Pubblica Amministrazione – Obbligo di provvedere su istanza di privato all‘esercizio del potere di autotutela in materia edilizia – Insussistenza.

Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza  25 maggio 2020, n. 3277 Pres. Santoro. Est. Lamberti

A margine

Antefatto – Il proprietario di un fabbricato chiede al Comune di “revocare” due concessioni edilizie rilasciate in via di sanatoria speciale (l. 47/85), nel 2001, in relazione ad un immobile confinante.

Il Comune resta inerte. Il TAR rigetta il ricorso contro il preteso silenzio inadempimento. È proposto appello al Consiglio di Stato, che, con la sentenza in esame, rigetta l’appello.

Sentenza – Il Consiglio di Stato, dopo aver escluso qualsiasi prova certa di un comportamento doloso dei contro interessati, ha affermato la questione di principio: il G.A. può censurare il silenzio come inadempimento (e, quindi, come condotta illegittima per omissione), laddove sia ravvisabile un dovere di provvedere. Ed ha escluso che un tale dovere sia ravvisabile riguardo al riesame di un atto divenuto inoppugnabile, in caso contrario risultando compromesso l’interesse generale alla certezza e stabilità dei rapporti fondati su atti autoritativi.

La richiesta del contro interessato costituisce quindi una mera denuncia sollecitatoria, a fronte della quale si erge il potere di autotutela, prettamente discrezionale, essendo demandata alla P.A. la valutazione dei rigorosi presupposti e requisiti per il suo esercizio. I quali in materia edilizia, per consolidata giurisprudenza, consistono nell’illegittimità dell’atto e nell’interesse pubblico attuale, non senza considerare l’esigenza di ponderare anche l’interesse privato alla conservazione di una situazione consolidata.

Annotazioni – La sentenza non contiene particolari novità rispetto a dicta ed a statuizioni ormai consolidate, alle quali può aggiungersi l’esigenza di evitare che, attraverso un diffuso ricorso alle richieste di esercizio del potere di autotutela, in ipotetico regime di doverosità per la P.A., sia aggirato il principio della decadenza dalla normale azione impugnatoria, da esercitarsi con la tempestività richiesta, appunto, dalla necessaria certezza è stabilità dei rapporti giuridici.

Proprio nella parte finale, la motivazione della sentenza in commento contiene però un cenno interessante, che riprende il rilievo caratterizzante l’incipit dell’argomentazione complessiva. Tale cenno attiene alla rilevanza di eventuali condotte, anche omissive, fraudolente del soggetto che ha acquisito la sanatoria.

Il dictum induce la riflessione che, se la denuncia consente l’accertamento postumo di comportamenti dolosi, ravvisando un interesse pubblico attuale ed escludendo (si può soggiungere) interessi di terzi in buona fede (aventi causa), la P.A. potrebbe ravvisare i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (anche dopo il decorso di molti anni, com’era nella fattispecie oggetto di giudizio).

 


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