In Italia gli infortuni sul lavoro ancora non diminuiscono in modo rilevante; una lieve riduzione del loro numero (quasi un milione ogni anno), così come una leggera riduzione degli infortuni mortali (circa 1200 all’anno) trovano causa nella attuale crisi economica e nella conseguente flessione delle attività produttive.

Le malattie professionali, poi, sono drammaticamente aumentate.

E allora bisogna concludere che, dal punto di vista sociale, il sistema normativo della 626/1994 non è stato un successo per l’Italia e, secondo alcuni, è stato addirittura un fallimento: l’approccio per regole e dure sanzioni, quindi, non ha dato buona prova e non ha portato risultati soddisfacenti né alle Imprese, né ai lavoratori.

Pertanto la riforma introdotta dal Testo Unico n.81/2008 e dal Decreto correttivo n.106/2009, tutta basata sul diverso approccio della condivisione degli obiettivi e della sinergia tra soggetti pubblici e soggetti privati, era ed è necessaria e giusta.

Nel nuovo sistema di sicurezza, la prevenzione è tutta fondata sulla formazione, sulla informazione, sulla preparazione, qualificazione e riqualificazione delle Aziende, dei dirigenti, dei diversi responsabili, dei lavoratori.

Le sanzioni non sono più previste e considerate come il principale deterrente, che spinge le Aziende a mettersi in regola con le norme antinfortunistiche, ma come effetto giuridico doveroso derivante dal mancato rispetto del generale obbligo di sicurezza, di natura giuridica contrattuale, posto a carico dei datori di lavoro e di tutti gli altri soggetti partecipi del ciclo produttivo, compresi gli stessi lavoratori.

Le Aziende sono perfettamente consapevoli del”pressing” normativo che sul loro capo ha posto il Legislatore: prima la 626/1994, poi la Legge Delega n.123 del 3 agosto 2007 sfociata nel T.U. n.81/2008 e nel Decreto correttivo n.106/2009, hanno gravato le Imprese e gli Enti di pesanti obblighi e adempimenti, la cui violazione comporta rilevanti responsabilità di tipo penale, civile e amministrativo.

In particolare, per la prima volta nella storia giuridica italiana è stata prevista una responsabilità penale, nel senso stretto e giuridico del termine, a carico delle Aziende come tali per violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro: il Decreto Legislativo n.231/2001, che l’Unione Europea ha imposto per combattere i reati di corruzione e riciclaggio in ambito europeo, è stato esteso dalla Legge n.123/2007 e poi dal T.U. n.81/2008 alle violazioni delle norme generali e specifiche in materia di infortuni e malattie professionali.

Pertanto, il verificarsi di un infortunio o il manifestarsi di una malattia professionale per dolo o colpa grave del datore di lavoro o suoi preposti, può comportare la responsabilità penale della stessa Azienda, oltre che dei dirigenti e preposti a titolo personale, con l’applicabilità di sanzioni molto onerose che per l’Azienda e per gli Enti vanno dalla sanzione economica a misure interdittive: sospensione dell’attività, cessazione dell’attività in caso di recidiva per gravi violazioni, incapacità a stipulare contratti di appalto e fornitura con la Pubblica Amministrazione, decadenza da contratti già stipulati, incapacità di ricevere finanziamenti dalla Pubblica Amministrazione e decadenza dai finanziamenti ricevuti. Le Regioni applicano tali misure alle Imprese punite dal Giudice penale per gravi violazioni delle norme di sicurezza antinfortunistica. Vi è, allora, per le Aziende e per gli Enti un solo modo per evitare tale pesante fardello di responsabilità (che per alcuni giudici sono di tipo oggettivo, ma su tale aspetto controverso torneremo):

adottare modelli organizzativi e gestionali idonei alla prevenzione, tutti fondati quindi sulla formazione.

L’esonero dalle responsabilità, quindi, è previsto e stabilito direttamente dalla Legge ( art. 30 T.U.), anzicché dal Giudice, e consiste nell’adozione di un valido modello organizzativo e gestionale.

Lucio Di Giorgio*

*Avvocato


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