La sentenza passata in giudicato,  che impone all’amministrazione di restituire al proprietario l’area occupata sine titulo, non esclude , anche  dopo la nomina del Commissario ad acta, la permanenza in capo all’Amministrazione del potere di disporre l’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001.

E’ motivazione sufficente a giustificare la decisione del Comune la carenza di risorse utili e la necessità di evitare il ricorso  ad un gravoso indebitamento per procedere alla bonifica dell’area prima della sua restituzione.

Consiglio di Stato, sez.  IV, sentenza 21 settembre 2015, n. 4403, Pres. Zaccardi, Est. Russo 


A margine

La lunga e complessa vicenda giudiziaria ha avvio con l’annullamento degli atti esproriativi adottati dal Comune e la conseguente condanna dell’Ente alla restituzione dell’area in favore del proprietario nel pristino stato, libera da opere realizzate e da materiale eventualmente abbancatovi (Tribunale di Salerno, sent. n. 11145 del 2010). L’amministrazione non esegue l’ordine restitutorio e costringe, quinid, il proprietario ad adire il giudice dell’ottemperanza, che  accoglie il ricorso e condanna l’Amministrazione all’esecuzione della sentenza n. 11145 nel termine di centoventi giorni (T.A.R.  Salerno, sent. n. 958 del 17 maggio 2012).

Il Comune, nonostante la soccombenza nel giudizio di ottemperanza, continua a rimanere  inerte in relazione all’obbligo restitutorio e, solo dopo la nomina del Commissario ad acta, decide di  deliberare  l’acquisizione dell’area, motivando l’impossibilità di restituire il terreno con l’indisponibilità delle risorse economiche necessarie alla bonifica.

La Sezione quarta, così come il Giudice di prime cure (TAR Salerno, sent. n. 653 del 31 marzo 2014), rigetta il ricorso del prorietario, disattendendo, fra l’altro, le due doglianze principali del ricorrente: (1) la violazione del principio di certezza del diritto, in quanto, l’acquisizione dell’area, nonstante il passaggio in giudicato dell’ordine restitutorio e l’insediamento del Commissario ad acta, lascerebbe il diritto dominicale sul bene immobile sempre esposto al pericolo dell’emanazione del provvedimento acquisitivo senza limiti di tempo; (2) il difetto di motivazione del provvedimento acquisitito, in quanto mancherebbe una motivazione esaustiva circa l’attualità ed eccezionalità delle ragioni di interesse pubblico, non essendo stato effettuato alcun riferimento alla assoluta necessità, e non mera utilità, di acquisire l’immobile nello stato in cui si trova.

I Giudici di Palazzo Spada ricordano che l’istituto dell’acquisizione sanante ha superato il vaglio dell Corte costituzionale (sent. n. 71 del 30 aprile 2015), che ha ben posto in evidenza le differenze fra il precedente meccanismo acquisitivo ex art. 43 del d.P.R 327 ed il nuovo istituto dell’acquisizione sanante di cui all’art. 42 – bis dello stesso d.P.R. 327 caratterizzato «dalla necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione, dallo stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento e, per i fini che interessano in questa sede, “dal carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato)». E respingono il ricorso, ritenendo che il provvedimento di acquisizione sanante è stato adottato con l’intento di eseguire il giudicato derivante dalla sentenza di ottempranza (n. 11145 del 2010).

La decisione del Consiglio di Sato desta diverse perplessità. Inanzitutto, sembra contrastare con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza richiamata circa l’impossibilità di utilizzare l’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato, com’è avvenuto invece nella fattispecie oggetto della sentenza annotata. Non convincono, infatti, le non chiarissime argomentazioni del Consiglio di Stato che, per giustificare l’irrilevanza, ai fini della definizione della controversia, delle statuizioni del Giudice delle leggi inerenti al valore di un giudicato di restituzione, spiega che la sentenza non imponeva la sola restituzione del bene ma anche la preventiva bonifica dell’area.

Non convincono neppure le ragioni esposte per il rigetto dell’eccezione di carenza di  motivazione esaustiva del provvedimento di acquisizione. La disposizione del comma 4 dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001 sul punto è molto chiara:  il provvedimento di acquisizione, deve essere “… specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione“. E la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 71/2015, ha evidenziato fra le caratteristiche dell’istituto dell’acquisizione sanante proprio lo tringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento. Tale obbligo  non può ritenersi assolto con una motivazione che fa riferimento alla mera indicazione dell’indisponibilità da parte del Comune delle risorse economiche necessarie alla bonifica, tenuto conto che in ogni caso l’Ente dovrà bonificare l’aria acquisita al suo patrimonio indisponibile e, quindi, dovrà comunque reperire le risorse necessarie anche indebitandosi.


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