La Regione Puglia ha presentato ricorso alla Corte costiuzionale per la declaratoria di illegittimità costituzionale del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura», secondo cui il Governo avrebbe dovuto provvedere a varare un’ampia riforma delle Camere di commercio, tanto dal punto di vista geografico, della loro presenza nel territorio, quanto nell’organizzazione, nelle funzioni e nel finanziamento.

Diverse e ben motivate le eccezioni di incostituzionalità sollevate con il ricorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 6 dell’8 febbraio 2017. Fra queste, ne riportiamo alcune significative.

La Regione eccepisce, innanzitutto, che il decreto n. 219 del 2016 è stato emanato dopo la scadenza del termine previsto dall’ art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ossia oltre il 28 agosto 2016, (un anno dall’entrata in vigore della legge delega avvenuta il 28 agosto 2015). Sotto questo aspetto, a nulla varrebbe la proroga del termine di 90 giorni prevista dal comma 2 dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015, destinata a operare nel solo caso in cui il termine previsto per i pareri ivi contemplati (Conferenza unificata, Consiglio di Stato e Commissioni parlamentari competenti per materia) cada nei trentagiorni che precedono la scadenza «ordinaria» della delega,  ipotesi questa che non si è verificata nel caso del decreto legislativo impugnato.

Si legge nel ricorso che il decreto n. 219 sarebbe viziato per eccesso di delega nella parte in cui decide di ” rimettere la rideterminazione delle circoscrizioni territoriali delle Camere di commercio a un successivo decreto ministeriale, …, giacchè l’art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015 disponeva che fosse lo stesso decreto delegato (e, cioe’, lo stesso decreto legislativo n. 219 del 2016) a provvedere alla «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali“.

Per la Regione Puglia il decreto n. 219 viola anche il principio di leale collaborazione, perchè in un ambito materiale in cui incidono molteplici competenze legislative non individua adeguati strumenti concertativi fra Stato e Regioni,  dato che richiede il mero parere della Conferenza Stato – Regioni, anzichè  l’intesa; sul punto il ricorso richiama  quanto deciso dalla stesso Giudice delle leggi con la sentenza n. 251 del 2016  per altre deleghe legislative contenute nella L. 124/2015.

Non solo. Anche la prevista riduzione da 100 a non piu’ di 60 delle Camere di commercio sarebbe palesemente irragionevole e sproporzionata, “perché tende a conseguire un presunto risparmio di spesa rispetto a un sistema virtuoso (e che, anzi, allevia il bilancio statale, come rilevato dal parere di cui alla Conferenza unificata di cui al doc. C), ispirato a un’autonomia (art. 5) e a una libertà (art. 18) costituzionalmente tutelate”.

La Regione contesta anche la disposizone del decreto n. 219 che abroga l’art. 18, comma, 1, lettera c), del decreto legislativo n. 580 del 1993, il quale – fra le fonti di finanziamento – contempla anche «le entrate e i contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in relazione alle attribuzioni delle camere di commercio». Per il governatore Emiliano, infatti, “nell’escludere che le Camere di commercio possano giovarsi di finanziamenti provenienti dalle regioni (o da altri enti), in virtù di convenzioni, la norma comprime irragionevolmente sia l’autonomia regionale, precludendo questa forma di erogazione per l’incentivazione delle attività produttive …  sia l’autonomia delle Camere di commercio, per le quali, per un verso, si impedisce di ricorrere autonomamente al finanziamento aggiuntivo tramite aumento del contributo annuale (salva autorizzazione ministeriale) e a cui, per altro verso, si nega l’ottenimento delle erogazioni regionali”.

Se anche questo decreto dovesse essere censurato, in tutto o in parte, dalla Consulta, l’impianto della riforma Madia sarebbe in buona parte demolito. A questo punto forse, anzicchè rincorrere in modo affrettato la scadenza delle ultime deleghe, sarebbe più utile effettuare un serio e ponderato ripensamento complessivo sulle modalità procedurali e sui contenuti della difficile riforma della pubblica amministrazione, senza inutili semplificazioni.


 


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