E’ inammissibile il ricorso avverso il provvedimento deliberato dal Consiglio comunale con cui vengono nominati, in seno ad una Commissione tecnica del Comune, componenti di solo sesso maschile, laddove unitamente a tale provvedimento non sia stato impugnato anche il mancato adeguamento dello statuto alle regole stabilite dalla L. 215 del 2012 in materia di pari opportunità.

La nomina dei componenti della suddetta Commissione è un provvedimento connotato da ampia discrezionalità, tuttavia, laddove sia necessaria l’individuazione di elementi caratterizzanti l’idoneità tecnica del soggetto, tale nomina deve essere motivata alla luce di una documentata professionalità.

Tar Campania, Napoli, sez. I, 26 giugno 2013, n. 3338Pres. Mastrocola, est. Buonauro

Sentenza n. 3338/2013

Il caso

Una candidata al ruolo di componente della Commissione comunale per il paesaggio, ai sensi dell’art. 184 del d.lgs n. 42 del 2004, impugna la selezione effettuata dal Comune e domanda l’annullamento delle deliberazione consiliare di nomina lamentando le seguenti doglianze:

1)   la violazione del principio di parità dei sessi, poiché la Commissione risulta composta esclusivamente da uomini;

2) il difetto di istruttoria e l’eccesso di potere, in quanto l’amministrazione comunale non avrebbe esaminato correttamente i curricula e, con riguardo ad un altro candidato, avrebbe selezionato un soggetto privo dei requisiti sanciti dalla normativa di riferimento per ricoprire l’incarico.

La sentenza

Dopo aver precisato che la nomina dei componenti della predetta Commissione ha senz’altro valenza e natura amministrativa, e che la ricorrente, in qualità di soggetto non selezionato, potenzialmente aspirante alla carica, vanta una legittimazione ad agire ed un interesse a ricorrere, il Tar si sofferma sui due ordini di rilievi sollevati nel ricorso.

a)  I rilievi sul mancato rispetto del principio di pari opportunità

Con riferimento alla prima doglianza, in materia di pari opportunità, il giudice ricostruisce il quadro normativo nazionale ed europeo.

In particolare, in ambito europeo, il Trattato di Amsterdam ha introdotto, tra le missioni dell’allora Comunità europea, il principio di parità tra donne e uomini (art. 2 TUE), oggi promosso in tutte le politiche comunitarie (art. 3 co. 2 TUE). Inoltre, lo stesso Trattato prevede, all’art. 19 TFUE, una specifica base giuridica per l’adozione,da parte delle istituzioni, di provvedimenti volti a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, con incentivi e sostegni anche all’azione degli Stati membri.

Per quanto riguarda il nostro paese, l’articolo 51 della Carta costituzionale, afferma che “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini“.

Si tratta di una norma dal valore cogente e immediatamente vincolante e, come tale, idonea a conformare ed indirizzare lo svolgimento della discrezionalità amministrativa quale parametro di legittimità sostanziale (ex multis T.A.R. Campania Salerno sez. II, n. 2251 del 5 dicembre 2012, T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, n. 12668 del 2010 e nn. 1427 e 1985 del 2011).

Come ribadito più volte dalla Corte costituzionale, la finalità espressa dall’art. 51, co. 1, Cost., è quella di “ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi” (sentenza n. 4 del 2010).

In questo senso va letto anche l’art. 117, co. 7, Cost. secondo cui “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive“.

Da queste norme è ricavabile la tendenza generale dell’ordinamento per il riequilibrio fra donne e uomini, proprio attraverso il principio della c.d. parità democratica nella rappresentanza.

Il suddetto principio costituzionale si concretizza, peraltro, in una serie di disposizioni di legge ordinaria a tutela della effettiva realizzazione della parità tra i sessi.

Tra queste si annoverano l’art. 1, co. 4, del d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), secondo cui “l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività“. E, più di recente, l’art. 6, co.3, del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede, dopo le modifiche operate dalla L. n. 215/12, che “Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della L. 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da esso dipendenti“.

Il principio di parità è, quindi, un principio pregnante nell’ordinamento, ancor più a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 215 del 2012 recante “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni“, che prescrive l’obbligo, per gli enti locali, di adeguare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge i propri statuti e regolamenti.

Secondo il Tar, quindi, l’attuazione del principio in esame deve trovare un punto di regolamentazione all’interno dello statuto, atto fondamentale che governa l’ente locale.

Peraltro, la nuova formulazione dell’articolo 6, co. 3, del Tuel conduce all’estensione massima del principio di parità a tutte le designazioni o nomine di competenza degli enti locali.

Tuttavia, l’adeguamento dello statuto deve ritenersi rimesso all’apprezzamento del singolo ente; il testo statutario non può comunque essere ermeneuticamente integrato o corretto dall’interprete nel senso richiesto dalla ricorrente.

Pertanto, in mancanza di una norma prescrittiva puntuale e cogente dello statuto, atto non impugnato dalla ricorrente, non può essere ravvisato, in capo al Consiglio comunale, l’obbligo di inserire, nella Commissione per il paesaggio, un componente di sesso femminile.

In altre parole, il giudice amministrativo ravvisa la necessità di impugnare previamente il mancato adeguamento statutario. Questo perché qualsiasi integrazione giurisdizionale comporterebbe l’introduzione di una disciplina completamente avulsa dal tessuto normativo di riferimento, non essendo possibile per il Tar, in sostituzione dell’organo politico, stabilire, ad esempio, se il rispetto del principio sarebbe comunque garantito dalla presenza nella Commissione di una sola donna, ovvero se sia necessario prevedere una quota minima (come quella di un terzo stabilita dalla legge per le Commissioni di concorso).

In sostanza, senza l’impugnazione preventiva del testo statutario, la deliberazione consiliare non può essere censurata, mancando l’individuazione di un preciso vincolo al procedimento di nomina dei componenti della Commissione per il paesaggio.

b)  I rilievi sul difetto di istruttoria e l’eccesso di potere nella nomina da parte dell’amministrazione comunale

Come detto, secondo la ricorrente, il Comune non avrebbe esaminato correttamente i curricula e avrebbe, addirittura, selezionato un soggetto privo della necessaria competenza ed esperienza.

Di converso, l’Ente sostiene che sia la scelta dei componenti della Commissione, sia la valutazione della loro professionalità rientrino tra le scelte discrezionali della pubblica amministrazione. In sintesi: il provvedimento impugnato si sostanzia in una decisione connotata da una sfera molto ampia di discrezionalità tecnica, fermo restando che i soggetti nominati possiedono la professionalità richiesta per l’esercizio della funzione.

Sul punto, il Tar, rifacendosi alla giurisprudenza consolidata, ricorda che esistono margini di sindacabilità giurisdizionale dell’attività amministrativa anche in caso di esercizio di discrezionalità tecnica, e, a maggior ragione, laddove si applichino regole oggettivamente verificabili.

Nel caso specifico, l’amministrazione ha allegato alla deliberazione consiliare una tabella in cui indica, per ciascun aspirante, in ossequio alle prescrizioni delle leggi regionali della Campania nn. 10/1982 e 1/2011, la presenza del requisito dell’esperienza in uno dei cinque settori contemplati dalla normativa di riferimento (ovvero: beni ambientali, storia dell’arte; discipline agricolo-forestali e naturalistiche; discipline di arti figurative, storiche e pittoriche; discipline di legislazione beni culturali), mediante il semplice rinvio ai curricula presentati.

Il giudice, pur condividendo il principio dell’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella scelta dei canditati (specie in considerazione del sistema di selezione, consistente nella votazione mediante schede), ritiene che il provvedimento impugnato manchi dell’individuazione degli elementi caratterizzanti l’idoneità tecnica del soggetto destinato a ricoprire l’incarico.

E questo difetto si ravvisa proprio con riguardo al controinteressato (di cui la ricorrente contesta la nomina), il quale, al di là di generici riferimenti (quali: l’aver svolto esami universitari di storia dell’arte o colloqui informativi), può vantare una qualificata e una documentata professionalità solo nel campo della filologia, materia evidentemente estranea alle competenze riservate alla Commissione per il paesaggio.

Inoltre, nel provvedimento di nomina non vi è alcun chiarimento, in termini di specifica professionalità richiesta, sul legame tra i titoli posseduti dal controinteressato e la nomina di questi in seno la Commissione per il paesaggio.

In sintesi, pur potendo la nomina essere qualificata quale scelta discrezionale della PA, la stessa va comunque motivata con riferimento alla professionalità documentata dai candidati.

Dunque, la sola specificazione del titolo di “esperto”, non consente di giungere alla certezza del possesso di una certa e specifica professionalità in materia di tutela ambientale in capo al soggetto controinteressato, e la deliberazione di nomina è  illegittima per mancanza di idonea documentazione attestante la qualifica di esperto nella materia “tutela del paesaggio”.

Il Tar, quindi, accoglie il ricorso e annulla, in parte qua, la deliberazione gravata.

La valutazione della sentenza

La decisione in argomento si allinea alla cospicua giurisprudenza amministrativa in tema di pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, principalmente all’interno dell’organizzazione amministrativa e politica degli enti territoriali e delle regioni.

Sul punto, si rileva come le pronunce degli ultimi anni siano giunte ad un livello di riflessione progressivamente più complesso e articolato con riguardo alle problematiche di diritto coinvolte.

In particolare, i giudici amministrativi hanno annullato, con motivazioni abbastanza simili, le nomine non rispettose del principio di pari opportunità, così formando un primo orientamento giurisprudenziale che, oltre a destare l’attenzione dei mass media, sta obbligando i soggetti istituzionali, che tali nomine devono compiere (ispirati, spesso, da logiche di equilibrio politico), a un approccio più ossequioso del precetto costituzionale.

Peraltro, allo scopo di evitare fenomeni di incertezza interprativa e in ossequio alle tendenze, ormai consolidate, dell’ordinamento comunitario e della giurisprudenza della Corte costituzionale, per gli enti locali, pare opportuno procedere con solerzia all’adeguamento statutario e regolamentare prescritto dalla L. n. 215/12.

Relativamente, poi, alla sindacabilità delle nomine connotate da “ampia discrezionalità”, di competenza degli organi di governo, si condivide la necessità, segnalata dal Tar Campania, di un’adeguata motivazione anche per questi atti, i quali, secondo un personale avviso, andrebbero sempre posti in essere con riferimento a precisi requisiti di competenza e professionalità collegati all’incarico da assegnare, specialmente se di natura tecnico specialistica.

Stefania Fabris


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