Costituisce principio generale dell’ordinamento che l’amministrazione, se non si ritiene competente a decidere l’istanza presentata da un cittadino, è tenuta ad inviarla all’ufficio competente, appartenente alla stessa amministrazione o a diversa, tenendo informato il richiedente e, laddove previsto, anche a fornire il proprio contributo istruttorio.

Tar Piemonte, Torino, sezione I, 25 ottobre 2013, Presidente Balucani, estensore Limongelli

Sentenza n. 1136-2013

Il caso

Nel 2006 la moglie del ricorrente presenta querela contro lo stesso per maltrattamenti, ingiuria, diffamazione e minaccia. In seguito a tali eventi, su richiesta della Questura locale, il Prefetto di Torino dispone dapprima il ritiro cautelativo delle armi e della licenza di porto di fucile in capo all’individuo e, infine, il divieto definitivo di detenzione di qualsiasi tipo di arma.

Il procedimento si chiude nel 2011 con un provvedimento di archiviazione che accerta l’occasionalità dei comportamenti delittuosi e il completo normalizzarsi della situazione familiare. Da ultimo, il medico curante certifica anche la guarigione della patologia psichica diagnosticata al ricorrente nel 2002.

Conclusa la vicenda, l’interessato presenta richiesta alla Prefettura di Torino per il rilascio di una nuova licenza di porto d’armi, reiterata nel 2013, cui non viene dato seguito.

Il soggetto si rivolge quindi al TAR del Piemonte per ottenere:

  • l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione,
  • la condanna della stessa a provvedere nonché
  • il riconoscimento del provvedimento richiesto e il suo rilascio, attesa la natura vincolata dell’atto.

Il Ministero dell’Interno si costituisce in giudizio affermando la legittimità del silenzio della Prefettura alla luce della riconducibilità della competenza, in materia di rilascio di porto d’armi, al Questore (e non al Prefetto). Peraltro la richiesta di riconoscimento del provvedimento e il suo rilascio appaiono infondati avendo lo stesso non natura vincolata ma, anzi, ampiamente discrezionale. Infine, il divieto di detenzione d’armi emesso nel 2006, impedirebbe in ogni caso al ricorrente di trovare ragione.

La sentenza

Il Tribunale amministrativo ritiene il ricorso fondato e lo accoglie entro certi limiti.

Anzitutto il giudice ricorda che costituisce principio generale dell’ordinamento che l’amministrazione, ove non si ritenga competente a decidere l’istanza presentata da un cittadino, è tenuta ad inviarla all’ufficio competente, sia se appartenente alla stessa amministrazione che a diversa, tenendo informato il richiedente; se necessario, l’amministrazione deve inoltre fornire il proprio il contributo istruttorio (TAR Marche, sez. I, 4 aprile 2013, n. 269; Cass. Civ. sez. trib. 27 febbraio 2009, n. 4773).

In particolare, secondo i canoni di buona amministrazione e di leale collaborazione, se l’amministrazione ricevente individua l’interesse sostanziale perseguito, al di là di eventuali errori di carattere formale contenuti nell’istanza, non può restare in silenzio ma deve riqualificare la domanda e provvedere, ove competente su questioni ritenute connesse e prodromiche alla vicenda. Conseguentemente, in caso di riscontro positivo dovrà trasmettere l’istanza all’organo competente (la Questura) per le ulteriori decisioni del caso.

Nella fattispecie la Prefettura di Torino dovrà quindi:

  • riqualificare la domanda del ricorrente come volta a conseguire, alla luce di eventi sopravvenuti, non direttamente il rilascio del porto d’armi, ma la revoca del divieto di detenzione d’armi del 2006, quale atto prodromico per ottenere successivamente (questa volta dalla Questura di Torino) il rilascio del porto d’armi;
  • in caso di esito positivo del procedimento di revoca del divieto di detenzione, trasmettere la pratica alla Questura per le valutazioni di competenza in ordine al rilascio del porto d’armi.

Qualsiasi diversa opzione interpretativa sarebbe, secondo il collegio, vuotamente formalistica e contraria a principi generali. Tra l’altro, nel contesto da cui trae origine la vicenda, le competenze in materia di detenzione e di porto d’armi appaiono suddivise in modo irragionevole (dal punto di vista del cittadino), tra Prefetto e Questore, tanto da rendere scusabili eventuali errori commessi dagli interessati nella formulazione delle proprie istanze, e soprattutto nell’individuazione dell’Autorità a cui rivolgerle.

Il TAR, tuttavia, stante l’ampia discrezionalità amministrativa che contraddistingue entrambi i procedimenti in questione, ritiene di non poter accertare la fondatezza della domanda sostituendosi all’amministrazione.

In conclusione il giudice amministrativo accoglie il ricorso e afferma l’obbligo della Prefettura di concludere il procedimento nelle modalità indicate, entro 90 giorni dalla comunicazione della sentenza o dalla sua notificazione.

La valutazione della sentenza

La sentenza in esame conferma il principio generale di leale collaborazione tra amministrazione e cittadino il quale, come afferma il collegio, trova espresso riferimento normativo in materia di ricorsi gerarchici (ex D.P.R. n. 1199 del 1971 sulla Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi).

In particolare il D.P.R. citato all’art. 2, comma 3, prescrive che:

“I ricorsi rivolti, nel termine prescritto, a organi diversi da quello competente, ma appartenenti alla medesima amministrazione, non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità e sono trasmessi d’ufficio all’organo competente.”

La pronuncia, così come la giurisprudenza più recente (TAR Catania, sez. I, 22 settembre 2009, n. 1554), chiarisce che il principio non si applica soltanto alle categorie dei ricorsi interni o gerarchici bensì ad ogni istanza diretta ad ottenere un provvedimento dalla pubblica amministrazione, la quale assume l’onere, se incompetente, di trasmetterla d’ufficio all’organo deputato.

L’art. 5 del DM n. 37/1997 estende la medesima regola anche in materia fiscale mentre il D.P.R. 184/2006, all’art. 6 comma 2, codifica espressamente la leale collaborazione in materia di accesso ai documenti amministrativi prevedendo che:

“La richiesta formale (di accesso) presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all’interessato”.

Nel caso in esame il silenzio serbato dalla Prefettura anche dopo la reiterazione l’istanza, non può che essere qualificato come contrario allo spirito della legge 241 del 1990 e s.m.i., la quale mira a rendere paritari i rapporti tra cittadino e amministrazione informandoli a canoni di buona fede, correttezza, imparzialità, trasparenza ed economicità.

Di particolare importanza risulta l’affermazione secondo la quale i principi di buon andamento e leale collaborazione impongono all’amministrazione che individua l’interesse sostanziale perseguito dall’istanza di “riqualificarla d’ufficio” non essendo ammissibili “interpretazioni formalistiche” che la svincolino dal rispondere per la parte di propria competenza.

Conseguentemente il cittadino non potrà mai essere danneggiato da una condotta non leale della pubblica amministrazione, soprattutto quando la stessa possa chiaramente individuare la volontà del richiedente al di là di ogni suo errore formale.

In definitiva nell’attività diretta a soddisfare gli interessi dei cittadini, l’ordinamento chiede oggi ai pubblici ufficiali sempre più impegno e preparazione nella valutazione delle istanze, ravvisando sempre più frequentemente nelle ipotesi di silenzio, degli inadempimenti.

di Simonetta Fabris


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