La Legge di Stabilità 2014 (L. 147/2013) rivoluziona la disciplina delle società partecipate, assicurando così anche una sanatoria (tardiva) agli enti locali che, entro il 30 settembre, pur essendovi obbligati, non hanno provveduto alla dismissione imposta dalla L. 122/2010. Il problema della dismissione si riproporrà, sulla base delle nuove regole, nell’esercizio 2017 (con esclusione delle società che si occupano di servizi pubblici locali) in funzione dei risultati reddituali conseguiti nei cinque anni precedenti dalla società. Nel periodo intercorrente, invece, in caso di perdita, scatterà un obbligo di accantonamento di risorse nel bilancio dell’ente partecipante in misura proporzionale alla quota di partecipazione detenuta. Ne consegue, a questo punto, che non solo non è mantenuto l’obbligo di dismissione ma addirittura sarebbe possibile, nell’ambito dei limiti definiti dalla L. 244/2007, costituirne di nuove, anche da parte dei comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti. Oltre agli aspetti indicati, che corrispondono alle novità più salienti, la Legge di Stabilità interviene pesantemente sul tema delle “partecipate”, gettonatissimo non solo nella legislazione ma anche nei pareri delle Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei Conti, incidendo su molteplici altri profili.

Perimetro

Anzitutto, è significativo il nuovo “perimetro” definito per l’applicazione della rinnovata disciplina delle società partecipate. Essa, infatti, non ricomprende soltanto le società partecipate, ma anche le istituzioni e le aziende speciali, essendo – invece – esplicitamente esclusi gli intermediari finanziari (art- 106 TUB) e le società che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro controllate. Tale ampliamento dell’ambito di applicazione desta certamente non poche perplessità, alla luce della forte eterogeneità dei soggetti interessati: da una parte, infatti, si trattano alla stessa stregua soggetti aventi natura pubblicistica (come le aziende speciali e le istituzioni) e soggetti aventi natura privatistica (come le società), che presentano regole di funzionamento diverse e, dall’altra parte, si prendono in considerazione congiuntamente realtà che non presentano autonomia giuridica (come le istituzioni) e realtà che dispongono di autonomia giuridica (come le società o le aziende speciali).

Obblighi di dismissione

Nel merito, poi, secondo quanto anticipato, sono esplicitamente soppressi (mediante abrogazione delle corrispondenti disposizioni) gli obblighi di dismissione, tanto se riferiti alla generalità delle società detenute dagli enti (art. 14, comma 32, della L. 122/2010) con popolazione inferiore a 50.000 abitanti, pur con alcune differenze, quanto se riferiti alle società strumentali (di cui all’art. 4 della L. 135/2012) che, nel 2011, avevano fatturato più del 90% dei servizi alla pubblica amministrazione. L’asticella è però soltanto rinviata al 2017, seppure soltanto per le società che non prestano servizi pubblici locali (queste ultime, infatti, possono considerarsi comunque salve). A decorrere da tale esercizio, infatti, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, occorre procedere alla liquidazione entro 6 mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio. In caso di mancato avvio delle procedure di liquidazione è prevista la nullità dei successivi atti, con la conseguente responsabilità erariale dei soci (con una formula, su quest’ultimo punto, che appare inconferente).

Obblighi di accantonamento

A partire – però – dal 2015, è introdotta una disciplina restrittiva, che colpisce gli enti partecipanti, nel caso di risultati di esercizio o saldi finanziari negativi. In tali ipotesi, infatti, essi sono chiamati ad accantonare, nell’anno successivo, in un apposito fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Per le società che redigono il bilancio consolidato, poi, è precisato che occorre fare riferimento al risultato economico derivante da quest’ultimo, mentre per le società che si occupano di servizi pubblici locali a rete occorre considerare il reddito operativo (ossia la differenza tra il valore ed i costi della produzione). Di conseguenza, la normativa impone di accantonare e di rendere indisponibili (nell’ambito dell’avanzo di amministrazione), in una sorta di “fondo rischi”, l’importo corrispondente alle perdite di rispettiva pertinenza maturate dalle società partecipate, con l’obbiettivo di sterilizzarne i possibile impatto negativo sui “conti” dell’ente. Tale importo è, appunto, vincolato rispetto a tale quota di perdita fino al permanere di quest’ultima. Esso, infatti, è reso disponibile qualora il risultato economico negativo sia superato: da una parte, nel caso in cui l’ente partecipante abbia coperto la perdita ovvero abbia dismesso o liquidato la partecipazione; dall’altra parte, nel caso in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite (ad esempio mediante i successivi utili).

Gradualità

Data la rilevanza dell’impatto potenzialmente derivante, sul bilancio degli enti, da tali accantonamenti, è disposta una gradualità nell’applicazione, che investe il periodo (che potrebbe individuarsi come transitorio) compreso tra il 2015 ed il 2017. In quest’ultimo arco temporale, infatti, gli obblighi di accantonamento sono configurati in modo diverso in funzione del risultato medio conseguito nel triennio 2011/2013. Nel caso in cui in cui tale risultato medio sia negativo, l’accantonamento deve essere eseguito (sempre in proporzione alla quota di partecipazione) per una somma corrispondente alla differenza tra il risultato conseguito nell’esercizio precedente (ad esempio 2014 per il 2015) e lo stesso risultato medio, migliorato del 25% per il 2014, del 50% per il 2015 e del 75% per il 2016. Nel caso in cui il risultato medio del triennio sia non negativo l’accantonamento deve essere effettuato, invece, sempre in modo proporzionale alla quota di partecipazione, per una somma pari al 25% per il 2015, al 50% per il 2016 ed al 75% per il 2017 del risultato negativo conseguito nell’esercizio precedente (ad esempio nel 2015 per il 2014). Questo secondo criterio, peraltro, deve essere seguito anche nell’ipotesi di peggioramento, in ciascun anno di riferimento (ad esempio 2014), del risultato conseguito rispetto alla media (negativa) del triennio 2011/2013 di partenza.

E’ utile precisare che il prescritto accantonamento è legato ad una logica, nel contempo, prudenziale e sanzionatoria a fronte di risultati economici negativi e non corrisponde certamente alla possibilità di realizzare – da parte dell’ente – una sistematica copertura delle perdite ovvero un accollo dei debiti delle società partecipate. Per questi ultimi ambiti, infatti, è necessario comunque rispettare le regole tradizionali che derivano soprattutto dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, quest’ultima progressivamente affermatasi soprattutto per effetto delle pronunce della magistratura contabile. Gli obblighi di accantonamento indicati operano per tutte le partecipate, ivi incluse le realtà che si occupano di servizi pubblici locali, in funzione anche del richiamo operato alle società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica. Del resto, lo stesso incipit della disposizione si ricollega al campo di applicazione della nuova disciplina, che contempla le aziende speciali, le istituzioni e le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali, senza particolari esclusioni. Sanzioni per organo amministrativo
Accanto all’obbligo di accantonamento indicato, il verificarsi di perdite di esercizio comporta altresì una serie di sanzioni che riguardano l’organo amministrativo della società, sempre a partire dall’esercizio 2015. Da una parte, infatti, qualora vi sia un affidamento diretto da parte dei soggetti pubblici per una quota superiore all’80% del valore della produzione, in caso di perdita nei tre esercizi precedenti, si rende necessaria una riduzione del 30% del compenso dei componenti degli organi amministrativi.

Dall’altra parte, invece, è esplicitamente affermato che il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi costituisce una giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Per queste ultime due sanzioni, peraltro, è prevista, però, una deroga nell’ipotesi che il risultato economico negativo conseguito sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall’ente controllante. La logica di tale previsione, ad evidenza, è correlata all’esigenza di non penalizzare eccessivamente il contesto in relazione ad un percorso di risanamento che è stato condiviso dall’ente controllante. In ogni caso, soprattutto per la sanzione legata alla riduzione del compenso dell’organo amministrativo, non si può non rilevare come essa possa in realtà colpire (dato il riferimento temporale accolto) soggetti diversi rispetto a coloro che hanno effettivamente adottato le scelte gestionali che hanno determinato l verificarsi di risultati economici negativi.

Vincoli gestionali
Numerose sono altresì le norme che interessano aspetti gestionali e che mirano a garantire che le società partecipate dagli enti locali svolgano i propri servizi rispettando i canoni dell’efficacia e dell’efficienza, anche allo scopo di prevenire la possibile formazione di perdite. In proposito, è utile subito ricordare che il passaggio parlamentare ha eliminato l’obbligo, inizialmente previsto nel disegno di legge (seppure a partire dall’esercizio 2015), di talune società partecipate di essere sottoposte – seppure con modalità particolari – alle regole del patto di stabilità interno.

Ora si stabilisce, invece, che – a decorrere dal 2014 – le aziende speciali, le istituzioni e le società con partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza. Si tratta, ad evidenza, di una dichiarazione più programmatico e di principio che cogente, corrispondente ad un’aspettativa da soddisfare in chiave gestionale, al fine di assicurare che anche i soggetti strumentali contribuiscano al miglioramento della finanza pubblica attraverso l’ottimizzazione della gestione, in termini di contenimento delle risorse (eventualmente) assorbite e di ottimizzazione delle risorse generate. A tale scopo, è precisato che saranno definiti appositi standard che, nel caso dei servizi pubblici locali, sono da individuare in termini di costi e rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati delle amministrazioni pubbliche (utilizzando le informazioni disponibili presso queste ultime) mentre, nel caso di servizi strumentali, sono da individuare con riguardo ai prezzi di mercato. L’operazione di costruzione dei descritti valori standard non si presenta certamente semplice, considerando che le fattispecie interessate sono fortemente disomogenee e anche gli stessi servizi gestiti sono difficilmente inquadrabili in categorie predefinite. Con riferimento al profilo gestionale, ancora, la Legge di Stabilità interviene sui vincoli a cui sono sottoposti i soggetti strumentali indicati, con esclusione delle realtà che si occupano di servizi pubblici locali, mediante la sostituzione dell’art. 18, comma 2 bis, della L. 133/2008. Va subito detto, però, che la modifica non si presenta del tutto felice e non risolve certamente i molteplici problemi interpretativi su cui si sono anche divise, con soluzioni opposte, le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti. Da questo punto di vista, quindi, si è trattato di un’occasione persa per giungere ad un’effettiva chiarificazione soprattutto dei limiti e vincoli che le realtà in questione devono rispettare in materia di personale, sui quali erano emerse, nel corso del tempo, indicazioni contrastanti (basti pensare al recente parere n° 447/2013 della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia che ha rivisto il proprio precedente orientamento).

Campo di applicazione

Tale modifica investe, in primis, il campo di applicazione dei vincoli in materia di personale, che ora comprendono: a) le aziende speciali; b) le istituzioni; c) le società a partecipazione pubblica totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazioni, così come individuate dall’ISTAT. In questo ambito, tra l’altro, non è risolta certamente la questione del riferimento all’elenco ISTAT, che viene mantenuto, restringendo fortemente il perimetro applicativo delle limitazioni, secondo quanto ha chiarito la stessa magistratura contabile in via interpretativa (si veda, soprattutto, il parere n° 260/2012 della Sezione Regionale di Controllo della Lombardia).

Nei confronti di tali soggetti, è chiarito, trovano applicazione “le disposizioni che stabiliscono a carico delle amministrazioni … divieti o limitazioni alle assunzioni di personale … in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante”. La formula è letteralmente mutuata dalla disciplina precedente, con una soluzione che certamente non risolve le molteplici questioni operative ed interpretative in campo e che, come detto, hanno determinato indicazioni diverse da parte delle varie Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei Conti. Basti pensare all’obbligo di rispetto “tetto” delle spese di personale, tradizionalmente riferito anche alle società partecipate (seppure con approcci diversi, a seconda della condivisione o meno dell’impostazione consolidata) e recentemente rivisitato proprio dalla Sezione Regionale di Controllo della Lombardia (nel citato parere n° 447/2013), che ne ha escluso l’applicazione, modificando esplicitamente il proprio precedente orientamento. Inoltre, sempre in chiave gestionale, è altresì prevista l’applicazione delle disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria. In precedenza, va ricordato, la formula era molto simile, in quanto imponeva un adeguamento delle politiche a tale riguardo vigenti per le amministrazioni controllanti. Ora però è più chiaro il riferimento, dal momento che si fa esplicito richiamo a due aspetti, legati alla “retribuzione individuale” ed alla “retribuzione accessoria”, che si riconducono specificamente a taluni vincoli che interessano esplicitamente le amministrazioni pubbliche. In particolare, rilevano l’art. 9, comma 1 e l’art. 9, comma 2 bis, della L. 122/2010, che “bloccano” – rispettivamente – il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti e l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale.

Ai fini dell’applicazione, poi, rileva esplicitamente la contrattazione di “secondo livello”, sulla base degli atti di indirizzo dell’ente controllante (con il problema, poi, dell’eventuale controllo congiunto): è tale contrattazione, infatti, che deve operativamente dare seguito a tali vincoli alla retribuzione individuale ed alla retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della disposizione. Quest’ultima precisazione è importante alla luce della circostanza che, in diverse occasioni, la magistratura contabile (si veda, ad esempio, il parere n° 140/2013 della Sezione Regionale di Controllo della Toscana della Corte dei Conti) aveva ritenuto non applicabile, alle partecipate, il rinnovo contrattuale relativo allo specifico comparto, proprio per assimilazione con il trattamento riservato alle amministrazioni controllanti.

Società di servizi pubblici locali

Come detto in precedenza, i vincoli descritti non trovano, esplicitamente, applicazione con riferimento alle società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica: per tali società, infatti, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, è chiamato a stabilire modalità e applicazione di tali vincoli mediante i propri provvedimenti. E’ altresì chiarito che gli enti locali possono anche escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime limitativo, le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona e per le farmacie, fermo restando – comunque – l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale.
Spese di personale e spese correnti

In ogni caso, è mantenuto fermo il principio recato dall’art. 76, comma 7, della L. 133/2008, che prevede la considerazione anche delle spese delle partecipate ai fini della determinazione del rapporto tra spese di personale e spese correnti che, se superiore al 50%, determina l’impossibilità di assunzione a qualsiasi titolo. Peraltro, in proposito, è da registrare una significativa novità: allo scopo, infatti, è necessario tenere conto non solo delle spese di personale delle “partecipate” ma altresì delle analoghe spese delle aziende speciali e delle istituzioni. Poiché quest’ultima innovazione, a parità di condizioni, determina – ad evidenza – un peggioramento del quadro di riferimento per gli enti locali, è altresì previsto un “correttivo” da definire, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: entro il 30 giugno 2014, infatti, sarà operata una modifica della soglia originaria, allo scopo di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati.

Società in house

La Legge di Stabilità si occupa altresì di ridefinire le regole per le società in house, la cui disciplina era collocata nell’ambito dell’art. 3 bis della L. 148/2011 così come introdotto dalla L. 27/2012. In primis, è sostituito il comma 5, che disciplinava l’assoggettamento di tale realtà al patto di stabilità interno, secondo modalità da definirsi con un successivo decreto ministeriale. Nella nuova versione si specifica, invece, che le società affidatarie in house rientrano nel campo di applicazione delle diverse disposizioni (di carattere generale) della Legge di Stabilità che riguardano le società partecipate. Mantenendo però la precisazione, già contenuta nella formulazione precedente, in base alla quale “l’ente locale o l’ente di governo locale dell’ambito o del bacino vigila sull’osservanza … dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno”. In secondo luogo, con riguardo ai vincoli in materia di personale, con una disposizione che però risulta pleonastica, è evidenziato ora come le società in house debbano rispettare “i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall’ente locale controllante” ai sensi dell’art. 18, comma 2 bis, della L. 133/2008.

Società strumentali

Ritoccata pesantemente è anche la disciplina dei vincoli gestionali riguardanti le società strumentali, in particolare regolamentate dall’art. 4 della L. 135/2012. Saltano, infatti, diversi commi destinati a contenere le spese di personale e le assunzioni di queste società, mediante, appunto, l’abrogazione esplicita: a) del comma 9, riguardante l’estensione, fino al 2015, delle norme limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione controllante; b) del comma 10, riguardante i vincoli di ricorso al tempo determinato ed ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa nei limiti dell’importo 2009; c) del comma 11, riguardante (per il periodo 2013/2014) il vincolo al trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle società, che non può superare, comprendendo anche l’accessorio, l’importo ordinariamente spettante per l’anno 2011. Sintesi e criticità

Conclusioni

Il quadro di riferimento complessivo risultante dalle modifiche introdotte non risolve, sul piano applicativo, molti dei dubbi e delle problematiche che avevano determinato una forte incertezza nei vincoli e limiti caratterizzanti il funzionamento delle società partecipate dagli enti locali. A livello sistematico, l’intervento normativo è chiaramente orientato nella direzione di uniformare la disciplina dei vincoli in materia di personale delle partecipate, superando la precedente frammentazione, basata su una regolamentazione generale (art. 18 della L. 133/2008), una specifica per le società in house (art. 3 bis della L. 148/2011) ed un’altra ancora puntuale per le società strumentali (art. 4 della L. 135/2012).

Ora la disciplina è unitariamente definita dal novellato art. 18, comma 2 bis, della L. 133/2008, che contiene la normativa per tutte le tipologie con alcune differenze (ad esempio per le società che si occupano di servizi pubblici locali).

In secondo luogo, sempre a livello sistematico, l’intervento operato con la Legge di Stabilità ha l’effetto di accrescere l’autonomia degli enti nella governance delle partecipate, favorendo un’effettiva attuazione delle logiche “di gruppo” anche nella gestione del personale. Tale aspetto permette, inoltre, di “gestire” in modo più efficace le società detenute, garantendo potenzialmente una correlazione tra il personale impiegato e l’entità dei servizi da garantire sulla base degli affidamenti effettuati. Aspetto, quest’ultimo, che nel tempo era diventato sempre più complesso, essendo il personale “ingessato” dalla normativa e non modulabile in funzione degli affidamenti effettuati alla società.

E’, peraltro, singolare, in proposito, che il legislatore faccia sempre riferimento, nella disciplina definita, alla nozione di “ente controllante”, senza porsi il problema delle moltissime situazioni nelle quali il controllo è sicuramente esercitato da un ente locale ma in modo congiunto con altri enti (ad esempio perché ciascuno di essi ha una partecipazione inferiore al 50%). In questo caso occorrerebbero dei meccanismi di coordinamento tra i soggetti interessati per definire in modo condiviso le indicazioni da fornire alle società partecipate.

Al riguardo, è da segnalare che non è stato neppure chiarito lo stesso concetto di controllo, che è richiamato in modo generico e senza nessun rimando alle previsioni dell’art. 2359 del codice civile, che fa riferimento – va sottolineato – al controllo societario e solitario, realizzato, quindi, esclusivamente da un singolo ente. Se quelle indicate sono le linee strategiche sulle quali si è mosso il legislatore non vi è dubbio che, sul piano strettamente applicativo, permangono non poche incertezze e molte delle problematiche della disciplina precedente non possono considerarsi pienamente superate.

A dimostrazione, è sufficiente fare mente locale sui due principali profili che rimangono ancora caratterizzati da dubbi, anche in funzione delle interpretazioni consolidate della magistratura contabile: 1) soggetti interessati: la definizione mantenuta dall’art. 18 della L. 133/2008 riprende la precedente, rispetto alla quale assumeva rilievo l’inserimento nell’ambito dell’elenco ISTAT (aspetto che ultimamente la stessa magistratura contabile aveva valorizzato, ritenendolo dirimente nella delimitazione in concreto del campo di applicazione); inoltre, la prima parte di tale norma, contempla indubbiamente anche soggetti che si occupano di servizi pubblici locali (parlando di società che siano titolari di affidamenti di servizi senza gara), successivamente esclusi in modo esplicito con il rinvio alle apposite direttive; soluzione che, alla fine, comporta che i nuovi vincoli sembrano incidere molto di più sulle società di servizi pubblici locali (che nelle intenzioni del legislatore sembrerebbero da trattare in modo più favorevole) che non su quelle che si occupano di servizi strumentali, colpite solo se incluse nell’elenco ISTAT; 2) vincoli operanti: la nuova disciplina contempla esplicitamente i vincoli concernenti i divieti o le limitazioni alle assunzioni di personale nonché gli obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria; soluzione che non risolve il contrasto sorto tra le diverse sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti sui concreti vincoli interessati (il problema, alla luce della delibera n° 447/2013 della Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti della Lombardia si è concentrato sull’applicazione dell’obbligo di riduzione progressiva, anno dopo anno, delle spese di personale) e sulle modalità di loro considerazione (permanendo l’alternativa tra approccio distinto ed approccio consolidato).

In ultimo, non si può certamente tralasciare di ricordare come il rinvio alle direttive da parte degli enti controllanti sia effettuato in termini generici, specificando che, per le società di servizi pubblici locali, l’ente controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive che verranno adottate con propri provvedimenti. Soluzione, quella indicata, che concentra sull’ente il ruolo non solo di controllo ma anche di indirizzo (con i conseguenti riflessi in termini di responsabilità) ma che può prestarsi ad applicazioni “deboli” e limitate, nell’ambito di una sostanziale discrezionalità che sembra caratterizzare il rispetto della normativa di riferimento.

(Marco Rossi)


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