Gli oneri derivanti dalla fruizione, da parte dei dipendenti di una società a partecipazione pubblica, dei permessi retribuiti previsti per l’esercizio di funzioni elettive presso l’ente locale partecipante, sono a carico di quest’ultimo e devono essere rimborsati alla società datrice di lavoro, nei termini e secondo le modalità di cui all’art. 80 del T.U.E.L.

Corte di Cassazione, civile, sez. I, ordinanza 11 giugno 2020, n. 11265, Presidente Campanile, Estensore Scalia

A margine

Una società in house per la gestione del TPL chiede al Comune che la partecipa al 100% la restituzione degli importi corrisposti a taluni dei propri dipendenti per assenze dal servizio dovute allo svolgimento di mandato elettorale nei consigli municipali del Comune medesimo.

In seguito ad un primo ricorso avverso l’opposizione del Comune, il Tribunale, con sentenza n. 9620 del 2013, rigetta le domande della Società ritenendo che la qualifica della stessa quale società in house providing – soddisfatta dalla presenza della delegazione interorganica, dall’assenza di autonomia tra società e Comune, dai poteri di direzione e coordinamento esercitati dall’ente locale sulla società e dall’esistenza di un “controllo analogo” – ne escluda la natura di soggetto di diritto privato e l’assoggettamento all’art. 80 T.U.E.L., là dove è previsto per il datore di lavoro privato il diritto di rimborso degli oneri sostenuti per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti.

La Corte di appello, in riforma della pronuncia di primo grado, con sentenza n. 5009/2014, in accoglimento della domanda della Società, condanna l’ente locale al pagamento di euro 48.977,18, a titolo di rimborso dei permessi retribuiti corrisposti dall’azienda ai propri dipendenti, eletti nelle consultazioni amministrative. In particolare, la Corte evidenzia la natura privatistica della Società escludendo che gravi sulla stessa l’onere economico dei permessi goduti dai propri dipendenti per l’espletamento del mandato elettorale.

Il Comune si rivolge quindi alla Corte di Cassazione.

L’ordinanza

La Corte ricorda che l’art. 80 del “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (T.U.E.L.), dispone che gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell’ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all’art. 79 (consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti).

La ratio della norma è quella di tutelare l’esercizio delle funzioni pubbliche elettive da parte dei lavoratori-dipendenti senza gravare sulla patrimonialità dei datori di lavoro privati a cui la norma riconosce il diritto ad essere ristorati degli oneri sostenuti che invece esclude per quelli pubblici e tanto nella identità di funzione e di soggetti tra l’ente datore di lavoro e quello elettivo.

In particolare, con l’art. 80 si è voluto garantire lo svolgimento di funzioni pubbliche da parte di lavoratori dipendenti, senza che il relativo onere vada a ricadere sui datori di lavoro privati anziché rimanere a carico delle risorse pubbliche e del bilancio dell’ente che beneficia di tali funzioni.

Si tratta del generale principio civilistico del divieto di indebito arricchimento (art. 2041 cod. civ.) che vuole che il soggetto che si avvantaggi della prestazione sopporti gli oneri economici.

L’ente locale presso il quale svolgono incarico elettivo i dipendenti di una società in house deve pertanto provvedere ai permessi retribuiti che sono stati fruiti dai primi in adempimento del munus pubblico e che restano così addossati, quali spese per il funzionamento degli organi politici, all’ente presso il quale il dipendente è chiamato a svolgere funzioni politiche.

Supporta tale conclusione, insieme al richiamato principio civilistico dell’indebito arricchimento, il rilievo che deve essere accordato ai principi intesi a valorizzare autonomia e responsabilizzazione degli enti territoriali destinati a valere anche rispetto allo svolgimento dell’attività sociale, in regime di economicità, cui è tenuta la società in house, nell’assenza di obblighi di consolidamento dei propri conti con i bilanci degli enti fruitori delle prestazioni.

Vi è poi l’argomento delle forme adottate e quindi dell’intervenuta costituzione secondo il modello societario del soggetto prestatore del servizio in house a cui si accompagna la distinzione soggettiva tra società partecipata e socio pubblico e la separazione dei rispettivi patrimoni, con esclusione che la provenienza pubblica delle risorse impiegate nel capitale sociale comporti automaticamente l’acquisizione della natura pubblicistica delle disponibilità finanziarie della società.

Per converso, per escludere l’applicazione dell’art. 80, in conformità alla ratio dianzi esposta ed alla luce dei vigenti principi costituzionali di finanza pubblica, non assume significato il possesso di requisiti, indicati da altre norme specifiche e ad altri fini, quali sono gli indici di assimilazione di talune società partecipate a pubbliche amministrazioni, come l’inclusione della società interessata nell’ambito del conto consolidato della pubblica amministrazione di cui all’art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 196/2009, che non vale a snaturare le caratteristiche di autonomia organizzativa e finanziaria, ma, come osservato dai giudici amministrativi (parere del Consiglio di Stato, Sez. I, del 22 dicembre 2011, n. 04782; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 256/2017/PAR) rileva unicamente sul diverso piano dell’omogenea costruzione dei macro aggregati dì finanza pubblica.

Conclusivamente, gli oneri derivanti dalla fruizione, da parte dei dipendenti di società a partecipazione pubblica, dei permessi retribuiti previsti per l’esercizio di funzioni elettive presso un ente locale partecipante sono a carico di quest’ultimo e devono essere rimborsati alla società datrice di lavoro, nei termini e secondo le modalità di cui all’art. 80 del T.U.E.L.

Pertanto la Corte di Cassazione rigetta il ricorso del Comune.


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