Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35 del DL 201/ 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 del 2011, sui poteri dell’Autorità garante della concorrenza su tutti gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica, statale, regionale o locale ritenuti in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.
Corte Costituzionale, sentenza n. 20, del 17 novembre 2012 – 14 febbraio 2013, Presidente Franco GALLO, Redattore, Alessandro CRISCUOLO Corte Cost 20
Commento – Questa la conclusione della sentenza 14 febbraio 2013, con cui la Corte costituzionale ha respinto il ricorso della Regione Veneto, notificato il 21 febbraio 2012, volto a censurare i poteri d’intervento attribuiti all’Antitrust dal D.L. 201/ 2011, che ha introdotto nella legge 10 ottobre 1990, n. 287 l’art. 21-bis, rubricato sotto il titolo “poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza”. Come lascia intendere una siffatta locuzione, si tratta di norma che rafforza il ruolo dell’Authority assegnandole poteri più incisivi e, nello specifico, il potere di intervenire con un parere motivato, entro 60 giorni, su tutti gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica, statale, regionale o locale, che ritenga emanati in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. La disposizione impugnata prevede poi che, se la PA non si conforma ai rilievi entro i successivi 60 giorni, l’Autorità può presentare, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ricorso giurisdizionale entro 30 giorni. A fronte della latitudine di questo potere d’intervento, suscettibile di estendersi all’intera attività amministrativa dello Stato e delle Autonomie locali, la Regione Veneto ha evidentemente avvertito una potenziale minaccia alle proprie prerogative istituzionali, e non ha esitato a porre dinanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale. L’art. 21-bis in parola, si legge nel ricorso, finirebbe “col sottoporre gli atti regolamentari ed amministrativi regionali ad un nuovo e generalizzato controllo di legittimità, su iniziativa di un’autorità statale”, con l’inevitabile conseguenza di violare la competenza e l’autonomia istituzionale degli Enti territoriali, minando le basi dell’ordinamento giuridico vigente. In particolare, i poteri dell’Antitrust contemplati dall’art. 21 bis non rispetterebbero l’autonomia della PA garantita dalla nostra Costituzione, là dove la Carta prevede che, fatta salva la potestà regolamentare spettante allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, alle Regioni compete la potestà regolamentare in capo a ogni altra materia, mentre gli altri Enti territoriali – Comuni, Province e Città metropolitane – hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, comma 6 Cost.). In questa logica, la struttura di competenze delineata dalla norma costituzionale è talmente importante, che il successivo art. 118, ai commi 1 e 2, ne sottolinea la portata, statuendo che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. È il caso di rilevare, per inciso, che l’art. 21 bis della legge 287/1990 è davvero una novità di rilievo idonea a influire sensibilmente sull’esercizio dell’attività amministrativa svolta in concreto dalle Autonomie locali. Un esempio di tali effetti è fornito, proprio in questi giorni, dall’intervento d’ufficio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in tema di organizzazione del trasporto pubblico nella Capitale, con conseguenze suscettibili di incidere pesantemente sulla scelta deliberata dal Consiglio comunale della città di Roma per affidare in esclusiva ad ATAC Spa (società interamente partecipata dal Comune) dal 1 gennaio 2013 al 3 dicembre 2019 l’intero servizio del trasporto pubblico locale, comprendente il trasporto di superficie (bus, filobus e tram) e di metropolitana (linee A, B/B1 e C in costruzione), nonché il servizio di gestione dei parcheggi di interscambio e della sosta tariffata su strada, il servizio di gestione della rete delle rivendite dei titoli di viaggio, e, infine, il servizio di esazione e di controllo dei titoli di viaggio relativi alla rete periferica della Capitale stessa. Con la segnalazione in parola, l’Authority non si è limitata a prendere atto che la Consulta con sentenza n. 199/2012 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 del DL 138/2011 recante l’obbligo di mettere a gara i servizi locali di rilievo economico, e che il regolamento comunitario n. 1370/2007 in materia di trasporto pubblico consente alla PA di affidare in house tale servizio. L’Antitrust soggiunge, infatti, che in questa ipotesi è prescritta l’osservanza di talune regole a tutela della concorrenza, e, nello specifico, occorre che l’Ente locale: a) aggiudichi ad altro soggetto economico, scelto sul mercato con gara pubblica, almeno il 10% dei servizi affidati in house (art. 4-bis del DL 78/2009); b) pubblichi un’apposita relazione che, ai sensi dell’art. 34, comma 20, del DL 179/2012, dia conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta, e da cui risulti la definizione dei contenuti degli obblighi di servizio, con le relative compensazioni economiche ivi indicate. Considerato che la delibera consiliare sottoposta a scrutinio non reca traccia di questi adempimenti nello svolgimento dell’iter seguito, ora al Comune di Roma sono concessi 60 giorni per comunicare all’Antitrust le iniziative assunte per rimuovere la riscontrata violazione della concorrenza, con riserva da parte dell’Authority, in caso contrario, di presentare ricorso contro l’Ente ai sensi, per l’appunto, dell’art. 21-bis della legge 287/1990. Chiusa comunque la digressione, c’è da rilevare che il giudice delle leggi, nella pronuncia in esame, rileva per più di una ragione l’infondatezza della censura proposta. Osserva la Corte che “è inesatto parlare di «nuovo e generalizzato controllo di legittimità», là dove la norma – integrando i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990 – prevede un potere di iniziativa finalizzato a contribuire a una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (…) e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”. Se dunque, da un lato, il perimetro d’azione individuato dalla norma è circoscritto allo specifico ambito d’intervento dell’Antitrust, secondo il Collegio a ciò deve aggiungersi, d’altro lato, che la Regione ricorrente non indica gli atti amministrativi di propria competenza sottoposti al (preteso) “nuovo e generalizzato controllo di legittimità”, né chiarisce poi quale sarebbe l’espressione della potestà regolamentare e legislativa regionale che essa assume in concreto lesa dalla norma censurata. È fuor di dubbio che la sentenza della Consulta in esame è una pronuncia di grande rilievo e che non si limita, a dichiarare, sotto il profilo strettamente tecnico-giuridico, l’inammissibilità di una mera questione di legittimità costituzionale. La decisione sortisce infatti un indiscutibile effetto indiretto, tutto a vantaggio dell’Antitrust, che si sostanzia nel legittimare il ruolo più importante e incisivo che l’Authority è chiamata a svolgere nelle complesse dinamiche dell’economia di mercato, nei tempi odierni che si prospettano sempre più incerti e problematici.
Michele Nico*
* dirigente di ente locale