Il diritto dell’Unione e il principio di proporzionalità non ostano a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio oneroso, purché l’importo della sanzione sia conforme al principio di proporzionalità.

La richiesta di integrazione, però,  non potrebbe ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione fosse richiesta dai documenti dell’appalto, dovendo l’amministrazione aggiudicatrice osservare rigorosamente i criteri  di “sanatoria” da essa stessa fissati.

Le correzioni o modifiche  non devono essere tali da equivalere alla presentazione di una nuova offerta.

Corte di Giustizia UE, cause riunite C‑523/16 e C‑536/16, sentenza 28 febbraio 2018, Presidente Malenovský, avvocato generale Campos Sánchez-Bordona


A margine

I fatti – Due stazioni appaltanti indicono due procedure di gara per l’affidamento di alcuni lotti prevendendo l’applicazione del soccorso istruttorio oneroso ai sensi dell’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163/2006.

Nel primo caso, un costituendo RTI, candidato per due lotti, omette di firmare l’impegno alla designazione della capo gruppo relativa ad uno solo dei due lotti e, pertanto, la stazione appaltante chiede la regolarizzazione con il pagamento di una sanzione pecuniaria di € 35.000,00.

L’impresa trasmette la dichiarazione di impegno richiesta firmata chiedendo tuttavia l’annullamento della sanzione pecuniaria irrogata, in quanto il disciplinare di gara richiedeva una dichiarazione di impegno per ciascun lotto soltanto per il caso in cui il raggruppamento intendesse parteciparvi «in forma diversa». A fronte del diniego dell’amministrazione, la ditta ricorre al Tar Lazio.

Nel secondo, un’impresa non allega le dichiarazioni ex art. 38 del Codice attestanti che il suo vicepresidente e il suo amministratore delegato non sono oggetto di alcuna sentenza definitiva di condanna. Pertanto la stazione appaltante chiede la regolarizzazione e il pagamento di una sanzione pecuniaria di € 50.000,00.

L’impresa, pur integrando la documentazione, rifiuta di pagare interamente la sanzione pecuniaria (per cui versa solo un acconto),  eccependo nel ricorso al TAR, in particolare, l’incompatibilità dell’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici con l’articolo 51 della direttiva 2004/18.

In entrambi i casi, il Tar sospende il procedimento e sottopone alla Corte di giustizia UE le medesime questioni pregiudiziali relative all’applicazione del soccorso istruttorio c.d. “oneroso”.

La sentenza – La questione esaminata nella pronuncia annotata, che decide due ricorsi (causa C‑523/16 e caso causa C‑536/16), riguarda se l’articolo 51 della direttiva 2004/18, e i principi relativi all’aggiudicazione degli appalti pubblici, tra i quali, i principi di parità di trattamento e di trasparenza di cui all’articolo 10 della direttiva 2004/17 e all’articolo 2 della direttiva 2004/18, nonché il principio di proporzionalità, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio a norma del quale l’amministrazione aggiudicatrice può, nel contesto di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, invitare l’offerente la cui offerta sia viziata da irregolarità essenziali ai sensi di detta normativa a regolarizzare la propria offerta, previo pagamento una sanzione pecuniaria il cui elevato importo, predeterminato dall’amministrazione aggiudicatrice e garantito dalla cauzione provvisoria, non può essere graduato a seconda della gravità dell’irregolarità cui si pone rimedio.

L’articolo 51 della direttiva 2004/18 si limita a prevedere la semplice possibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di invitare coloro che presentano un’offerta a integrare o a chiarire la documentazione della loro offerta, che dimostri la loro capacità economica e finanziaria e le loro conoscenze o capacità professionali e tecniche. Né tale disposizione né alcun’altra disposizione della direttiva 2004/18 contengono precisazioni sulle modalità in base alle quali una siffatta regolarizzazione può avvenire o sulle condizioni alle quali essa può eventualmente essere soggetta.

Ne consegue che, nell’ambito delle misure di trasposizione della direttiva 2004/18, gli Stati membri sono liberi, in linea di principio, non solo di prevedere una siffatta possibilità di regolarizzazione delle offerte nel loro diritto nazionale ma anche di decidere di subordinare tale possibilità al pagamento di una sanzione pecuniaria, come prevede nella fattispecie l’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici.

Occorre anche ricordare che l’articolo 51 della direttiva 2004/18 non può essere interpretato nel senso di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di ammettere qualsiasi rettifica a omissioni che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell’appalto, devono portare all’esclusione dell’offerente (sentenze del 6 novembre 2014, Cartiera dell’Adda, C‑42/13, EU:C:2014:2345, punto 46, e del 10 novembre 2016, Ciclat, C‑199/15, EU:C:2016:853, punto 30).

La Corte ha così in particolare affermato che una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione fosse richiesta dai documenti dell’appalto, dovendo l’amministrazione aggiudicatrice osservare rigorosamente i criteri da essa stessa fissati (v., in tal senso, sentenze del 10 ottobre 2013, Manova, C‑336/12, EU:C:2013:647, punto 40, nonché dell’11 maggio 2017, Archus e Gama, C‑131/16, EU:C:2017:358, punto 33).

Una siffatta richiesta non può infatti condurre alla presentazione, da parte dell’offerente interessato, di quella che in realtà sarebbe una nuova offerta.

In terzo luogo, si deve ricordare che, conformemente al principio di proporzionalità, le misure adottate dagli Stati membri non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

È alla luce delle suesposte considerazioni che spetta al giudice del rinvio, esaminare se, tenuto conto delle circostanze, le regolarizzazioni richieste dalle amministrazioni aggiudicatrici riguardassero la comunicazione di documenti la cui mancanza doveva comportare l’esclusione degli offerenti o se, al contrario, costituissero con tutta evidenza semplici richieste di chiarimenti in merito a offerte che dovevano essere corrette o completate su singoli punti o essere oggetto di una correzione di errori materiali manifesti.

Ciò premesso, la Corte constata che, la nozione stessa di irregolarità essenziale, che non è definita nell’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici, non appare compatibile né con le disposizioni dell’articolo 51 della direttiva 2004/18 né con i requisiti ai quali è subordinato, ai sensi della giurisprudenza della Corte, il chiarimento di un’offerta nell’ambito di un appalto pubblico soggetto alla direttiva 2004/17.

Ne consegue che il meccanismo del soccorso istruttorio previsto all’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui l’offerta presentata non possa essere regolarizzata o chiarita e che pertanto nessuna sanzione può essere inflitta all’offerente in un caso del genere.

Nel caso in esame, ai sensi dell’articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici, spetta all’amministrazione aggiudicatrice fissare, entro i limiti minimo e massimo stabiliti in tale disposizione, l’importo della sanzione pecuniaria che può essere inflitta all’offerente invitato a regolarizzare la propria offerta.

Cionondimeno, l’applicazione automatica della sanzione così prestabilita, indipendentemente dalla natura delle regolarizzazioni operate dall’offerente negligente e quindi anche in assenza di qualsiasi motivazione individuale, non appare compatibile con le esigenze derivanti dal rispetto del principio di proporzionalità.

Pertanto, l’applicazione di una sanzione pecuniaria costituisce certamente un mezzo appropriato per conseguire gli obiettivi legittimi perseguiti dallo Stato membro, consistenti, da un lato, nel responsabilizzare gli offerenti in sede di predisposizione delle loro offerte e, dall’altro, nel compensare l’onere finanziario che qualsiasi regolarizzazione può rappresentare per l’amministrazione aggiudicatrice.

Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale nelle sue conclusioni, importi di sanzioni come quelli stabiliti nei bandi di gara nei due procedimenti principali appaiono di per sé manifestamente esorbitanti, tenuto conto dei limiti entro i quali devono mantenersi sia la regolarizzazione di un’offerta a titolo dell’articolo 51 della direttiva 2004/18 sia il chiarimento di un’offerta nell’ambito della direttiva 2004/17. È quanto avviene, in particolare, nel caso di una sanzione, come quella inflitta dall’amministrazione aggiudicatrice nella causa C‑523/16, che appare manifestamente eccessiva rispetto ai fatti censurati, vale a dire l’omessa firma di una dichiarazione di impegno recante la designazione della società capogruppo del raggruppamento offerente.

In sintesi, il diritto europeo e il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio “oneroso”, purché l’importo di tale sanzione rimanga conforme al principio di proporzionalità, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare.

Per contro, i richiamati principi e disposizioni del diritto europeo devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio oneroso per porre rimedio alla mancanza di un documento che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell’appalto, deve portare alla sua esclusione, o per  irregolarità che inficiano l’offerta in modo tale che le correzioni o modifiche apportate finirebbero con l’equivalere alla presentazione di una nuova offerta.

Conclusioni – La sentenza non riveste ormai interesse per il nostro ordinamento, in quanto, com’è noto, il correttivo del 2017 del d.lgs. n. 50 ha eliminato tout curt (forse un pò frettolosamente) l’originaria onerosità del soccorso istruttorio, prevedendo, nella nuova versione dell’art. 83, comma 9, la facoltà per gli operatori economici di regolarizzare e/o integrare le dichiarazioni e i documenti incompleti e/o irregolari senza dover sostenere alcun onere finanziario.

Riveste, invece, particolare interesse la parte della pronuncia in cui la Corte afferma che la normativa nazionale non potrebbe prevedere la possibilità di “sanatoria”, neppure onerosa, se la lex della gara prevede espressamente l’esclusione per  la mancanza di un documento  o se le irregolarità  inficiano l’offerta in modo tale che le correzioni o modifiche apportate finirebbero con l’equivalere alla presentazione di una nuova offerta.

 


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