L’assessore comunale illegittimamente rimosso ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale per la mancata percezione dell’indennità di funzione che gli sarebbe spettata e del danno non patrimoniale in relazione alla perdita della possibilità di partecipare alla vita politica attiva del comune.

Tar Piemonte, sez. II, 2 maggio 2015, Presidente V. Salamone, Estensore R. Ravasio

Sentenza n. 746-2015

Il caso

La vicenda nasce nel 2004 quando un sindaco nomina assessore un soggetto eletto consigliere per poi revocarlo, dopo soli sette giorni, essendo venuta meno la fiducia nei suoi confronti.

Per diventare assessore il ricorrente si era dimesso dal ruolo di consigliere e conseguentemente lo stesso si ritrova  estromesso dalla vita politica.

In seguito ad un primo ricorso, il Tar Piemonte, con sentenza n. 2741-2010, annulla l’atto di revoca ritenendolo connotato da “manifesta irragionevolezza, non stemperata da un’adeguata motivazione”. Tuttavia il reintegro dell’assessore in giunta non è più possibile essendo intervenuto prima un rimpasto della stessa e poi la fine del mandato politico.

Conseguentemente l’ex assessore ricorre nuovamente al Tar chiedendo la condanna del comune al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma complessiva di e 60.000,00, di cui € 10.550,17, a titolo di mancato incasso dell’indennità di assessore, e la restante parte a titolo di risarcimento del danno morale connesso alla lesione della propria personalità e moralità.

Il comune si costituisce in giudizio.

La sentenza

Il Tar Piemonte accoglie il ricorso riparametrando le richieste economiche del ricorrente.

In particolare il collegio ricorda che l’assunzione di funzioni elettive determina l’instaurazione di un rapporto di servizio onorario a carattere “gratuito”, indennizzato al solo fine di compensare il presunto il mancato guadagno o le spese connesse all’espletamento del servizio da parte dell’amministratore pubblico.

Nel caso di specie, la mancata percezione dell’indennità di funzione dimezzata ex c. 1, art. 82 del d. lgs. n. 267-2000 (per l’assessore lavoratore dipendente non in aspettativa), dovuta alla revoca della carica, deve essere risarcita a titolo di danno patrimoniale da quantificarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c. in € 3.906,76 per il periodo di estromissione dalle relative funzioni.

Se il danno alla personalità ed all’immagine politica del ricorrente non risulta provato, il Tar ravvisa comunque un pregiudizio per lo stesso nell’impossibilità di partecipare alla vita politica attiva del comune in qualità di assessore e/o di consigliere comunale, da tutelare ex artt. 3 e 4 Cost., come esperienze che favoriscono “il pieno sviluppo della personalità umana”, favorendo la partecipazione del cittadino-lavoratore “all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

La preclusione allo svolgimento di detti incarichi va quindi ritenuta risarcibile come danno non patrimoniale per € 2.000,00, ai sensi dell’art. 2059 c.c..

La valutazione della sentenza

Con la sentenza in esame, il Tar ricorda che la revoca del singolo assessore deve essere motivata da ragioni che attengono al buon andamento dell’organo e non a mere esigenze di partito o di coalizione miranti ad eliminare politicamente un soggetto (così anche Tar Puglia, Lecce, sez. I, sentenza 23 giugno 2009, n. 1620).

Gli atti di nomina degli assessori non possono infatti farsi rientrare nella categoria degli “atti politici” e non sono pertanto sottratti al controllo di legittimità del G.A..

Molto interessante risulta poi il riconoscimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., a mente dell’interpretazione costituzionalmente orientata data dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, secondo cui tale risarcimento rientra in una “categoria ampia, comprensiva non solo del cosiddetto danno morale, ovverossia della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da un fatto illecito integrante reato, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, alla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.” (sentenza n. 26792-2008).

Nel caso di specie, ad avviso del giudice amministrativo, è evidente che il ricorrente pretende il risarcimento del danno derivante dalla perdita della possibilità di prestare la propria opera come assessore o consigliere comunale laddove questo afferma di aver dovuto “riporre i suoi buoni intendimenti di tornare utile alla sua città”.

Diversamente, il danno alla dignità di personalità politica, asseritamente lesa dai fatti in parola, non può essere dimostrato per il solo fatto di essere stato eletto consigliere comunale né tanto meno dall’essere un politico di lungo corso promotore di numerose iniziative.

Simonetta Fabris


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