Sono passati ormai molti anni dall’introduzione nel nostro ordinamento di una forma di responsabilità “amministrativa” delle società e degli enti per gli illeciti penali commessi dai propri amministratori e dipendenti nell’interesse delle stesse, per cui appare necessaria sul tema una riflessione più ampia e matura, che deve partire dai rapporti della nuova normativa con la Costituzione, quale Carta fondamentale di tutti i diritti ed obblighi.

In questi ultimi anni si è intensificato un ampio dibattito politico e dottrinale sulla attualità della nostra Costituzione. Secondo alcuni essa sarebbe superata e ormai logora dopo oltre 65 anni dalla sua entrata in vigore e dovrebbe essere integrata, modificata e modernizzata in molte sue parti. Al contrario, altri la ritengono ancora attuale e la considerano un sicuro presidio delle libertà fondamentali e dei diritti.

L’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231, e i successivi sviluppi e applicazioni di questa nuova disciplina, così innovativa per le società e gli enti, dimostrano la attualità e validità della , che contiene principi giuridici generali e fondamentali che ben si attagliano anche all’evoluzione dell’ordinamento e dei rapporti giuridici sia di diritto pubblico che di diritto privato. Le vicende giuridiche del danno biologico, del danno più in generale non patrimoniale, del danno c.d. “esistenziale” hanno visto un’evoluzione giurisprudenziale e una ricostruzione dei diritti risarcitori che trovano nei principi e norme costituzionali, a partire dall’art.32 e dagli stessi articoli 2, 3 e 4, il fondamento giuridico essenziale.

Anche il D.Lgs  231/2001 deve ritenersi, ed è stato ritenuto dalla Corte costituzionale, perfettamente integrato nel quadro costituzionale e corrispondente ai principi essenziali che la Carta costituzionale pone a fondamento del sistema normativo di diritto penale: l’art.2 del decreto conferma il principio di legalità, costituzionalmente garantito,  secondo cui l’Ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto. Parimenti, l’art.3 del decreto recepisce il principio costituzionale di garanzia in materia di successioni di leggi: l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’Ente e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici.

Particolari norme del decreto 231, come l’art.22 secondo cui l’interruzione della prescrizione mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato sospende il corso della prescrizione stessa fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza definitoria del giudizio, costituiscono lecite deroghe a leggi e norme di diritto comune e non a norme di rango costituzionale. Il decreto 231, poi, non appare in contrasto con le norme costituzionali che tutelano il lavoro, ma ne costituisce una importante applicazione: l’art.41 Cost., secondo il quale l’iniziativa economica privata è libera, ma non deve svolgersi con danno per la sicurezza, la libertà e la dignità umana, può ritenersi un motivato punto di riferimento del Decreto 231/01, atteso che comportamenti commissivi o omissivi idonei a mettere in pericolo, dolosamente o anche solo colposamente, la sicurezza dei lavoratori e anche più in generale dei cittadini nei luoghi di lavoro e nell’ambiente circostante violano prima di tutto il dettato costituzionale dell’art.41 prima ancora delle leggi e norme ordinarie che disciplinano la subiecta materia: le note vicende processuali THYSSEN KRUPP, ETERNIT, ILVA hanno visto l’applicazione delle responsabilità e sanzioni ex Decr.Legis. 231/01, ritenute pacificamente costituzionalmente legittime proprio con riferimento al principio di rango costituzionale dettato dall’art.41 della Costituzione.

La Corte costituzionale ha solo ritenuto di affermare in tale materia l’importante principio che i provvedimenti concernenti le aziende, restrittivi della loro sfera giuridica ed emessi in connessione con reati presupposto di natura colposa in materia di sicurezza sul lavoro a norma del D.Lgs n.231/01, devono obbligatoriamente essere motivati; in particolare la Corte si è pronunciata sull’art.14, comma 1, del Testo unico n.81/2008 stabilendo che per i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale sussiste l’obbligo di motivazione previsto dall’art.3 comma 1 della legge 7 agosto 1990 n.241. Più in generale, la Corte costituzionale ha sempre ribadito, ogni volta che ha avuto occasione di occuparsi della tutela del lavoro e della sicurezza sul lavoro, che si tratta di materie a competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni a norma dell’art.117 (cfr.. sentenza n.221 del 4-10 ottobre 2012 e la fondamentale sentenza n.50 del 13-28 gennaio 2005).

In conclusione, deve essere richiamato anche il principio costituzionale dell’art.27, secondo cui la responsabilità penale è personale, per precisare che esso è stato dal Legislatore proprio con il D.Lgs n.231/01 esteso anche alle persone giuridiche, sulla base della stessa fictio iuris che attribuisce agli Enti capacità giuridica e di agire. Si aggiunga che tutte le problematiche applicative del decreto 231 sorte nelle aule dei Tribunali, in merito alla imputazione penale ai sensi art.35 delle Società e degli Enti, si sono sempre risolte con il rigetto delle eccezioni di incostituzionalità da taluni difensori sollevate, eccezioni quindi ritenute e giudicate dai Tribunali manifestamente infondate

Lucio Di Giorgio – avvocato in Brescia

 


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