Le disposizioni dello statuto e del regolamento che stabiliscano, in modo fisso e predeterminato, il numero di componenti necessario per la validità dell’adunanza consiliare, prevalgono sulle modifiche legislative in materia di composizione dei Consigli comunali ai fini della validità della seduta. In questo senso il consigliere comunale è pienamente legittimato a impugnate eventuali deliberazioni che ne compromettano lo jus ad officium

Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2014, n. 209Presidente Caringella, Estensore Saltelli

Il caso

Un comune ricorre in appello per la riforma della sentenza di primo grado con cui il Tar ha accolto il ricorso promosso da alcuni consiglieri per l’annullamento di un deliberazione adottata in carenza del quorum strutturale, in presenza di soli sette componenti, compreso il sindaco, a fronte degli otto richiesti dalla normativa locale.

In breve, la deliberazione risultava illegittima perché contrastante con le disposizioni dello statuto e del regolamento consiliare, con specifico riferimento all’art. 38, co. 2, del D.Lgs n. 267/2000 a mente del quale “(…) Il regolamento indica altresì il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia”.

La sentenza

La quinta sezione del Consiglio di Stato affronta la questione soffermandosi, in particolare:

1. sulla legittimazione dei Consiglieri comunali ad impugnare una deliberazione consiliare per mancanza del quorum strutturale e

2. sull’ipotesi di intervenute modifiche legislative in materia di composizione dei Consigli comunali ai fini della validità della seduta.

Rispetto al primo punto, il supremo giudice amministrativo ritiene che la mancanza del quorum strutturale per la validità della riunione incida direttamente sullo jus ad officium proprio dei consiglieri comunali, tanto da precluderne il corretto e regolare esercizio della funzione.

Pertanto, come conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, i Consiglieri comunali sono pienamente legittimati a ricorrere avverso le deliberazioni assunte in carenza del numero legale o meglio avverso provvedimenti collegiali che investano direttamente la propria sfera giuridica o, ancora, quando siano violate norme che attengono all’iter formativo dell’atto, sì da ostacolare loro un regolare svolgimento dell’ufficio (CdS, sez. V, 21 marzo 2012, n. 1610; sez IV, 2 ottobre 2012, n. 5184; 9 ottobre 2007, n. 5280).

Nello specifico, la deliberazione contestata ha infatti impedito ai ricorrenti sia la partecipazione alla corretta formazione della volontà dell’organo che una regolare ed adeguata contrapposizione dialettica coi diretti avversari politici.

Relativamente al secondo punto, i giudici di Palazzo Spada ricordano che l’art. 38, co. 2, del TUEL, demanda alla regolamentazione locale la determinazione del numero dei consiglieri necessario per rendere valida la seduta, fissando a tal fine soltanto un limite minimo, pari ad almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare il sindaco.

Ne consegue che, in presenza di disposizioni statutarie e regolamentari che stabiliscano in modo fisso e predeterminato il numero dei componenti che devono essere presenti ai fini della validità della riunione (in questo caso pari a otto, senza computare il sindaco), la riduzione da 18 a 12 del numero dei consiglieri, operata dalla Legge n. 42/2010 (modificativa della L. n. 191/2009) non può incidere direttamente ed automaticamente sull’organizzazione e sul funzionamento dell’assemblea comunale.

In altre parole, non è la legge a fissare meccanicamente il numero dei consiglieri che debbono essere presenti per la validità dell’adunanza ma è il comune, nell’esercizio dei propri poteri, a dover adeguare tempestivamente statuto e regolamento, strumenti principi della propria peculiare autonomia.

D’altra parte la Legge n. 191/2009, operante la predetta riduzione dei consiglieri assegnati al comune, non prevede nessun adeguamento, automatico ed eccezionale, dei testi statutari o regolamentari vigenti, relativamente al quorum per la validità delle sedute consiliari.

Il commento

La sentenza conferma l’importanza del ruolo attribuito alla regolamentazione locale.

A partire dal 1990, il legislatore ha infatti demandato all’autonomia normativa di comuni e province la disciplina del funzionamento del Consiglio, materia rientrante generalmente nello statuto e, nel quadro dei principi da questo stabiliti, nel regolamento consiliare.

Questo regolamento riveste, peraltro, un particolare rilievo per la vita dell’assemblea tanto da dover essere approvato a maggioranza assoluta ai sensi dell’art. 38, co. 2, del TUEL.

Da qui l’esigenza per il consiglio comunale di dotarsi non solo di regole chiare, di semplice ed univoca interpretazione, ma anche di tenerle costantemente aggiornate per non incorrere in possibili strumentalizzazioni politiche o in disguidi organizzativi, facilmente censurabili dalla giurisprudenza.

Altra tematica di apprezzabile interesse è quella delle prerogative del consigliere comunale.

Sul punto, va sottolineato come, nella maggior parte dei casi, non rientri tra i poteri del consigliere la legittimazione ad impugnare deliberazioni consiliari o di altri organi del comune, eccezion fatta per alcune particolari ipotesi, comprendenti:

a) gli atti che incidono sul rispettivo diritto all’ufficio (cfr CdS, sez. V, nn. 7122/2005 e 826/2007) o

b) le ipotesi di irrituale convocazione dell’organo, di violazione dell’ordine del giorno e di difetto di costituzione del collegio (cfr Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 23 aprile 2004; Tar Veneto, sez. II, 24 febbraio 2010, n. 528, e Tar Toscana, 24 agosto 2009, n. 1403).

In materia, va altresì segnalato un recente orientamento di parte della giurisprudenza, favorevole ad estendere il riconoscimento della legittimazione dei consiglieri per:

a) reclamare competenze del consiglio nei confronti di interventi considerati illegittimamente invasivi ad opera del sindaco o della giunta (Tar Lombardia, Milano, sez. III, 6 maggio 2004);

b) lamentare laviolazione di disposizioni statutarie e regolamentari, soprattutto in relazione alla disciplina delle modalità di funzionamento e alla struttura dell’organo (CdS, sez. V, 9 giugno 2008, n. 2872; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 6 giugno 2005);

c) contestare l’uso di una procedura semplificata in luogo di una procedura ordinaria più garantista per i consiglieri medesimi (Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 11 agosto 2004, 889).

Proprio in quest’ultima ipotesi rientrerebbe, tra l’altro, la possibilità per il consigliere di impugnare le nomine effettuate dal sindaco dei componenti della giunta o del cda di una società partecipata, in violazione del principio di pari opportunità tra uomo e donna (Tar Puglia, Lecce, sez. I, 24 febbraio 2010, n. 622).

 

Stefania Fabris

Emanuele Compagno

 


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