limite massimo di 90 giorni, eccezionalmente e con particolari motivazioni i 180 giorni.

Sebbene, dunque, sia stata riconosciuta, ai singoli ministeri, la potestà di stabilire anche tempi di trattazione dei procedimenti superiori a 30 giorni, tuttavia, è da evidenziare che questi ultimi sono da considerare eccezionali e che, in quanto eccezioni, devono essere limitati alla trattazione di pratiche particolarmente complesse.

Quindi, se con la legge 69/2009 il legislatore ha voluto esplicitamente stabilire una sostanziale riduzione dei termini, stabilendo, anche per i regolamenti ministeriali, un limite massimo, peraltro non previsto dalla legge 241/1990, è di chiara evidenza che la finalità di tali modificazioni sono dirette a venire incontro alle esigenze del cittadino, cui è stato riconosciuto anche il risarcimento per “danno da ritardo”, contemperandole con quelle della pubblica Amministrazione.

Se il Ministero dell’interno avesse considerato tale finalità, avrebbe dovuto far oscillare i tempi dei procedimenti, in particolare quelli di competenza delle Prefetture e Questure, tra i 30 e i 90 giorni, dopo attenta, obiettiva analisi delle differenti difficoltà di trattazione delle singole autorizzazioni.

Riesce, quindi, difficile comprendere l’iter logico seguito dal Ministero nel determinare il termine di 90 giorni (3 mesi !..).

Riesce difficile, anche, giustificare tale termine, pur considerando l’attività procedimentale che deve essere svolta dai suddetti uffici. Nell’era della telematica ed informatizzazione, della reclamizzata interconnessione delle banche dati tra le varie pubbliche Amministrazioni, riesce difficile per il cittadino comprendere e giustificare perchè le autorità di P.S. debbano impiegare 90 giorni per il rilascio/rinnovo delle licenze di polizia.

Non possiamo, comunque, non riconoscere che nella suddetta “tabella”, per quanto riguarda i provvedimenti della Prefettura, sono stati inseriti anche termini di 30 giorni, ma, purtroppo, per il rilascio di autorizzazioni oramai desuete, come quella delle “passeggiate in forma militare con armi” (art. 29 T.U.L.P.S.).

Dunque, si ha la sensazione che, nonostante il tempo di 1 anno lasciato a disposizione dei ministeri per l’adozione dei rispettivi regolamenti, i ritardi dei quali, peraltro, sono stati anche giustificati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (circolare Presidenza Consiglio Ministri 4 luglio 2010), il Ministero dell’interno abbia provveduto in merito senza particolari approfondimenti e in maniera frettolosa.

Una prima riprova di un tal procedere si riscontra nell’art. 1 del decreto, con il quale viene stabilito che “sono abrogate le tabelle allegate al decreto del Ministro dell’interno 2 febbraio 1993, n. 284”. Infatti, una più approfondita e meno frettolosa predisposizione del regolamento avrebbe permesso di accertare che le “tabelle” del 1993 erano già state “abrogate” esplicitamente dall’art. 4 del Decreto ministeriale del 19 ottobre 1996, n, 702; queste ultime, a loro volta, erano state abrogate e sostituite da quelle del Decreto del 18 aprile, n. 142 del 2000; neppure queste sono da considerare vigenti, se non in parte , attese le modifiche introdotte dalla legge n. 69/2009. Con quest’ultima riforma, infatti, è stato stabilito che “le disposizioni regolamentari vigenti (D.M. n.142/2000 n.d.a.) alla data di entrata in vigore della presente legge (4 luglio 2010 n.d.a.), che prevedono termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti, cessano di avere effetto. Continuano ad applicarsi le disposizioni regolamentari…che prevedono termini non superiori a novanta giorni.” (art. 7 L. 69/2009).

 

Il Ministero dell’interno, quindi, avrebbe dovuto far riferimento alle “tabelle” del 2000, così come modificate dalla Legge n. 69/2009, o, perlomeno, aggiungere all’abrogazione delle “tabelle allegate al decreto del Ministro dell’interno 2 febbraio 1993, n. 284” la locuzione “e successive modifiche”.

Altra riprova di un procedere superficiale e frettoloso si rileva nel riscontrare il mancato inserimento di tre autorizzazioni di polizia particolarmente rilevanti.

Una è di competenza del Questore, relativa al “visto” per il “preventivo avviso” per trasportare armi nell’interno dello Stato da parte di chi non sia già titolare di licenza di porto di armi (artt. 34 T.U.L.P.S. e 54 Reg.). Le altre riguardano le licenze di porto di “rivoltelle o pistole” (art. 42 T.U.L.P.S.) e di fucile per difesa personale (artt. 42 T.U.L.P.S. e 3 D.P.R. 311/2001), rispettivamente di competenza del Prefetto e del Questore.

Riteniamo che il mancato inserimento della prima autorizzazione, relativa all’avviso di trasporto di armi, peraltro molto frequente, sia stata una vera e propria dimenticanza, riprova della superficialità con la quale è stato redatto il regolamento. In merito, essendosi dimenticati di stabilire un termine, deve essere preso in considerazione quello generale di 30 giorni, previsto dalla legge n.69/2009.

 Per quanto riguarda, invece, l’omesso inserimento della licenza di porto di pistola, nonché di quella di arma lunga per difesa, riteniamo che non si tratti di mera dimenticanza, ma della determinazione di voler ampliare i termini di rilascio oltre 90 giorni.

Infatti, relativamente al porto di pistola, la mancanza di questa licenza nel relativo elenco non può essere interpretata come mera omissione, tenuto conto che è stato inserito, addirittura, il termine per il rilascio della oramai desueta licenza di porto di bastone animato, contemplata nello stesso art. 42 del T.U.L.P.S., relativo alla licenza di porto di arma per difesa.

Si ritiene, pertanto, che, in considerazione, dell’importanza di quest’ultima autorizzazione, per la natura degli interessi pubblici da tutelare, tale termine supererà anche quello di 120 giorni, già stabilito nelle tabelle allegate al D.M. del 2000, con la presumibile previsione di 180 giorni, cioè il massimo previsto dalla legge n.69/2009.

Analoga considerazione deve essere fatta con riferimento all’omesso termine per il rilascio della licenza di porto di fucile per difesa personale. Infatti, sono stati stabiliti 90 giorni per la licenza di porto di fucile per uso di caccia e per quella del tiro a volo, non inserendo quella per difesa, ben più importante ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Si ritiene, pertanto, che il Ministero, come per la licenza di porto di pistola, trattandosi di autorizzazioni particolari, si sia determinato nel voler stabilire il termine massimo previsto dalla legge n. 69/2009, cioè quello di 180 giorni.

 Il differimento della emanazione dei termini di queste due ultime autorizzazioni, superando quello di 90 giorni, tenuto conto della “natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento”, è dovuto all’obbligo di seguire particolari procedure, previste dalla legge.n. 69/2009, con il coinvolgimento anche “dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri”.

L’adozione standardizzata, da parte del Ministero dell’interno, del periodo di tempo massimo di 90 giorni può trovare una sua giustificazione logica, non tanto nelle difficoltà burocratiche di trattazione delle relative pratiche, almeno per la loro maggioranza, quanto nella volontà di voler salvaguardare i propri funzionari e di volersi salvaguardare da richieste di risarcimento per il mancato rispetto dei termini. Infatti, e’ da evidenziare che, con la legge n. 69/2009 e con il decreto-legge 9 febbraio 2012 n. 5, convertito in legge n. 4 luglio 2012 n. 35, il legislatore ha voluto responsabilizzare sia la stessa P.A., sia il responsabile del procedimento e/o provvedimento, prevedendo “il risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

 Ne è da sottovalutare il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale sul riconoscimento del “danno da ritardo”, risarcibile indipendentemente dall’esito del procedimento (Cons. Stato 28 febbraio 2011, n, 1271), così come quello della dottrina, per la quale “l’interesse privato al rispetto dei termini del procedimento ha natura sostanziale ed è qualificabile come bene della vita in sé e per sé considerato”(D’Arienzo “La tutela del tempo nel procedimento e nel processo”, Napoli 2012, pg. 18).

 Di fronte a questo atteggiamento, seppur giustificabile, comunque sbilanciato a sfavore del cittadino e contrario alle finalità della normativa in materia, ci auguriamo che, vi sia un ripensamento del Ministero dell’interno, in previsione del “programma 2012-2015 per la misurazione e riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi”, stabilito dal decreto-legge n. 5/2012.

Ci auguriamo, infine, che, nel frattempo, il Ministero emani una circolare con la quale, alla stregua di quella del 1993 (n. 555/59 del 9 settembre), venga ricordato agli Uffici dipendenti che “i termini finali devono considerarsi termini massimi e non svincolano i responsabili del procedimento dall’obbligo di provvedere con tempestività, scongiurando che gli uffici siano portati a far coincidere, anche quando riescano a provvedere più celermente, i tempi normalmente occorrenti per concludere un procedimento con i termini finali”o ciò servirebbe a tenere alta la professionalità dei propri dipendenti, perché siano sempre consci che, come afferma Dante “il perder tempo a chi più sa più spiace”!…

 Angelo Vicari, dirigente della Polizia di Stato a.r.


Stampa articolo