IN POCHE PAROLE….

È illegittima l’informazione interdittiva applicata ad una persona fisica non imprenditore.


Tar Calabria, sez. staccata di Reggio Calabria, sentenza 3 gennaio 2022, n. 3 – Pres. Criscenti, Est. De Col


Nel Codice antimafia non si rinviene il riferimento all’adozione di informazioni interdittive antimafia nei confronti della persona fisica slegata da qualsivoglia attività imprenditoriale.

A margine

Una persona fisica impugna l’interdittiva antimafia adottata nei suoi confronti dal Prefetto ai sensi degli artt. 89 bis e 91 comma 5 del D.lgs n. 159/2011 e la presupposta richiesta di comunicazione antimafia inoltrata dalla Camera di Commercio ai fini dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali di una società che lo aveva indicato come responsabile tecnico.

A sostegno dell’illegittimità della misura interdittiva il ricorrente deduce:

a) la violazione degli artt. 83, 85, 91 del codice antimafia, in quanto l’informazione interdittiva sarebbe stata ingiustamente applicata ad una persona fisica non imprenditore, mentre la richiesta della Camera di Commercio sarebbe stata attivata fuori dalle ipotesi previste dall’art. 85 del codice antimafia;

b) l’eccesso di potere per travisamento dei fatti della valutazione prefettizia, non sussistendo validi elementi indiziari, all’infuori di rapporti di parentela con gli stretti familiari (già amministratori di società di alcune società interdette) da far ragionevolmente supporre il pericolo di condizionamento mafioso in una qualche attività di impresa, singola ed associata, nel caso di specie del tutto inesistente.

La sentenza

Il collegio accoglie il ricorso rilevando che il punto risolutivo della controversia verte unicamente sulla questione se la persona fisica che non riveste la qualità di titolare di impresa o di società, possa essere destinatario di una informativa antimafia di tipo interdittivo.

In proposito chiarisce che l’accertamento antimafia sulla persona fisica (direttore tecnico, dipendente, socio ed amministratore) è pur sempre funzionale ad una valutazione di permeabilità criminosa dell’impresa individuale o societaria cui la medesima è collegata e che abbia chiesto una licenza, una concessione, un’autorizzazione o di contrattare con la P.A. ovvero, come nel caso concreto, l’iscrizione ad un Albo.

Depongono in tal senso elementi di carattere testuale e logico-sistematico:

a) la definizione di informativa antimafia interdittiva, emergente dal tenore letterale del menzionato art. 84 del D.lgs n. 159/2011 che, rispetto alla comunicazione, “presenta un quid pluris individuabile nella valutazione discrezionale da parte del Prefetto del rischio di permeabilità mafiosa capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa…interdicendole l’inizio o la prosecuzione di qualsivoglia rapporto con l’Amministrazione o l’ottenimento di qualsiasi sussidio, beneficio economico o sovvenzione” (cfr. parere n. 1060 del 12 maggio 2021 dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato);

b) l’elenco tipizzato dei soggetti sottoposti a verifica antimafia indicato nell’art. 85 del D.lgs n. 159/2011 a seconda che i destinatari dell’interdittiva siano un’impresa individuale (comma 1) ovvero associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese (comma 2).

La sottoposizione a verifica antimafia di una persona fisica, quindi, deve essere necessariamente funzionale a significare eventuali condizionamenti criminosi nei confronti di un’impresa individuale o societaria organizzati dalla mafia, onde prevenire il rischio di inquinamento dell’economia legale; ed infatti, per la ditta individuale si richiede la sottoposizione a verifica del titolare o del direttore tecnico o dei familiari conviventi; per le società, associazioni, consorzi, etc., la platea di soggetti sottoposti a verifica è estesa ad altre categorie di persone, quali i soci, i legali rappresentanti, i membri dei collegi sindacali, etc… oltre a tutti i familiari conviventi.

Ciò sta a significare che le informazioni antimafia interdittive, attestanti la sussistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa, riguardano specificamente soggetti che sono ascrivibili alla categoria degli “operatori economici”, comprensiva delle persone giuridiche (società, imprese, associazioni) ovvero a quella delle ditte individuali, laddove la ditta coincide con la persona fisica.

Non si rinviene, invece, nella normativa, il riferimento all’adozione di informazioni interdittive antimafia nei confronti della persona fisica slegata da qualsivoglia attività imprenditoriale.

La ratio va ricercata nella funzione assolta dall’accertamento antimafia sulla persona fisica che è quella di misurare il grado di probabile inquinamento mafioso dell’impresa in cui essa risulta inserita o collegata al punto da impedire a quest’ultima di avere rapporti con la P.A. o di ottenere “iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati”.

Pertanto, nel caso di specie, non v’è ragione di giustificare, all’infuori dell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del D.lgs n. 159/2011, l’adozione di un provvedimento come quello impugnato, così gravemente pregiudizievole della sfera giuridica del singolo, sia a livello economico (si pensi all’impossibilità di reperire un posto di lavoro o di presentare una semplice SCIA) che a livello personale e sociale, con conseguente distorsione della finalità dell’informazione interdittiva orientata alla tutela dell’ordine pubblico economico e della libera concorrenza del mercato e non a “punire” la vita privata del singolo.

Pertanto il ricorso è accolto nella parte in cui solleva la questione della soggettività passiva del destinatario di un’informazione interdittiva che sia una persona fisica ancorché non imprenditore, con conseguente annullamento della medesima misura adottata dalla Prefettura.


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