Le società “in house” (integralmente partecipate dagli enti locali e dirette affidatarie sia della fornitura di beni e servizi strumentali – nei confronti dell’ente locale proprietario – sia di servizi pubblici locali, gestiti in nome e per conto dell’ente locale proprietario), devono adottare, ai fini del reclutamento del personale di spettanza, propri provvedimenti, recanti i criteri e le modalità delle selezioni, in ossequio ai principi prescritti dall’art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni, ossia: adeguata pubblicità delle selezioni; svolgimento delle “prove d’esame” con metodo imparziale, economico e veloce; oggettività e trasparenza nel riscontro delle attitudini e delle professionalità; pari opportunità tra candidate e candidati; individuazione di valutatori di comprovata esperienza. In altri termini, occorre che le società “in house”, per assumere, assumano preventivamente atti interni a carattere generale, parecchio vicini ai tradizionali regolamenti dei concorsi, oggi per lo più conglobati nei regolamenti di organizzazione degli uffici e dei servizi degli enti locali.

Le altre società pubbliche locali, non “in house”, mediamente provviste di mera partecipazione di controllo in capo all’ente locale, possono limitarsi all’assunzione di “regolamenti” di reclutamento più blandi, semplicemente ispirati ai principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità.

Il percorso di “para/concorsualizzazione” non si è tuttavia completato: le disposizioni propedeutiche alla regolazione ed instaurazione di selezioni assimilabili ai tradizionali concorsi “da pubblica amministrazione”, non sono riuscite – da sole – ad incardinare la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie sorte in occasione  di procedure di selezione poste in essere da società pubbliche locali, non disponendo alcunchè in relazione alla giurisdizione e, di conseguenza, non individuando affatto uno “speciale” giudice competente. In tali fattispecie, la carenza di una peculiare indicazione legislativa  attributiva della giurisdizione ha lasciato inalterato il tradizionale criterio d’individuazione del giudice competente al governo del contenzioso, ossia quello della “causa petendi”. Tale criterio, in assenza di espliciti poteri autoritativi pubblicistici, cui facciano da contraltare corrispondenti interessi legittimi, porta direttamente dinanzi al giudice ordinario. Si è, in altri termini e a questi limitati fini, rimarcata la valenza di struttura giuridicamente autonoma della società partecipata rispetto all’ente locale, rigettando equipollenze ed equiparazioni; si sono ricondotti gli atti di selezione del personale da parte delle società partecipate nell’alveo di attività di organizzazione di natura privatistica di mera “provvista di mezzi umani”.

La struttura regolamentare di cui sopra va mantenuta, per le società “in house”, anche ai fini della definizione operativa dei vincoli di spesa da osservare per l’attivazione di nuove assunzioni, vincoli di spesa che promanano e si estendono dai comuni proprietari agli organismi da questi posseduti e che, ad ogni modo, vigono anche per le società meramente controllate (purchè siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici senza gara, svolgano funzioni di soddisfacimento di esigenze di interesse generale non rivestenti carattere industriale o commerciale o supportino funzioni amministrative pubblicistiche), seppur – queste ultime – non tenute all’assunzione di regolamento “ad hoc”.

In particolare, trova applicazione la limitazione finanziaria prevista dall’art. 76, comma 7, del D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008, e successive modificazioni: le società pubbliche locali in argomento, possono assumere personale a tempo indeterminato nel limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Tale limite, riguardo alle società multi servizi, non va considerato in astratto (riferendosi all’organico “tout court” della società, a prescindere dai servizi erogati), bensì in concreto, prendendo a riferimento lo specifico organico deputato allo svolgimento del servizio effettivamente coinvolto dalla nuova assunzione, altrimenti si eluderebbe il dettato legislativo (rectius, lo spirito del dettato), per mancanza di omogeneità dei valori da comparare.

Restano, inoltre, fermi gli ulteriori vincoli e limiti della materia, da calcolarsi in forma consolidata in capo all’ente locale controllante: sussiste il limite del rapporto tra spese di personale e spese correnti inferiore al 50%; la società partecipata può acquisire personale soltanto se l’ente locale partecipante non sia incorso in violazioni sanzionate con il divieto di assunzioni (in particolare, non avendo rispettato gli obblighi posti dall’art. 1, commi 557 e seguenti della Legge Finanziaria n. 296/2006, tesi alla riduzione progressiva della spesa di personale – logica del contenimento della dinamica occupazionale anche attraverso lo snellimento delle strutture amministrative e l’accorpamento di uffici – o gli obiettivi prescritti dal c.d. “Patto di Stabilità”).

Inoltre, non può escludersi come, ai fini del conseguimento dell’obiettivo di riduzione/contenimento della spesa, l’ente locale “proprietario” possa o debba imporre ulteriori vincoli di razionalizzazione (“discrezionali”, prettamente locali, aggiuntivi rispetto a quelli centrali), in questo sicuramente agevolato dalle tecniche di “controllo analogo”, ove esperibili.

La società partecipata può cercare di districarsi da questa fitta tela di limitazioni, ricorrendo ad alcuni “escamotage”, considerati legittimi: innanzi tutto, si possono utilizzare, nel corso degli anni successivi, le quote di turn over non utilizzate negli anni precedenti, sino alla concorrenza degli ammontari autorizzatori d’assunzione; inoltre, può ricorrersi alla cessione del contratto di lavoro di dipendenti del Comune, per come disciplinata dall’art. 1406 del codice civile, nei limiti in cui l’operazione avvenga ad impatto finanziario complessivamente neutro; ed infine, nel caso in cui l’esigenza di provvista di personale sia a tempo determinato, al comando o al distacco – sempre di dipendenti propri dell’ente locale proprietario, premunendosi di rispettare i rigorosi presupposti di provvisorietà alla base di questi istituti, in modo da evitare surrettizi aumenti della dotazione organica complessiva.

Va, tuttavia, evidenziato che il legame ente locale – società partecipata non risulta essere perfettamente simmetrico: se da un lato si estendono, come si è avuto modo di spiegare, i vincoli negativi, dall’altro non si propagano i virtuosismi positivi e, pertanto, l’ente locale non può trasferire alla partecipata la propria capacità assunzionale a tempo indeterminato residua, trattandosi, in questo caso (sic!) di limitazioni imposte, in maniera distinta, in capo a due diversi enti, in possesso di distinta capacità giuridica e autonoma dotazione organica (secondo la stessa impostazione, le società devono conteggiare autonomamente i risparmi derivanti dalle cessazioni dell’anno precedente, senza metterli a disposizione ed a beneficio dell’ente locale partecipante).  Si preferisce, in definitiva, un’interpretazione “a compartimenti stagni”, escludente possibilità di cessioni reciproche dei saldi attivi, in mancanza di esplicite autorizzazioni legislative, a fronte dell’immanente ed ordinatore principio del contenimento della spesa pubblica, senza valorizzazione delle tecniche di consolidazione infra/gruppo.

Ad esaurimento del filone della tendenziale assimilazione delle società partecipate agli enti controllanti, va evidenziato come spettino alle stesse le vantaggiose deroghe, previste a favore della Pubblica Amministrazione in senso stretto, in materia di violazione di norme civilistiche riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori: in proposito, il ricorso all’estensione analogica dell’art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 165/2001 e s.m.  (secondo cui la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare – diversamente dai datori di lavoro privati – la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni), ha consentito di evitare la trasformazione di rapporti di lavoro addirittura “in nero”, svolti presso società partecipata, in rapporti a tempo indeterminato, in forza di logiche di preservazione di equilibri economico/finanziari sostanzialmente pubblici e di ostacolo ad abusi clientelari.

Per completezza di esposizione, deve essere precisato che i ragionamenti sopra esposti non possono trovare applicazione alle società quotate su mercati regolamentati, ove le esigenza di tutela dei risparmiatori prevalgono sulle “zavorre” pubblicistiche [1].

Roberto Maria Carbonara*

* Segretario generale del Comune di Segrate


[1] Il presente contributo è ispirato da: artt. 25, comma 5 del D.L. n. 1/2012, convertito in Legge n. 27/2012 e 18 del D.L. n. 122/2008, convertito in Legge n. 133/2008 e successive modificazioni (regolamento dei concorsi nelle società partecipate e vincoli di spesa al reclutamento); deliberazioni nn. 461 del 29 ottobre 2012 e 260 del 31 maggio 2012 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia (regolamento dei concorsi nelle società partecipate e vincoli di spesa al reclutamento); sentenze del Consiglio di Stato nn. 6178 del 4 dicembre 2012 e 3356 del 26 maggio 2010, oltre a Cass. SS. UU. – sent. n. 5685 del 10 marzo 2011 (questioni di giurisdizione sul contenzioso di reclutamento); Tribunale di Salerno, sez. Lavoro e Previdenza, sent. n. 659/2012 (inapplicabilità sanzione cost. rapporti di lavoro a tempo indeterminato).


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