L’art.14 del d.lgs. n.159 del 2011 fissa il dies a quo per la decorrenza della sorveglianza speciale «nel giorno in cui il decreto è comunicato al destinatario», così fugando ogni dubbio ermeneutico emerso in proposito in passato.

Lo stato di detenzione è incompatibile con l’esecuzione della misura (sul presupposto della diversità di natura tra detenzione subìta senza titolo e misura di prevenzione (Cass. pen., sez.I, 5 febbraio 1990 n.268), non già con l’applicazione della stessa, con la conseguenza che il procedimento di prevenzione può essere instaurato e svolto senza alcun ostacolo, mentre l’esecuzione sarà differita al termine della pena detentiva o alla cessazione della libertà vigilata.

È noto l’orientamento della Suprema Corte che, a partire dalla sentenza n.6 del 25 marzo 2000 (seguita da altre conformi pronunce: sez.I, 22 settembre 2000, n.5221; sez.I. 1 dicembre 2000, n.6996), legittima la piena “compatibilità” delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) con la pena perpetua dell’ergastolo.

L’impostazione ha come base di riferimento le norme che disciplinano il sistema cautelare personale previsto dal codice di procedura penale. Dunque, come per le misure cautelari personali, anche le misure di prevenzione si caratterizzano di due momenti (struttura bifasica):

1) il momento dell’applicazione che è coevo all’affermazione della pericolosità sociale del proposto;

2) il momento dell’esecuzione che coincide con l’effettiva sottoposizione del proposto agli obblighi nascenti dalla misura personale applicata. Quest’ultimo momento, per le misure di prevenzione, atteso il dettato legislativo, coincide con la riacquistata libertà, dunque con la cessazione dello stato di detenzione.

Su questa linea, la giurisprudenza prevalente osserva che è ben possibile l’esecuzione differita della sorveglianza in presenza di uno stato detentivo (anche perenne), essendo prognosticabile (perché previsto dal codice penale e dall’ordinamento penitenziario), che il sottoposto alla pena perpetua possa ricevere i benefici penitenziari (liberazione anticipata).

La sopravvenienza di un titolo detentivo nel corso dell’esecuzione della sorveglianza speciale comporterebbe – invece che – il decorso della sorveglianza si “congeli” per il periodo durante il quale il soggetto sconta la pena per riprendere il suo iter (ripristino della misura) nel momento in cui il soggetto torni in libertà.

La giurisprudenza ha affermato che l’applicazione della custodia cautelare, riferita a reato commesso anteriormente all’inizio dell’esecuzione della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ne determina, in ogni caso, l’interruzione per tutta la sua durata, che riprende a decorrere quando l’indagato sia rimesso in libertà, e ciò si verifica anche quando per quel reato per il quale è stata applicata la custodia cautelare non sia ancora intervenuta la sentenza di condanna irrevocabile. Nel caso in cui intervenga il proscioglimento con sentenza irrevocabile nel corso dell’esecuzione della misura di prevenzione il tempo trascorso dal sorvegliato speciale in custodia cautelare si computa nella durata della misura.

La detenzione, sopravvenuta per un reato commesso antecedentemente all’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. ne interrompe, anch’essa, l’esecuzione.

Lo stesso principio di prevalenza dell’esecuzione della pena sulle misure di prevenzione trova applicazione con riferimento all’esecuzione nella forma della detenzione domiciliare (artt.47-ter ss. della legge 26 luglio 1975 n.354). Qualora sia concessa la detenzione domiciliare a persona sottoposta a sorveglianza speciale di P.S., l’esecuzione della misura di prevenzione resta sospesa per tutto il periodo di durata di quella alternativa, per riprendere a decorrere – senza che, al termine di questo, occorra una nuova valutazione di pericolosità sociale – in forza di provvedimento del questore, che, essendo meramente ricognitivo del fatto sopravvenuto, non determina alcuna invasione di attribuzioni dell’autorità giudiziaria a norma dell’art.13, Cost., né una situazione deteriore rispetto a quella prevista dall’art.11, comma 2, della legge n.1423 del 1956, che affida al giudice il potere di disporre la sospensione di efficacia della misura di prevenzione (Cass. pen., sez.I, 23 settembre 2003 n.37797).

L’orientamento è stato nel tempo confermato: “la dilazione della scadenza della sorveglianza speciale di p.s., dovuta alla sopravvenienza di un titolo di custodia cautelare, costituisce un fatto automatico conseguente alla mera ricognizione dell’evento sopravvenuto, e pertanto viene legittimamente disposta dal questore, senza che si determini alcuna lesione della sfera delle attribuzioni della giurisdizione, né una situazione meno favorevole al prevenuto rispetto a quella espressamente prevista dall’art.11 co.2 della legge n.1423 del 1956 che affida all’autorità giudiziaria il potere di disporre la sospensione di efficacia della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza in caso di condanna per un reato commesso durante la sua esecuzione (ex plurimis, Cass. pen., sez.VI, 31 gennaio 2011 n.5988; Cass., n.7095 del 2010).

Nell’ottica di un avvicinamento sempre più marcato tra misure di prevenzione e misure di sicurezza, con obbligo di rivedibilità ex officio della condizione di pericolosità al momento della esecuzione di una misura di prevenzione rimasta sospesa, va tenuta presente la decisione della Corte Costituzionale n.291 del 2013 con cui si è introdotto l’obbligo ex officio di rivalutazione della pericolosità – in chiave di necessaria attualità – come presupposto per l’eseguibilità della misura di prevenzione rimasta sospesa per stato detentivo del destinatario.

Tale decisione riafferma la comune finalità di misure di sicurezza e misure di prevenzione, volte entrambe a prevenire la commissione di reati da parte di soggetti socialmente pericolosi e a favorirne il recupero all’ordinato vivere civile, al punto di poter essere considerate due species di un’unico genus, ferme restando le differenze di struttura, settore di competenza e modalità applicative.

La rivalutazione della pericolosità (da operarsi anche alla luce delle condotte delinquenziali tenute nel periodo successivo alla scarcerazione, ma sempre nel rispetto del canone dell’attualità, dovendosi trattare di condotte non troppo risalenti nel tempo) sembra vieppiù rilevare nel caso in cui tra l’espiazione della pena e la riattivazione dell’esecuzione della sorveglianza speciale sia intercorso un significativo lasso di tempo, posto il decorso di un lungo lasso di tempo “incrementa la possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile”

Ciò vale a fortiori quando si discuta di persona sottoposta ad un trattamento specificamente volto alla risocializzazione: “se è vero, in effetti, che non può darsi per scontato a priori l’esito positivo di detto trattamento, per quanto lungo esso sia, meno ancora può giustificarsi, sul fronte opposto, una presunzione – sia pure solo iuris tantum – di persistenza della pericolosità malgrado il trattamento, che equivale alla negazione della sua stessa funzione”.

Alla luce di quanto sopra, tenuto conto dell’indirizzo assunto dalla Consulta con sentenza n.291 del 2013 in ordine alla necessaria valutazione della persistenza della pericolosità sociale allorquando l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, è opportuno chiedere all’Autorità Giudiziaria di volersi pronunciare in merito alla possibilità per l’Ufficio che l’ha in carico di dare corso all’esecuzione (riattivazione) della sorveglianza speciale (nella misura che residua), riattualizzando il giudizio di pericolosità nel caso in cui la detenzione si sia protratta per almeno due anni.

 L’esecuzione sospesa della sorveglianza speciale e l’attualizzazione del giudizio di pericolosità dopo la riforma del 2017.

Con la riforma del 2017 sono stati inseriti due commi nell’art.14 d.lgs. n.159 del 2011:

2-bis. L’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare. In tal caso, salvo quanto stabilito dal comma 2, il termine di durata della misura di prevenzione continua a decorrere dal giorno nel quale è cessata la misura cautelare, con redazione di verbale di sottoposizione agli obblighi.

2-ter. L’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena. Dopo la cessazione dello stato di detenzione, se esso si è protratto per almeno due anni, il tribunale verifica, anche d’ufficio, sentito il pubblico ministero che ha esercitato le relative funzioni nel corso della trattazione camerale, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, assumendo le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza, nonché presso gli organi di polizia giudiziaria. Al relativo procedimento si applica, in quanto compatibile, il disposto dell’articolo 7. Se persiste la pericolosità sociale, il tribunale emette decreto con cui ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato, salvo quanto stabilito dal comma 2 del presente articolo. Se invece la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione.

Di fatto, viene previsto che l’esecuzione della misura resti sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a custodia cautelare o a detenzione per espiazione di pena e che, qualora quest’ultima si sia protratta per almeno due anni, il giudice debba, anche d’ufficio, verificare la persistenza della pericolosità sociale del soggetto, così da revocare la misura in caso di accertamento negativo o, in caso contrario, emettere decreto con cui ordinarne l’esecuzione. La proclamata intenzione del legislatore, in questo caso, è stata quella di adeguarsi alle indicazioni della Corte costituzionale nella sentenza n.291 del 2013.

Dalla lettura del dettato normativo si intende chiaramente come l’attribuzione dell’onere di attualizzare la pericolosità del soggetto faccia capo al Tribunale mentre la responsabilità di certificazione e di esecuzione è assegnata all’Autorità di P.S. come specificatamente previsto dall’art.11 co.1 d.lgs. n.159 del 2011 (“il provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione è comunicato al Questore per l’esecuzione”).

L’onere di attualizzazione del giudizio di pericolosità sociale 

Pertanto, al fine di rendere omogenee le modalità operative sul territorio nazionale e soprattutto non vanificare l’eventuale attività di sottoposizione del sorvegliato alla misura ancora da eseguire, è opportuno che una volta ricevuta la notizia, da parte del competente ufficio matricola della casa circondariale, dell’avvenuta scarcerazione del soggetto che abbia sofferto più di due anni di detenzione per espiazione di pena, e che sia destinatario della sorveglianza di pubblica sicurezza, la Divisione Anticrimine della Questura informi il competente Tribunale fornendo altresì tutti gli elementi utili all’attualizzazione della pericolosità.

Ciò anche in ragione di una prassi instaurata da diversi Tribunali (Milano, Torino, Trapani) dall’entrata in vigore del rinovellato art.14 co.2 ter del d.lgs n.159 del 2011 e che trova conferma nella sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., ud. 21 giugno 2018 ai sensi della quale, in assenza di rivalutazione dell’attualità e persistenza della pericolosità sociale al momento della risottoposizione alla misura di prevenzione dopo un consistente periodo di detenzione, viene a non essere configurabile il reato di cui all’art.75 del d.lgs. n.159 del 2011, poiché se lo status di sottoposto alla misura di prevenzione è inefficace al momento dell’accertamento della condotta di cui all’art.75 d.lgs. n.159 del 2011, in quanto non sorretto da una rivalutazione dell’attualità della pericolosità sociale a suo tempo ritenuta dal giudice della prevenzione, ciò comporta l’esclusione della rilevanza penale della condotta stessa (negli stessi termini, cfr. Cass.pen., sez,V, sentenza n.33345 del 13 giugno 2016).

… difformi indirizzi della giurisprudenza di merito

Sulla stessa linea della descritta prassi si colloca l’ordinanza del Tribunale di Napoli – sezione Misure di prevenzione del 17 aprile 2018, che ha dichiarato l’inammissibilità di una proposta di applicazione della sorveglianza speciale di p.s. formulata nei confronti di un soggetto in stato di detenzione per espiazione della pena.

Ad avviso del Collegio partenopeo, il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale adottato nei confronti di soggetto destinato a permanere in stato di detenzione in esecuzione di pena, per un periodo di almeno due anni, è da considerarsi “tamquam non esset”, dovendo lo stesso giudizio essere necessariamente ripetuto dopo la cessazione della pena detentiva e prima dell’esecuzione del provvedimento. Ciò in linea con la nuova formulazione dell’art.14 del d.lgs n.159 del 2011, il cui co.2 ter (aggiunto dalla legge n.161 del 2017, in linea con gli indirizzi della Consulta espressi con sentenza n.291 del 2013) prevede la sospensione dell’esecuzione della misura della sorveglianza speciale durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione, se esso è protratto per almeno due anni, di verificare la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato.

Trib. Napoli MP 17.4.2018

Di contro, preme evidenziare come a conclusioni diametralmente opposte sia pervenuto, invece, il Tribunale di Catanzaro, sez.II Misure di Prevenzione, che, con la pronuncia del 15 ottobre 2018 n.28, ha affrontato il tema della compatibilità tra pene detentive di lunga durata e sorveglianza speciale, escludendo qualsiasi profilo di incompatibilità.

Afferma, nel merito, l’A.G.: “nel caso – statisticamente frequente – in cui il periodo di detenzione sia trascorso in modo per così dire neutrale, senza che il detenuto abbia commesso alcuna attività illecita nel corso della propria carcerazione, e neppure abbia dato prova certa del suo definitivo distacco dagli ambienti della criminalità, la valutazione sull’attualità della pericolosità non potrà che essere condizionata dal tenore e dalla tipologia dei fatti di reato posti in essere prima della sua restrizione in carcere”.

Tale considerazione giustificherebbe, pertanto, la necessità per il Tribunale delle Misure di Prevenzione di compiere, in un primo momento e a distanza più ravvicinata dai fatti, la valutazione circa la pericolosità sociale del proposto, salvo poi “attualizzare” tale valutazione al momento della cessazione della pena di lunga durata, tenuto conto degli elementi sopravvenuti.

Trib. Catanzaro MP 15.10.2018

… e buone prassi gestionali ed amministrative

Quanto alle modalità di svolgimento del procedimento di verifica della persistenza della pericolosità sociale, la novella legislativa del 2017 sembra di fatto riprodurre, senza grandi elementi di novità, le conclusioni cui era giunta la Corte Costituzionale a valle della sentenza C. Cost. n.291/13.

La competenza è individuata nel Tribunale che ha emesso il provvedimento applicativo, il quale potrà all’uopo acquisire le informazioni occorrenti presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza, nonché presso gli organi di polizia giudiziaria.

Alla luce di quanto precede e degli indicatori contenuti nella sentenza della Cassazione, sez.I, n.23641 dell’11 febbraio 2014 (c.d. sentenza Mondini), la valutazione sulla sussistenza di una pericolosità attuale deve far riferimento ad elementi concreti, deve essere priva di vizi e immune dalla presunzione di pericolosità permanente.

Indicatori utili possono essere:

  • il ruolo del soggetto proposto nell’ambito del sodalizio di appartenenza ed il suo livello di coinvolgimento nelle pregresse attività del gruppo criminoso, essendo ben diversa la potenzialità criminale espressa da un soggetto ‘di vertice’ rispetto a quella di chi ha posto in essere condotte di mero ausilio operativo o di episodica contiguità finalistica;
  • la tendenza del gruppo criminale di riferimento a mantenere intatta la propria capacità operativa nonostante le mutevoli composizioni soggettive correlate ad azioni repressive degli apparati investigativi e/o giudiziari, posto che solo in detta ipotesi può ragionevolmente ipotizzarsi una nuova ‘attrazione’ del soggetto nel circuito relazionale illecito;
  • l’ipotesi di un suo allontanamento o dissociazione dal contesto criminale di appartenenza, dimostrata dall’avvenuta o meno manifestazione, in tale intervallo temporale, di comportamenti del proposto.

La proposta di applicazione della misura di prevenzione personale deve recare:

  • quadro informativo che consenta la prognosi di pericolosità
  • approfondito esame del profilo (stato attuale dell’ambito di riferimento, eventuali alleanze con i gruppi criminali anche di diversa matrice, livello di operatività e di controllo del territorio, tipologia di attività illecite e loro riconversione in attività lecite).

L’analisi sul soggetto deve evidenziare:

  • il ruolo rivestito nell’ambito dell’organizzazione criminale
  • la sua capacità relazionale con gli affiliati
  • l’effettivo percorso rieducativo intrapreso durante la detenzione
  • la sproporzione della propria capacità patrimoniale, spese sostenute, ecc.

Più nello specifico, il Questore territorialmente competente, disponendo di un autonomo potere di proposta, deve effettuare un approfondito esame o riesame del profilo soggettivo di chi viene proposto per l’applicazione della sorveglianza speciale di p.s. dopo aver scontato un congruo periodo di carcerazione.

Lo scopo è di fornire all’A.G. elementi concreti da cui desumere che – nonostante la detenzione e la funzione risocializzante che ne dovrebbe derivare – il proposto non ha reciso i contatti con gli affiliati, e comunque con il contesto criminale originario, e continua, quindi, ad essere socialmente pericoloso.

Al riguardo, occorrerà in primo luogo, ai fini di una corretta ed esaustiva istruttoria, porre sotto lente di ingrandimento il “gruppo di riferimento” del proposto “verificando se

  • durante il periodo in cui lo stesso è stato detenuto, l’associazione si è mantenuta viva sul territorio, rafforzando il proprio potere criminale e di intimidazione, la sua capacità militare,
  • si è ramificata,
  • ha perpetrato ulteriori delitti,
  • ed in quale misura è stata oggetto di indagini di polizia e con quali esiti

Andrà analizzata la capacità finanziaria e la capacità dell’organizzazione criminale di riconvertirsi in altri settori ‘leciti’ ed illeciti, monitorando gli eventuali reinvestimenti, tutte attività, queste, che potrebbero anche evidenziare alleanze trasversali con altri gruppi criminali ed essere indice rilevatore della sua capacità criminale e di controllo del territorio”.

Può essere utile effettuare accertamenti presso l’amministrazione penitenziaria al fine di conoscere, attraverso le informazioni in loro possesso e contenute nel fascicolo del detenuto, a cui gli organi di polizia normalmente non accedono, la condotta tenuta in carcere dal proposto durante il periodo di detenzione, i colloqui avuti (familiari, terzi, ecc.), nonché verificare se ha effettivamente intrapreso durante la carcerazione un percorso rieducativo. Al riguardo, potranno essere rilevanti gli esiti dell’istruttoria svolta dalla magistrato di sorveglianza, da cui potrebbe emergere l’avvenuta o meno manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise.

La verifica sulle disponibilità patrimoniali e/o della propria famiglia consentirà di cogliere eventuali consistenze patrimoniali proporzionate o sproporzionate rispetto ai redditi leciti propri e di famiglia.

In tale ambito, peraltro, risulta applicabile una misura di prevenzione patrimoniale anche se l’attualità della pericolosità sociale è venuta meno, essendo sufficiente l’appartenenza ad una categoria di pericolosità e la pericolosità sociale a una certa data.

L’efficacia di queste verifiche richiede un’implementazione della capacità informativa attraverso un maggior coordinamento, circolazione e costruttiva condivisione delle informazioni tra le varie Forze di Polizia, anche attraverso il coinvolgimento ed il raccordo con le Autorità Penitenziarie, la cui collaborazione è fondamentale fin da subito attraverso la comunicazione, con congruo anticipo, dell’elenco dei detenuti da scarcerare e da sottoporre alla misura di prevenzione personale.

Le sezioni misure di prevenzione di alcuni tribunali, al fine di consentire l’adozione in tempo utile delle necessarie determinazioni in ordine alla permanenza del requisito della pericolosità sociale, in conformità al principio sancito dalla Corte Costituzionale, hanno rappresentato alle autorità di pubblica sicurezza l’esigenza di ricevere le segnalazioni dei soggetti che dovranno essere sottoposti alla sorveglianza speciale almeno sei mesi prima della presunta data di scarcerazione.

Considerato, tuttavia, che le segnalazioni dovranno contenere, tra l’altro, elementi significativi in merito alla pericolosità sociale nonché all’attuale sussistenza dell’organizzazione mafiosa di appartenenza del proposto, si potrebbe anche ipotizzare di redigere l’istruttoria non nell’immediatezza della scarcerazione ma dopo un breve periodo di tempo (3/6 mesi), monitorando nelle more il proposto al fine di accertare se ha ripreso i rapporti con l’ambiente criminale di provenienza o se, viceversa, si riscontrano segni di radicale distacco rispetto a tale contesto, se c‘è stato o meno un mutamento del proprio stile di vita, se ha intrapreso o meno un percorso finalizzato all’inserimento in un contesto lavorativo volto al pieno reinserimento sociale, ecc..

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, gli accertamenti dovranno essere particolarmente accurati e circostanziati, in quanto l’esercitare un’attività lavorativa dipendente o autonoma costituisce un elemento indubbiamente favorevole al proposto ma non elide la valutazione complessiva di pericolosità sociale

Per fare un esempio, investigazioni di polizia hanno evidenziato in passato che la maggior parte degli ‘ndranghetisti operanti nel nord Italia svolgono attività artigianali o imprenditoriali, soprattutto nel campo dell’edilizia, ma si tratta di imprese che, sebbene lavorino effettivamente, vengono spesso utilizzate per riciclare i proventi ricavati dall’organizzazione criminale con il traffico degli stupefacenti (cfr. decr. dec. Tribunale di Torino dep. 1 febbraio 2013 in proc.to RGMP 44/2012 – prop. Procuratore della Repubblica di Torino).

Solo una compiuta ed esaustiva analisi di tutti questi fattori potrebbe consentire all’autorità di pubblica sicurezza di redigere un’efficace istruttoria di riesame che esprima un corretto giudizio di pericolosità attuale che risulti, parafrasando un’affermazione della Suprema Corte, fondato sulla base di un ragionamento immune da vizi logici e lontano da mere presunzioni.

Sarà cura delle sezioni preposte alle misure di prevenzione provvedere alla:

  • redazione di un elenco aggiornato delle persone sottoposte alla sorveglianza speciale, con schede individuali recanti indicazione dell’inizio della sottoposizione e dell’eventuale sospensione intervenuta, specificandone la causa (es. esecuzione di pena carceraria, di misura alternativa alla detenzione) ed ogni utile elemento valutativo e novità di rilievo (es. denunce intervenute dall’avvenuta scarcerazione, controlli con pregiudicati, ecc.)
  • predisposizione di uno scadenziario, al fine di verificare periodicamente le condizioni per la proposta di attualizzazione della pericolosità nei confronti di coloro per i quali sussistono le condizioni per dare nuovamente corso all’esecuzione della misura al termine del periodo di sospensione

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