IN POCHE PAROLE

Gli uffici di Polizia e più in generale tutte le articolazioni della P.A. devono garantire l’esercizio dei diritti di informazione, di accesso e di partecipazione di cui alla legge 7 agosto 1990, n.241.

Cons. Stato, sez.III, sentenza 1 marzo 2021 n.1717


L’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dal capo V della legge n.241 del 1990 e s.m.i. (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi“), è strumento indispensabile al fine di assicurare la trasparenza amministrativa, ossia la possibilità di un controllo sulla rispondenza agli interessi pubblici ed ai canoni normativi.

Inoltre, in base all’art.29, comma 2-bis, della legge n.241 del 1990, come riformulato dalla legge n.69 del 2009, “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art.117, comma 2, lett. m) della Costituzione, le disposizioni della presente Legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione (…) di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa”.

La normativa di riferimento per gli uffici di P.S. è contenuta nella legge n.241 del 1990 (artt.22-28), nel Regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi emanato con D.P.R. n.184 del 2006, nel Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso di cui al D.M. 10 maggio 1994 n.415, così come modificato ed integrato dal D.M. 17 novembre 1997, n.508 e nella circolare Ministero dell’Interno – Ufficio I – del 9 giugno 1993, n.5006/M/8/(9).

Per diritto di accesso si intende, in base alla normativa vigente, il diritto degli interessati a prendere visione e ad estrarre copia di documenti amministrativi.

Ne sono titolari tutti i cittadini, società e associazioni, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si chiede l’accesso.

Per “documento amministrativo” si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

E’ bene precisare che la trasparenza non si assicura unicamente mediante lo strumento dell’accesso, ma al suo raggiungimento concorrono numerosi altri principi ed istituti, quali, ad esempio, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art.3 della legge n.241 del 1990) e la partecipazione dei privati al procedimento che li coinvolge (artt.7-13 della legge n.241 del 1990).

L’istituto dell’accesso assolve ad una triplice funzione:

  • permette una più diffusa conoscenza dei processi decisionali, nell’ottica della partecipazione;
  • favorisce il coinvolgimento diretto degli amministrati e il loro controllo sul comportamento dei soggetti pubblici, che sono stimolati ad agire responsabilmente e correttamente osservando i canoni di legalità e compiendo attività qualitativamente migliori;
  • riduce il peso dei giudizi, perché la conoscenza dei documenti può persuadere della legittimità delle determinazioni assunte dalla PA o comunque dell’inopportunità dell’impugnazione, tenuto conto che l’interessato potrà far valere in sede amministrativa eventuali rimostranze.

Accesso ai documenti degli Uffici di Polizia-  L’accesso ai documenti amministrativi gestiti dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, nell’ambito dei rapporti tra P.A. e privati, tanto all’interno del procedimento amministrativo, quanto al di fuori di esso, favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa.

Tale regola generale si contempera, tuttavia, con alcune eccezioni.

Anzitutto, ai sensi dell’art.24, comma 1 della legge n.241 del 1990, sono sottratti all’accesso:

  • i documenti coperti da segreto di Stato o che leggi o regolamenti sottraggono alla divulgazione;
  • quelli relativi a procedimenti tributari;
  • gli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;
  • i documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi.

In secondo luogo, l’art.24, comma 6 della legge n.241 del 1990, rimette ad apposito regolamento, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n.400, l’individuazione di ulteriori ipotesi di esclusione, laddove necessario per la tutela di interessi eterogenei, quali la sicurezza, la difesa nazionale, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità, la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni, ecc..

In attuazione della citata previsione, il Ministero dell’Interno ha adottato il D.M. 10 maggio 1994, n.415 che, all’art.3, comma 1, lettera b), esclude dall’accesso le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relative a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica e all’attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizione di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”.

Infine, l’art. 24, comma 7, della legge sul procedimento amministrativo, con una norma di chiusura, dispone che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

Accesso agli atti relativi alle misure di prevenzione – Alla luce delle descritte basi normative, deve ritenersi in via generale che le relazioni di servizio e gli atti assunti a fondamento di una misura di prevenzione comminata dall’Autorità di P.S., in quanto attinenti ad un provvedimento riferito alla tutela dell’ordine e della sicurezza come previsto dall’art.3 del D.M. n.415 del 1994, siano sottratti alla disciplina dell’accesso, restando in tal modo superate le doglianze circa le esigenze di tutela del diritto di difesa del destinatario del provvedimento.

Tali argomentazioni vengono riproposte a fortiori per gli atti a fondamento dell’emissione un avviso orale nei confronti di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso per riconducibilità alla categoria di cui all’art.1 lett.c) del d.lgs. n.159 del 2011 (Cons. Stato, sez.VI, sentenza n.1493 del 19 gennaio 2010) in quanto:

“1) l’avviso orale costituisce un provvedimento di carattere amministrativo, necessario presupposto per l’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di soggetti appartenenti alle categorie di cui all’art.1 n.3 della legge n.1423 del 1956;

2) pur non avendo natura endoprocedimentale rispetto all’applicazione della misura di prevenzione vera e propria, l’avviso orale ne costituisce comunque necessario antecedente giuridico, per cui non si può dubitare dell’esistenza di un collegamento funzionale tra i due provvedimenti;

3) anche all’avviso orale deve riconoscersi uno stretto collegamento con ragioni di pubblica sicurezza, atteso che tale provvedimento, da un canto, costituisce il presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione, secondo un meccanismo in cui il giudizio circa la pericolosità sociale del soggetto proposto è stato già sostanzialmente compiuto in sede di avviso orale nei confronti di un soggetto ritenuto pericoloso per la sicurezza e tranquillità pubblica”.

Nel caso delle più afflittive misure di prevenzione del rimpatrio con foglio di via obbligatorio o della proposta di sorveglianza speciale di P.S. ricorrono, in generale, due ipotesi che inducono a ritenere gli accertamenti sottratti al diritto di accesso:

– in relazione all’art.3 del Decreto del Ministero dell’Interno 10 maggio 1994 n.415 e in attuazione dell’articolo 24 delle legge 241/1990 e successive modificazione e/o integrazioni, in quanto trattasi di documentazione strettamente strumentale alla tutela dell’ordine pubblico o di prevenzione o repressione della criminalità. In questi casi, l’accesso svelerebbe le tecniche investigative adottate, l’identità di terze persone titolari di pregiudizi penali nonché, notizie sull’identità del personale operante;

– in relazione all’art.3 del predetto D.M., ove si tratti in concreto di annotazioni di polizia giudiziaria e/o comunicazioni di notizia di reato a carico del richiedente, coperta da segreto d’indagine e ritualmente trasmessa alla Procura della Repubblica competente per territorio e pertanto non più nella disponibilità di dell’Ufficio di Polizia, bensì dell’Autorità Giudiziaria.

Le legittime esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica possono essere adeguatamente preservate ricorrendo ad accorgimenti divulgativi, tali da escludere o ‘mascherare’ ogni indicazione contenuta nell’informativa, che involva valutazioni, giudizi, riferimenti e considerazioni funzionali alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica (ex multis, cfr. TAR Reggio Calabria, sez.I, 11 settembre 2018 n.540; TAR Reggio Calabria, sez.I, 5 giugno 2018 n.315; TAR Catania, sez.IV, 10 ottobre 2013 n.2418; TAR Latina, sez.I, 15 ottobre 2009 n.949).

Va osservato, tuttavia, che i predetti accorgimenti divulgativi, eventualmente funzionali e sufficienti ove si tratti di preservare le generalità o i dati personali di terze persone, non appaiono sufficienti con riferimento alle notizie idonee a svelare le tecniche investigative adottate, per le quali il diniego di accesso agli atti appare opportuno e doveroso ai sensi del richiamato art.24 della legge n.241 del 1990 nonché dell’art.3 del d.m. n.415 del 1994.

Accesso agli atti relativi alle misure dell’ammonimento –  In riferimento ad un’istanza di accesso agli atti, presentata nell’ambito di un procedimento volto all’emanazione di un provvedimento di ammonimento, ex art.8 del D.L. n.11 del 2009, il Consiglio di Stato ha statuito che “in talune situazioni (come nel caso dell’avviso di avvio del procedimento per l’adozione di una misura preventiva o interdittiva come l’ammonimento), il diritto di accesso del privato interessato può ritenersi soddisfatto mediante l’invio dell’avviso di procedimento, ove si consideri che tale modulo procedimentale consente al destinatario di formulare le sue prime osservazioni e fornire chiarimenti.

Secondo il Supremo Consesso della giustizia amministrativa, la garanzia partecipativa, prevista all’art.10, comma 1, lett.a) della legge n.241 del 1990, viene salvaguardata mediante la trasmissione dell’avviso di avvio del procedimento.

Il destinatario di tale ultimo atto, in base al quadro normativo vigente, non ha titolo, in questa fase procedimentale, ad accedere alle categorie di documenti che “in qualche misura siano attinenti ad attività investigative ancora in corso ed alla identità delle fonti, tra le quali, oltre alle dichiarazioni dei soggetti denunciati, ci possono essere anche altri dati provenienti da una prima raccolta di informazioni da terzi” (Consiglio di Stato, sentenza n.5377 del 2018).

L’accesso agli atti richiesto dagli Ordini professionali –  In merito alla sussistenza di eventuali motivi ostativi al rilascio di copia di un provvedimento emesso dal Questore nei confronti di un soggetto, per il quale l’Ordine di appartenenza (nella fattispecie: ordine degli avvocati) abbia fatto richiesta al fine di valutare sotto il profilo disciplinare la condotta del proprio iscritto, va preliminarmente considerato che la normativa di riferimento non detta una disciplina specifica sul punto, limitandosi a prevedere che copia del processo verbale di ammonimento venga rilasciata alla vittima istante e al soggetto ammonito (sul punto, cfr. circ. Min. Int. n.225/D/2019/26069-U-II del 29 marzo 2019).

Si tratta, con tutta evidenza, di un provvedimento amministrativo riconducibile alla disciplina di cui alla legge n.241 del 1990, per cui, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, il ricorso al diritto di accesso non presuppone necessariamente la titolarità di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, riconoscendosi tale titolarità anche a coloro che risultino portatori di interessi pubblici o diffusi.

In proposito, il TAR Puglia, con sentenza n.1687 del 7 luglio 2010, ha chiarito come “le disposizioni normative in tema di diritto di accesso, dettate dagli artt.22 ss. della legge 7 agosto 1990 n.241 e s.m.i. siano invocabili anche dagli ordini professionali (nonostante la loro natura di Enti pubblici) che vanno, dunque, considerati alla stregua di soggetti interessati (ai sensi dell’art.22 primo comma lettera b) allorquando agiscano quali enti esponenziali a tutela degli interessi di categoria dei propri aderenti, soggetti privati (…) Si è, quindi, in presenza di un soggetto istante, titolare di un interesse conoscitivo diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata alla documentazione alla quale è stato chiesto l’accesso”.

In questi casi, l’Ufficio al quale è stata indirizzata la relativa richiesta è tenuto a darne comunicazione a “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza – secondo quanto previsto dall’art.22 co.1 lett.c) della legge n.241 del 1990 e dall’art.3 D.P.R. n.184 del 2006 – i quali possono presentare una motivata opposizione alla predetta istanza nel termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, decorso il quale la P.A. provvede sulla richiesta, fermo restando il rispetto dei limiti fissati dall’art.24 della richiamata legge e dalle disposizioni di cui al D.M. n.415 del 1994, per quanto concerne l’individuazione dei documenti sottratti al diritto di accesso” (cfr. TAR Puglia, sez.III, sentenza n.251 del 21 gennaio 2018) e tenuto conto dei possibili rimedi per contenere il richiamato vulnus alla riservatezza (es. parziale oscuramento delle generalità e dei dati anagrafici della vittima e di terzi, ecc.).

  Ostensibilità degli atti in un procedimento amministrativo a richiesta del TAR o dell’Avvocatura di Stato – Gli atti trasmessi all’A.G. e redatti in qualità di Ufficiale di P.G. (es. comunicazioni di notizie di reato, annotazioni ecc., rientrano nella disponibilità della predetta Autorità Giudiziaria ed il loro utilizzo o trasmissione al TAR o all’Avvocatura di Stato presuppone il rilascio di un nulla osta. Diversamente, gli atti aventi natura amministrativa (es. relazione di servizio) redatti nelle vesti di ufficiale di P.S. e aventi natura extraprocessuale risultano direttamente ostensibili.

Il T.A.R. di Catania, con sentenza n.1943 depositata il 25 luglio 2017, è intervenuto a chiarire i limiti dell’accesso e dell’ostensibilità degli atti nelle ipotesi in cui è opponibile o meno il segreto istruttorio per negare l’accesso agli atti: “non saranno accessibili quelli compiuti su delega dell’autorità giudiziaria e quelli che coincidono con le notitiae criminis, mentre non rientreranno nel divieto in oggetto i documenti di origine extraprocessuale acquisiti al procedimento e non compiuti dal PM o dalla PG” (TAR Sicilia, sez.III – Catania, sentenza n.1943/17 depositata il 25 luglio 2017.

La prassi costante e concorde evidenzia che l’esistenza di un’indagine penale pendente non implica ipso iure l’inaccessibilità degli atti o dei provvedimenti connessi all’oggetto della stessa: saranno inaccessibili solo quelli coperti da segreto istruttorio e per i quali è stato disposto il sequestro (TAR Catania 229/17 e TAR Lecce 2231/14). Più precisamente, ai sensi dell’art.329 c.p.p., nei procedimenti penali risultano coperti dall’onere di segreto istruttorio solo gli atti compiuti dal P.M. e dalla P.G. (ipotesi ribadita dall’art.24, comma 6, lett.d della legge n.241 del 1990 sui casi di divieto di accesso agli atti), mentre quelli “posti in essere da una pubblica amministrazione nell’ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell’amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell’A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l’accesso garantito all’interessato dall’art.22 della legge 7 agosto 1990 n.241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art.24, 1. n. 241/1990”.

La prassi amministrativa chiarisce che la mera trasmissione degli atti al vaglio della magistratura penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi siano coperti da segreto, sì che l’accesso non può essere né negato né differito (Tar Bari 287/11, Campania 38/95 e CDS 1170/96). Ciò è stato ribadito dalla Cassazione penale con sentenza n.13494 del 2011 che “nell’individuare gli atti e i documenti coperti dal segreto ex art. 329 c.p.p., per i quali vige il divieto di pubblicazione di cui all’art.114 c.p.p., ha puntualizzato che non rientrano nel divieto in oggetto i documenti di origine extraprocessuale acquisiti al procedimento e non compiuti dal P.M. o dalla P.G.”.

Infatti, ammettere il divieto di accesso per atti connessi a denunce comporterebbe l’arbitraria esclusione di intere categorie di documenti, sì da essere in netto contrasto, alterandole, con le norme di rango primario che regolano la materia.

In sintesi, nell’escludere che ogni denuncia presentata dalla Pubblica Amministrazione all’Autorità Giudiziaria sia inaccessibile, si chiarisce che, in questi casi, «ai fini della valutazione dell’ammissibilità o meno dell’istanza ostensiva, debbano distinguersi tre ipotesi:

a) quella in cui gli atti siano stati delegati dall’Autorità giudiziaria, nel qual caso l’ostensione non sarà possibile;

b) quella in cui gli atti coincidano con le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria ad essi attribuite specificamente dall’ordinamento, nel qual caso, parimenti, l’ostensione non è possibile;

c) quella in cui, infine, ci si trovi dinanzi ad atti di indagine e di accertamento, se del caso tradottisi in denunce all’Autorità giudiziaria, non compiuti dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di P.G., bensì nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, nel qual caso non sussistono, per la giurisprudenza in esame, impedimenti ad ammettere l’accesso su tali atti» (Cons. Stato, sentenze n.547 del 2013 e n.6117 del 2008 e TAR Latina, sentenza n.17 del 2014).

Il Tar Lazio, con la sentenza n.11353 del 16 novembre 2017, ha ribadito che solo gli atti di indagine compiuti dall’autorità amministrativa nella funzione di polizia giudiziaria sono soggetti a segreto istruttorio ex art.329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso. Nel caso analizzato, un cittadino aveva avanzato istanza di accesso agli atti riguardanti alcuni interventi e verifiche effettuate dalla Polizia locale in seguito ad una serie di esposti e denunce nei suoi confronti (atti, dunque, che lo riguardavano direttamente e che erano necessari per la tutela, anche futura, dei suoi diritti).

Stante la pendenza di un procedimento penale in corso, il direttore della Polizia Locale aveva differito la richiesta di accesso, ritenendo gli atti coperti da segreto istruttorio.

I giudici amministrativi, hanno ritenuto illegittimo il differimento all’accesso, evidenziando che per giurisprudenza costante, il diniego di accesso agli atti afferenti a un procedimento penale, può riguardare esclusivamente quelli coperti da segreto istruttorio penale, perché formatisi in occasione di attività di indagine compiute dalla Polizia Giudiziaria, su delega del P.M., atti per i quali, in assenza di autorizzazione di quest’ultimo, è esclusa in radice.

Al contrario, se la denuncia è presentata dalla p.a. nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art.329, c.p.p..

L’accesso all’esposto per composizione bonaria di privati dissidi – La Commissione per l’accesso agli atti del procedimento amministrativo si è più volte pronunciata in senso favorevole all’ostensione dell’esposto e del verbale sia all’autore dell’esposto che alla persona in esso segnalata, non potendo ritenersi che si tratti di atti circoscritti all’Autorità di P.S. competente.

Pacifica è la natura amministrativa del procedimento di composizione bonaria della lite e ad esso si applicano le norme di cui alla legge n.241 del 1990.

Peraltro il contenuto del documento richiesto è già stato reso noto all’accedente poiché, come dichiara l’amministrazione stessa, di esso è già stata data lettura. Non appare pertanto condivisibile la classificazione dell’esposto tra gli atti ‘inaccessibili’ ex DM n.415 del 1994: nell’ipotesi di inaccessibilità di un documento, di esso non può essere data lettura né può esserne reso noto il contenuto.

Ne deriva che l’istanza ed il successivo verbale di composizione bonaria devono essere ostesi dall’amministrazione adìta, fatti comunque salvi i limiti previsti all’accesso per casi di dati sensibili o supersensibili, ex art.24 co.7 della legge n.241 del 1990.

L’accesso a esposti e denunce – L’ampio concetto di documento delineato dal legislatore consente di attrarre nel raggio dell’accesso anche gli atti dei procedimenti ispettivi e sanzionatori, ma con alcune doverose precisazioni.

Il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione della pubblica amministrazione (c.d. atti di preiniziativa), suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato

Orientamento favorevole all’accesso (TAR, Toscana, sentenza 3 luglio 2017 n.898)

L’esposto alla Pubblica Amministrazione è l’atto dal quale trae origine un’attività amministrativa che si sostanzia previamente in verifiche ispettive e successivamente in verbali di accertamento di illeciti. La questione dibattuta è se l’esposto può essere fatto oggetto di istanza di accesso agli atti o piuttosto possono esserlo soltanto i verbali di accertamento. Nella fattispecie un privato, titolare di un’attività la quale viene sottoposta ad un controllo amministrativo a seguito di un esposto presentato da terzi, formula istanza di accesso agli atti relativi all’accertamento amministrativo, ivi compresi gli esposti presentati da terzi. L’Amministrazione, previamente informando i sottoscrittori degli esposti che esprimevano la loro opposizione, decide di rigettare l’istanza motivando il diniego per ragioni di tutela della riservatezza dei denuncianti. Il privato ricorre in giudizio avverso tale rigetto, adducendo come motivi la violazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa (art.97 Cost.) e artt. 22 e 24 della legge n.241 del 1990. Il ricorso viene accolto ed è ritenuto fondatole per le seguenti motivazioni:

a) il diritto di accesso costituisce una situazione attiva meritevole di autonoma tutela Il diritto di accesso non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio, bensì è diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, con la conseguenza che la domanda giudiziale volta ad ottenere l’accesso ai documenti è indipendente sia dalle sorti del processo principale che dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente potrebbe proporre a seguito della conoscenza degli atti, non avendo carattere strumentale alla difesa in giudizio della posizione soggettiva del richiedente, piuttosto dovendo essere ricondotto unicamente alla sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante del richiedente che sia meritevole di tutela e collegata alla documentazione di cui si chiede l’ostensione (Consiglio di Stato, Sezione 5, 23 febbraio 2010, n. 1067; Consiglio di Stato, Sezione 4, 20 settembre 2012, n. 5047; sez.III, 13 gennaio 2012, n. 116; sez.VI, 14 agosto 2012, n. 4566; sez.V, 22 giugno 2012, n 3683);

b) la non motivata opposizione dei controinteressati non può costituire un limite all’esercizio del diritto di accesso – La legge che disciplina la materia del diritto di accesso è volta a coniugare l’esigenza di trasparenza della Pubblica Amministrazione con gli interessi contrapposti di soggetti “individuati o facilmente individuabili” che verrebbero lesi nel loro diritto alla riservatezza dall’accesso agli atti. L’art.24 della legge n.241 del 1990 disciplina i casi di esclusione del diritto di accesso e precisamente al comma 6, lettera d: “la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche; gruppi, imprese e associazioni con particolare riferimento agli interessi di natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale”. Conseguentemente, una mera espressione di diniego da parte dei controinteressati, senza addurre una specifica motivazione e una lesione dei propri diritti, non potrà costituire motivo di rigetto dell’istanza di accesso;

c) l’ampia definizione di documento amministrativo – Si intende per documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non elativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale (ai sensi dell’art.22 co.1 lett.d della legge n.241 del 1990). Pertanto, l’accesso può riguardare anche atti formati e provenienti da soggetti privati, a condizione che gli stessi siano stabilmente detenuti dalla Pubblica Amministrazione per l’espletamento delle proprie attività istituzionali. Più specificamente, il Tribunale toscano aderisce all’orientamento di quella parte di giurisprudenza che ritiene che il privato sottoposto ad un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere, ivi compresi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità, in quanto per il loro particolare contenuto probatorio potrebbero concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato. Invero. l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione: quest’ultima, infatti, diventa un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell’amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi (Cons. St., sez. V, 19 maggio 2009 n. 3081; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 11 febbraio 2016 n. 396). Dello stesso orientamento è anche il Tribunale Amministrativo del Lazio che con sentenza del 10 settembre 2015, n. 11188, afferma che chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha, infatti, un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti.

Relativamente alla problematica della conoscenza della generalità del soggetto che ha presentato l’esposto ed i relativi dubbi sull’eventualità di un uso strumentale e ritorsivo della conoscenza dell’esposto, cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez.II, 20 novembre 2014 n.1251. Con tale pronuncia i Giudici amministrativi, in linea con un indirizzo giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez.V, 19 maggio 2009 n.3081) che nega rilievo alla tutela dell’anonimato per gli autori degli esposti o denunce ritenendo sufficiente la protezione che l’ordinamento fornisce in via generale contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata, hanno sostenuto che la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacchè il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi. Infatti la giurisprudenza amministrativa maggioritaria afferma che al diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può certo riconoscersi un accezione talmente ampia da includervi finanche il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi nell’ambito di un procedimento ispettivo o sanzionatorio.

Qualora l’iter sanzionatorio abbia tratto origine da un esposto di terzi, quest’ultimo entra a far parte della sequenza procedimentale ed incide sulle determinazioni conclusive e quindi è sempre suscettibile di divulgazione, anche per consentire al privato che lo ha subìto di tutelare i propri interessi nelle diverse sedi (amministrativa, civile e penale), salva la sola omissione dei nomi degli autori dell’esposto per evitare che la loro collaborazione venga a mancare (TAR Veneto, sez.II del 4 aprile 2004, n.934)

Orientamento contrario all’accesso  (TAR Veneto, sentenza 20 marzo 2015 n.321)

Qui, in linea con una precedente pronuncia del Consiglio di Stato, sez.VI, sentenza n.5779 del 2014, secondo il quale gli esposti-denunce non possono essere oggetto di accesso agli atti poiché non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla tutela delle proprie posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art.24 della legge n.241 del 1990, si argomenta che l’esposto che ha dato origine alle verifiche ispettive non incide in alcun modo sul diritto di difesa della parte ricorrente, cui sono stati notificati i verbali conclusivi dell’accertamento che recano tutte le motivazioni delle contestazioni mosse e che sono quindi sicuramente l’unica fonte delle contestazioni mosse alla ricorrente.

Di massima, gli esposti privi di contenuto probatorio si ritengono sottratti all’accesso, perché hanno semplicemente sollecitato l’avvio di un procedimento caratterizzato da autonomi atti di accertamento ed ispezione: la conoscenza di tali atti acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare,

L’accesso agli atti difensivi, ai pareri legali di professionisti e agli atti del procedimento tributario.

La normativa sull’accesso introduce alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui determinate categorie di documenti non possono essere divulgate in ragione del loro particolare collegamento con valori giuridici protetti dall’ordinamento in modo differenziato. L’innovazione legislativa a favore della trasparenza non ha travolto le ipotesi, previste dall’ordinamento, finalizzate a tutelare interessi specifici, di natura e consistenza diversa da quello riconducibile alla mera protezione dell’esercizio della funzione amministrativa.

In particolare l’art.24 della legge n.241 del 90 stabilisce che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell’art.12 della legge n.801 del 77, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento: in tali eventualità, i documenti, seppur formati o detenuti dalla pubblica amministrazione, non sono suscettibili di ostensione, perché il principio di trasparenza cede di fronte all’esigenza di salvaguardare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto. Sulla base di tali considerazioni, risultano in linea di principio sottratti all’accesso gli atti predisposti dai legali e dai professionisti in esecuzione di specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione.

Tale segreto gode infatti di una tutela qualificata, avvalorata dalla specifica previsione degli artt.622 c.p. e 200 c.p.p..

Quanto all’accesso a pareri legali di professionisti esterni da parte di cittadini e dei consiglieri comunali ex art.43 co.2 d.lgs. n.267 del 2000 la giurisprudenza (TAR Calabria, Catanzaro, sentenza 11 maggio 2010 n.694) ha distinto le seguenti tre ipotesi:

  • il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’attività istruttoria. In tale eventualità il parere assume funzione endoprocedimentale ed è richiamato nell motivazione dell’atto finale, per cui è soggetto all’accesso essendo oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo;
  • dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose l’ente si rivolge al professionista di fiducia al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.). Il parere del legale non è destinato a sfociare in un provvedimento conclusivo, ma è diretto a fornire alla parte pubblica tutti gli elementi tecnico-giuridici per tutelare i propri interessi; in questo caso, le consulenze legali restano riservate, a salvaguardia della posizione della pubblica amministrazione la quale, esercitando il proprio diritto di difesa protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi soggetto dell’ordinamento;
  • il ricorso alla consulenza legale esterna interviene in una fase intermedia successiva alla conclusione del procedimento, ma precedente alla instaurazione di un giudizio; anche in casi di questo genere il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di permettere alla pubblica amministrazione di articolare la propria strategia difensiva in ordine ad una lite potenziale ed il parere deve ritenersi coperto dal segreto.

Tra i limiti previsti dal legislatore al diritto di accesso vi è l’esclusione degli atti relativi ai procedimenti tributari. Sulla scorta di una lettura costituzionalmente orientata è stato chiarito (TAR Roma, sez.II, 26 giugno 2018 n.7146) che l’inaccessibilità agli atti in materia tributaria va temporalmente limitata alla sola fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta (Cons. Stato, sez.IV, 13 gennaio 2010 n.53).

L’accesso all’esposto del cittadino da cui scaturisce l’attività ispettiva della P.A.  Nel caso di richiesta di accesso finalizzata a conoscere il contenuto della segnalazione e l’autore materiale di essa, sulla base di un assunto di indispensabilità per conoscere la fonte che ha dato impulso agli accertamenti svolti ed il soggetto nei confronti eventualmente intraprendere le azioni più idonee alla tutela dei propri diritti ed interessi e della propria immagine si è recentemente pronunciato in termini negativi il Consiglio di Stato (sez.III, sentenza n.1717 pubblicata il 1 marzo 2021), accogliendo le argomentazioni in forza delle quali l’Amministrazione ha respinto tale istanza sottolineando che l’atto in questione rientrava nei casi previsti dall’art.2, lett. f) e m) del D.M. 5 settembre 1997 n.392 (atti riguardanti l’identità delle fonti di informazione e atti e documenti attinenti ad informazioni fornite da fonti confidenziali ai privati, di organizzazioni di categorie o sindacati per la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità) ed era sottratto all’accesso per salvaguardare l’indipendenza e l’efficacia dell’attività di indagine, nonché la riservatezza delle fonti di informazione.

Nel caso di specie, si è osservato – altresì – che la segnalazione non risulta ostensibile anche perché da essa non sarebbe evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nominativo del denunciante.

“Condivisibilmente l’appellante ha rilevato che l’esposto costituisce il presupposto dal quale ha origine un’attività amministrativa che si traduce prima in verifiche ispettive, e poi in verbali di accertamento di illeciti amministrativi, a seguito dei quali vengono adottate ordinanze ovvero altri provvedimenti sanzionatori; la segnalazione, pertanto, non può costituire oggetto di accesso agli atti, in quanto non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità tra la c.d. denuncia scaturente dalla segnalazione e l’atto finale adottato dalla pubblica amministrazione. La segnalazione è, infatti, meramente sollecitatoria dell’esercizio della funzione amministrativa di controllo e verifica che compete alla P.A.; la conoscenza degli atti relativi a quest’ultima fase soddisfano, di norma, l’interesse conoscitivo del richiedente. Pertanto, anche a voler prescindere dalla riservatezza dell’autore della segnalazione (che spesso è un dipendente del soggetto sottoposto ad attività ispettiva, soggetto, quindi, a rischio di ritorsione) emerge la sostanziale carenza di interesse alla conoscenza dell’autore dell’esposto: l’identificazione dell’autore della segnalazione, infatti, non è funzionale all’esigenza difensiva della società appellata”.

Si tratta di un indirizzo condiviso dalla giurisprudenza dei TAR (cfr. TAR Piemonte sez.II, 10 maggio 2012, n.537; T.A.R. Lazio sez.I, 4 febbraio 2016, n.1657; T.A.R. Emilia-Romagna) sez.II, 17 ottobre 2018, n.772) secondo cui, allorquando l’accertamento di un illecito amministrativo sia fondato su autonomi atti di ispezione dell’Autorità amministrativa, l’esposto del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d’ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano rappresentate particolari esigenze.

Ciò, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza dell’esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all’esercizio del diritto di difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare.

È opportuno ricordare, infatti, – proseguono i giudici di seconde cure – che l’art.22, comma 1, lettera d) della legge n.241 del 1990 – definisce l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente aduna situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

Analoga giurisprudenza (cfr. Cons. Stato sez.VI, 30 ottobre 2020, n.6657) ha specificato che:

– la necessità della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finale’, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale’ controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio;

– tale delibazione è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa;

– le qualità dell’interesse legittimante sono pertanto circoscritte a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio (o che la stessa intende far valere in sede stragiudiziale o preprocessuale) e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale;

– il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso difensivo, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche “collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite;

– tale esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dall’art.25, comma 2 della legge n.241 del 1990 -, ai sensi del quale “la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata”;

– con tale previsione il legislatore vuole esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad esempio, scambi di corrispondenza. diffide stragiudiziali e – in caso di causa già pendente – indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova, ecc.), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione ‘finale’ controversa;

– in questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.

Come ha condivisibilmente rilevato l’appellante dopo aver richiamato alcune pronunce di primo e secondo grado (cfr. Tar Veneto Venezia, sentenza n.321 del 2015 e Consiglio di Stato, sentenza n.5779 del 2014), l’esposto presentato alla pubblica amministrazione, da cui trae origine una verifica, un’ispezione o un procedimento di accertamento di illecito, non può essere oggetto di “accesso agli atti”, poiché non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipende la difesa del denunciato: la conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestati risulta, infatti, già assicurata dal verbale di accertamento e, dunque, non è necessario risalire al precedente esposto.

Nel caso di specie, “la conoscenza degli elementi fattuali e normativi che giustificherebbero la non conformità” è assicurata dalla documentazione già esibita, in quanto l’esibizione di tutti gli atti ispettivi del procedimento ha comportato la piena soddisfazione del diritto di difesa della società appellata rispetto alle contestazioni mosse dall’Amministrazione; la conoscenza dell’autore o degli autori dell’esposto non assume rilievo a fini difensivi, ma costituisce la mera soddisfazione di una curiosità, con pericolo di future ritorsioni.

Deve convenirsi, quindi, con l’Amministrazione appellante, che il principio della totale accessibilità degli atti, ivi compresi quelli di impulso dell’attività ispettiva – a prescindere dalla effettiva e concreta necessità di conoscenza a fini difensivi – potrebbe avere un impatto negativo sull’attività di controllo, diretto ad assicurare il commercio e la vendita ai consumatori di prodotti alimentari conformi alle norme, a tutela del bene “salute” costituzionalmente tutelato dall’art.32 della Costituzione.

Ne consegue che l’accesso a tale genere di segnalazioni può ritenersi ammissibile solo in casi particolari, in cui emerga chiaramente la strumentalità della conoscenza di tali atti per la difesa dell’interessato, situazione che non ricorre nel caso di specie.

 


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