Le disposizioni di cui all’art. 2-bis, co. 1 e 1bis, della L. 241/90, sul danno da ritardo, possono essere applicate alla sola attività della pubblica amministrazione “procedimentalizzata”, o meglio a quell’attività caratterizzata dall’esercizio di un potere amministrativo, di norma, destinata a concludersi con l’emanazione di un provvedimento.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 2638 del 22 maggio 2014Pres. Giaccardi, Est. Forlenza

Il caso

Un’impresa impugna in appello la sentenza con cui il Tar Campania non ha riconosciuto la spettanza del risarcimento del danno per tardiva esecuzione, da parte di una società di trasformazione urbana e del comune di Sarno, delle attività di esecuzione delle opere edilizie, attuative del Piano Insediamenti Produttivi (PIP).

La ricorrente, in qualità di assegnataria di un lotto nell’ambito del suddetto piano, sostiene che il ritardo nell’esecuzione dei lavori le abbia arrecato un rilevante danno per perdita di possibilità di impiego del proprio danaro ai fini di un futuro sviluppo imprenditoriale.

La sentenza di primo grado

Il giudice di prime cure respinge le doglianze dell’impresa sul rilievo che:

– nella responsabilità della P.A. per ritardo nell’esplicazione della propria attività, la presenza dell’elemento “colpa” è espressamente prevista nell’ipotesi di inosservanza del termine di conclusione del procedimento, dall’art. 2-bis della L. n. 241/1990, norma per cui la P.A. è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza di un’inosservanza “dolosa o colposa”;

– la risarcibilità del danno da ritardo “postula il necessario accertamento della colpa dell’inerzia, non bastando la sola violazione del termine di durata del procedimento, il quale di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità delle attività prescritte o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione escludere la sussistenza della colpa”;

– nel caso di specie, oltre alle circostanze sopravvenute indicate dalla società di trasformazione urbana, “non è priva di rilevanza l’immissione in possesso della ricorrente nel lotto assegnatole con l’espressa accettazione dell’area, nello stato di fatto e di diritto esistente, e dell’esplicita menzione per la quale nulla potrà essere eccepito in ordine alla funzionalità del lotto ed alle realizzande opere di urbanizzazione con precisazione della possibilità di immediato inizio dei lavori di realizzazione dell’opificio industriale compatibilmente con le fasi di realizzazione delle urbanizzazioni”.

La sentenza di appello

Tra i motivi di appello, la società  acclude nuovamente la violazione dell’art. 2-bis della L. n. 241/1990, norma che protegge il bene del rispetto di tempi certi del provvedimento e/o del procedimento, al fine di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell’assetto degli interessi di questi alla luce dei tempi procedimentali.

L’elemento decisivo del giudizio riguarderebbe, quindi, non solo la tutela del bene della vita “tempo”, ma anche la tutela dell’affidamento del privato alla certezza dell’azione amministrativa, corrispondente, nel caso di specie, all’affidamento della società rispetto alla realizzazione dell’investimento produttivo.

Il Consiglio di Stato ricostruisce l’istituto del danno da ritardo contemplato dalla legge sul procedimento, in base al quale “le pubbliche amministrazioni (e gli altri soggetti indicati) sono tenute al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” (art. 2-bis l, co. 1).

Nei soli procedimenti ad istanza di parte, in caso di inosservanza del termine, e con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, la legge n. 241 prevede, altresì, il riconoscimento di un indennizzo, nei modi e alle condizioni successivamente stabiliti (art. 2-bis, co. 1-bis).

I giudici di Palazzo Spada sottolineano, quindi, come la norma di cui al comma 1 non colleghi l’ipotesi risarcitoria al mero superamento del termine di conclusione del procedimento (senza che sia intervenuta l’emanazione del provvedimento finale) ma, piuttosto, descriva l’inosservanza dolosa o colposa del termine normativamente previsto quale presupposto causale del danno ingiusto eventualmente cagionato.

Tale interpretazione viene ulteriormente avvalorata dall’espressa previsione del successivo comma 1 bis, con il quale il legislatore ha voluto, per casi determinati, prevedere, non già il risarcimento del danno, ma il riconoscimento di un indennizzo per i casi di inosservanza del termine del procedimento.

In sintesi, il Consiglio di Stato osserva che l’inosservanza del termine procedimentale comporta: a) in generale, il risarcimento del danno ingiusto, qualora (con dimostrazione del nesso di causalità) questo consegua ad un’inosservanza colposa o dolosa della pubblica amministrazione; b) nei casi espressamente previsti, il riconoscimento di un indennizzo, il cui titolo di ricezione, nelle condizioni previste dalla legge, deriva dal mero superamento del termine ¹.

Ciò premesso, ambedue le ipotesi, nel considerare l’inosservanza del termine per la conclusione di un procedimento, presuppongono che si verta nell’ambito di un procedimento amministrativo. Ne consegue che le disposizioni di cui all’art. 2-bis, co. 1 e 1bis, possono essere applicate alla sola attività della pubblica amministrazione “procedimentalizzata”, ovvero a quell’attività caratterizzata dalla presenza di un potere amministrativo da esercitare e, di norma, destinata a concludersi con l’emanazione di un provvedimento amministrativo.

Il caso di specie riguarda, tuttavia, un’ipotesi di mera attività materiale (di esecuzione ed ultimazione delle opere edilizie di attuazione del Piano Insediamenti Produttivi), conseguente ad un affidamento da parte dell’amministrazione comunale.

In definitiva, non trattandosi di un procedimento amministrativo o di attività volta all’emanazione di un provvedimento a conclusione di un’attività procedimentalizzata, il Consiglio di Stato respinge l’appello e conferma la sentenza di primo grado.

Il commento

Il rapporto tra l’esercizio del potere amministrativo e i termini del procedimento è stato nel corso degli ultimi anni al centro dell’interesse del legislatore.

L’obbligo di concludere il procedimento corrisponde oramai ad un vero e proprio dovere di agire per la PA: si tratta, infatti, di una garanzia essenziale che tutte le amministrazioni devono assicurare ai cittadini sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost.

Non a caso l’art. 29 della legge 241 del 1990, come modificato dalla legge 69/2009, ha chiarito, al comma 2 bis, che “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni” ai sensi del citato art. 117 Cost., sia le norme che sanciscono l’obbligo di concludere il procedimento nel termine, sia quelle relative alla durata massima dei procedimenti (co. 3 e 4).

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato, oltre a confermare il proprio orientamento, afferma che l’applicabilità del suddetto obbligo va circoscritta alla sola attività procedimentalizzata della PA.

A ben vedere, l’obbligo di pronunciarsi della PA sull’istanza è, da tempo, inteso in senso ampio dal Consiglio di Stato, secondo cui “indipendentemente dall’esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia” (CdS, sez. VI, n. 2318/2007).

Nemmeno l’adozione di un atto endoprocedimentale, come la comunicazione di avvio ex art. 7 o dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, estingue l’obbligo di provvedere; nè, tanto meno, fa venir meno l’inerzia dell’amministrazione, perché non coincide con l’emanazione del provvedimento finale, oggetto dell’obbligo di provvedere (CdS, sez. V, n. 4473/2013).

Il danno da ritardo va comunque tenuto distinto dall’indennizzo introdotto dalla legge 98/2013. Quest’ultima norma ha previsto, per i soli procedimenti ad istanza di parte, un indennizzo automatico in  presenza del superamento dei termini procedimentali (prevedendo una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo, per un ammontare non superiore ai 2.000 euro). Come noto, infatti, tale indennizzo non si sostituisce al risarcimento, ma va detratto da quest’ultimo; inoltre, le PPAA devono fare menzione del diritto all’indennizzo, nonché delle modalità e dei termini per conseguirlo, nella comunicazione di avvio del procedimento e nelle informazioni sul procedimento pubblicate ai sensi dell’ art. 35 del D.lgs n. 33/2013.

Stefania Fabris

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¹ Ai sensi della legge n. 241/1990 l’indennizzo da ritardo, ove concorrente con la distinta obbligazione risarcitoria, va detratto dalla somma complessivamente riconosciuta a titolo di danno.


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