La decisione di un ente in ordine alla gestione dei servizi pubblici locali costituisce una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente illogica, irragionevole, irrazionale ed arbitraria.

Tar Liguria, sez. II, sentenza 8 febbraio 2016, n. 120, Presidente Pupilella, Estensore Vitali


A margine

Nella vicenda, la società privata già gestore del servizio di igiene urbana presso un comune, impugna la delibera con cui lo stesso ente affida in house, ad una società al 100 % pubblica, il servizio in parola, lamentando la genericità e l’inadeguatezza della relazione di affidamento ex art. 34, c. 20, D.L. n. 179-2012 sotto il profilo dei costi stimati e affermando la carenza del requisito del controllo analogo da parte del comune attesa l’irrisoria quota di partecipazione detenuta (0,5%).

Il comune, costituito in giudizio, eccepisce il difetto di interesse della ricorrente già incorsa in altre risoluzioni contrattuali poiché priva del requisito di cui all’art. 38, c. 1, lett. f), del D. Lgs. n. 163-2006 per aggiudicarsi l’appalto del servizio.

Il Tar, dopo aver ricordato l’equi-ordinazione e l’alternatività tra 3 le modalità di affidamento dei SPL enunciata dalla giurisprudenza comunitaria (con gara, con società mista ovvero diretta-in house), afferma che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella in house, costituisce una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente illogica, irragionevole, irrazionale ed arbitraria, ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti (Cons. di St., V, 22.1.2015, n. 257).

Nel caso di specie, la motivazione del comune si basa non tanto sulla convenienza economica in rapporto ai maggiori costi dell’attuale gestione, quanto sulla decisiva circostanza che, qualora il comune avesse bandito una procedura ad evidenza pubblica o istituito una propria società mista con socio operativo, tale scelta si sarebbe posta in contrasto con l’approccio unitario prefigurato dalla normativa statale e regionale, che, per i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, richiede la perimetrazione, da parte delle regioni, di ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, di dimensioni di norma non inferiori almeno a quella del territorio provinciale, tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza dei servizi, nonché l’istituzione di corrispondenti enti di governo cui demandare le funzioni di organizzazione dei servizi, compreso quello dei rifiuti, anche mediante la scelta della forma di gestione (così l’art. 3-bis del D.L. n. 138-2011).

Ad avviso del giudice tale motivazione, alla base dell’affidamento in house, è congrua e sufficiente, e non manifesta profili di manifesta illogicità od arbitrarietà.

Per quanto riguarda poi la doglianza circa l’assenza di controllo analogo da parte del comune, il giudice amministrativo richiama la nozione di “controllo analogo congiunto” affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui, nel caso in cui il capitale della società sia suddiviso tra una pluralità di soci pubblici, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, non richiedendosi che lo stesso venga esercitato singolarmente per ciascuna di esse (così C.G.U.E., III, 29.11.2012, n. 182-11). Nel caso in esame lo statuto dell’organismo in house assicura tale forma di controllo.

Per tutte le ragioni enunciate il Tar rigetta il ricorso.

di Simonetta Fabris

 


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